Quando a Mohammed Alì domandano, al tempo del suo rifiuto di arruolarsi, se sa almeno dov’è il Vietnam, lui risponde: Certo, è in televisione. Oggi alcuni sostengono (Z. Bauman, P. Virilio) che il tempo orizzontale della simultaneità ha cancellato l’ostacolo della distanza. Lo spazio si fa infinito e insieme “tutto qui”, immediato e presente. Più che la storia ciò che scompare è la geografia, lo spazio sedimentato dal tempo necessario per attraversarlo. Ogni diversità è esclusa, odiata e insieme assorbita in una mega rete attraverso la quale spazio e tempo cancellano ostacoli e alterità e semplicemente fluiscono. Il tempo si fa senza passato e senza profondità; orizzontale appunto, senza storia, piatto, circolare, sempre uguale a se stesso; nessun cambiamento è possibile, proprio perché tutto è in continuo cambiamento. Le crisi, senza fratture vere, sono incorporate come norma del sistema (Negri-Hardt). Allo stesso tempo, il processo decisionale sembra diventare impersonale cioè impolitico, ultra artificiale, volatilizzato sulle reti del cyber spazio. Così fuori discussione da finire per apparire naturale. Quello che va veramente in crisi è la sfera della politica: la piazza, l’agorà come luogo insieme privato e pubblico esperienza di una politica non separata dall’esistenza concreta dei soggetti. Irraggiungibile per i non addetti ai lavori, il potere diventa amministrazione, tecnica da esperti, inintenzionale. Paradossalmente nello spazio pubblico (svuotato di potere) finisce per dominare la scena l’esibizione di un iper-privato da mostrare “al pubblico”: mondo comune di solitudini spettacolari. Si misura con questa scomparsa dell’interfaccia pubblico-privato dell’agorà, la
riflessione di quel femminismo (Ida Dominijanni, Iaia Vantaggiato) che ridefinisce la sfera dalla politica e del pubblico come luogo di relazioni e di desiderio, di linguaggio che crea e fa società. Comunicazione. Il tentativo è di occupare di altri discorsi, contatti, flussi materiali