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GIANCARLO PACIELLO

Mashloket ha-Historionim, ovvero La “nuova storia” d’Israele

[pubblicato su Koinè, Periodico culturale – Anno VI – Nuova serie – NN°3/5 – Luglio/Dicembre 1998], pp. 24.

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Le celebrazioni del 50° anniversario della nascita dello Stato d’Israele, se da una parte hanno fornito l’occasione per rinverdire i miti del “miracolo” sionista, hanno dall’altra stimolato una riflessione attenta sul piano storico, che tenesse conto anche della grande tragedia, della Catastrofe, come dicono gli storici arabi, originata da questa nascita. Intendo riferirmi al processo di espulsione e di espropriazione subìto dalla popolazione palestinese, originato dalla Risoluzione 181 dell’Assemblea generale dell’O.N.U., del 29 novembre 1947, (nella quale si stabiliva la spartizione, in due stati, uno arabo ed uno ebreo, della Palestina del Mandato), e che tuttora perdura. Anche se la Nakba, la Catastrofe appunto, fu vissuta come tale, fin dalla fine della guerra, e meglio sarebbe dire delle guerre, del 1948. Di particolare interesse ci sembra, dal punto di vista storico e politico, la poco nota controversia degli storici (mashloket ha-Historionim), che da tempo appassiona non soltanto gli intellettuali israeliani, visto che la grande stampa (Maariv, Yediot Aharonot, Davar e soprattutto Haaretz) ha pubblicato numerosi articoli ed interviste sull’argomento e che se ne discute anche in televisione. Dire la poco nota controversia è assai poco, dal momento che dei numerosi libri, prodotti dai “nuovi storici” israeliani, non c’è traduzione e soltanto qualche traccia nella pubblicistica nostrana. Il nostro intento è di illustrare i contenuti della controversia, il contesto in cui è nata e si è sviluppata, ed infine di fare delle considerazioni sulla persistenza, dentro e fuori lo Stato d’Israele di alcuni miti fondatori dello Stato stesso. Delle nostre conclusioni non anticiperemo nulla (il lettore impaziente potrà, come è libero di fare ogni lettore, andarsele a leggere subito saltando i punti intermedi). Noi lo preghiamo però di pazientare, perché i punti intermedi sono decisamente più importanti e portano grandi elementi di novità su argomenti rimasti troppo a lungo, ed ancora, tabù. Le nostre fonti relative alla poco nota controversia sono costituite da due libri, usciti fra aprile e maggio. A complemento, alcuni articoli, in particolare due saggi, uno di Ilan Pappé e l’altro di Benny Morris, due dei nuovi storici, pubblicati sulla Revue d’études Palestiniennes. Tutti i materiali sono in lingua francese, anche se nascono in ambienti culturali molto diversi. Il libro di Dominique Vidal, Le péché originel d’Israël, che ha per sottotitolo L’expulsion des Palestiniens revisitée par le “nouveaux historiens” israéliens, è opera di uno storico, esperto del Medio Oriente, autore di alcuni libri importanti, in collaborazione con Alain Gresh (come: Proche-Orient: une guerre de cent ans; Palestine 47: un partage avorté; Les 100 portes du Proche-Orient) e giornalista famoso di Le Monde Diplomatique. L’altro libro, La nouvelle histoire d’Israël, con sottotitolo Essai sur une identité nationale, è opera invece di un professore di scienze politiche all’Università di Bar-Ilan, in Israele, Ilan Greilsammer, autore di Les communistes israeliéns che risale al 1978 e di Israël, les hommes in noir del 1991, un saggio sui partiti ultra-ortodossi. Abbiamo trovato estremamente interessante questo testo, non soltanto per la stretta attinenza al tema in discussione ma anche perché fa riferimento ad una bibliografia, quasi esclusivamente in ebraico. Ed ora entriamo in argomento.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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