La filosofia contemporanea è come un bosco in cui è possibile tracciare centinaia di percorsi. Tutti questi percorsi sono legittimi, in quanto nessuno di questi percorsi può pretendere di “esaurire” il bosco. In questo senso la metafora degli Holzwege, i sentieri del bosco, oppure i sentieri interrotti, o ancora i sentieri che non portano da nessuna parte, una metafora usata da Martin Heidegger, coglie bene il centro della questione. Ogni percorso ha il suo fascino ed offre le sue prospettive, e non deve mettere all’inizio del sentiero un cartello su cui sta presuntuosamente scritto: “percorso privilegiato”. Se il percorso è o no interessante lo si può giudicare soltanto alla fine, non al principio.
In questo breve saggio verrà proposto un percorso nella filosofia contemporanea, incentrato su di un solo concetto fondamentale, il concetto di padronanza filosofica delle nuove ed inedite contraddizioni della modernità. I tre pensatori esplicitamente ricordati, Hegel, Marx ed Heidegger, non vengono interrogati in veste di capiscuola di tendenze organiche o di fondatori di “ismi” coerenti (hegelismo, marxismo, heideggerismo, eccetera), ma vengono interrogati e problematizzati esclusivamente sulla base della centralità del tema teorico prescelto, quello appunto di padronanza teorica delle contraddizioni della modernità. Questa chiave interpretativa esclude decisamente almeno due approcci storiografici possibili, entrambi da evitare.
In primo luogo, occorre evitare come la peste ogni approccio di tipo ideologico, che intenda connotare i pensatori con categorie politiche, magari ispirate direttamente o indirettamente alla dicotomia Sinistra/Destra. Secondo questa dicotomia Marx è certamente di sinistra, Heidegger è certamente di destra, ed in quanto a Hegel è probabilmente di centro, o meglio di centro-destra secondo l’approccio di Norberto Bobbio, e di centro-sinistra secondo l’approccio di Domenico Losurdo. Non c’è molto da aggiungere: ogni riduzione dei contenuti filosofici alla dimensione politico-ideologica rende impossibile una valutazione adeguata del pensiero di un filosofo.
In secondo luogo, questa valutazione adeguata è resa impossibile anche da un atteggiamento tassonomico, scolastico-classificatorio, che intenda rigorosamente coerentizzare un pensiero intorno ad un “ismo” unificante. Secondo questo approccio, Hegel è un esponente dell’idealismo assoluto, Marx del materialismo storico e dialettico, e Heidegger dell’ontologia ermeneutica. Ma queste attribuzioni digitali vanno bene per un test di verifica didattica basato sulla dicotomia vero/falso, per cui dire che Marx è un esponente del materialismo storico è vero.
Fatto questo innocuo giochetto, che non ha nessun rapporto con la pratica filosofica concreta, si può tornare alle cose serie. E le cose serie stanno in ciò, che i sistemi filosofici, più o meno coerentizzati ed etichettati con gli “ismi” adatti, assumono un significato soltanto se vengono posti in rapporto reciproco, sulla base della loro capacità a rispondere a domande unificanti.
Questo saggio pone una domanda unificante. Si tratta del tema della padronanza concettuale del pensiero sul nuovo legame sociale complessivo moderno, che è borghese-capitalistico e non più signorile-feudale. Hegel, Marx e Heidegger vengono interrogati sulla base del loro rapporto con questo problema. C’è dunque un presupposto indimostrato alla base di questa discussione, per cui Hegel, Marx e Heidegger parlino in fondo della stessa cosa, e siano confrontabili appunto perché “omogenei” sul metodo e sull’oggetto. Non chiedo al lettore di credere “a scatola chiusa” a questo presupposto. Gli chiedo solo di accettarne la legittimità , e di saggiarla alla luce delle argomentazioni che svolgerò.