Procediamo nell’analisi con il metodo classico delle scienze esatte, quello della geometria euclidea: da cinque postulati assunti come veri, Euclide ha ricavato deduzioni e teoremi che nel loro insieme costituiscono la scienza geometrica. Analogamente per conoscere la geometria di questo processo riformatore, individuiamo i postulati da cui poi gli Euclide del nostro tempo hanno derivato i successivi “teoremi”. E allora così come chi volesse discutere della geometria euclidea dovrebbe incentrare la propria riflessione sui postulati, allo stesso modo una discussione sul significato di questo processo riformatore è metodologicamente corretta incentrarla sulle linee guida che lo hanno ispirato, più che sui singoli o parziali interventi. Scopo di tutte le analisi dovrebbe essere il comprendere. Atteniamoci a questo principio di correttezza intellettuale, ed esaminiamo la riforma Berlinguer, De Mauro, Moratti, con sguardo distante, come se avessimo di fronte la riforma Casati o Gentile: ricaviamo cioè i principi ispiratori e le finalità della riforma da quanto scritto e asserito dagli stessi estensori. Da quali principi prende le mosse l’attuale riforma scolastica? Cito da due fonti dirette, molto chiare in proposito; la prima è il documento firmato da Tullio De Mauro “Linee guida per la diffusione della qualità nella scuola” del 9 gennaio 2001; la seconda, “Dichiarazioni programmatiche del ministro Letizia Moratti” 18 luglio 2001
«La società in cui viviamo è soggetta alle regole della globalizzazione e per essere competitiva, e vincere le sfide provenienti da altre realtà e contesti deve porre la scuola tra le sue priorità assolute [...]. Questo significa poter fare affidamento su un sistema scolastico e formativo capace di fornire servizi qualificati, di creare competenze e abilità solide, di sviluppare senso critico e mentalità imprenditoriale [...]. La formazione rappresenta quel valore aggiunto di cui disporre per orientare e riorientare le politiche e le strategie del lavoro e dell’occupazione e propiziare cicli di ripresa economica [...]. È noto che la scuola dell’autonomia si propone come un soggetto culturale che attende al proprio ruolo e ai propri compiti con mentalità imprenditoriale, capacità progettuale, spirito di iniziativa e senso di responsabilità, ottimizzando le proprie risorse [...]. Si è superato così un vecchio luogo comune, la separazione tra tempo-scuola e tempo-lavoro, secondo cui la scuola doveva interessarsi solo dell’istruzione mentre l’impresa doveva preoccuparsi solo di produrre beni e servizi». «L’istruzione è oggi al centro dei processi di crescita e modernizzazione delle società civili evolute [...]. Il divario tra l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione Europea nel campo dell’educazione e della formazione professionale produce inoltre evidenti ricadute negative sulla capacità di sviluppo economico e di innovazione tecnologica e scientifica [...]. Al contempo, in tutto il mondo, si rafforzano i valori meritocratici tipici di un modello di società competitiva che tende a polarizzare lo scenario socioeconomico tra i poli di eccellenza e vaste aree di esclusione e marginalizzazione. L’Italia, proprio in virtù del suo più debole sistema educativo, formativo e di ricerca, è appunto a rischio di marginalizzazione. Le politiche dell’educazione diventano così strategiche nella creazione di una nuova formazione al lavoro [...]. La crisi che la nostra istruzione attraversa è legata innanzitutto alla non sufficiente qualità complessiva del sistema, ed inoltre alla mancanza di libertà di scelta da parte delle famiglie. Nell’istruzione, come in molti altri campi, lo Stato non può essere l’unico promotore del valore del capitale umano [...]. Noi immaginiamo un sistema moderno, competitivo ed innovativo di educazione, [...] integrato con il mondo produttivo». Secondo una celebre espressione del filosofo tedesco Martin Heidegger “Il linguaggio parla”, e nel nostro caso parla molto chiaramente. In questo linguaggio è depositata la chiave per leggere la riforma. Attenzione, però. I principi generali asseriti dai nostri riformatori, discendono a loro volta da due generalissimi postulati che costituiscono, questi sì, l’equivalente dei postulati euclidei, ovvero di quelle lenti attraverso cui oggi si osserva la società e la Natura. Lo suggerisce lo stesso De Mauro là dove afferma che «la società in cui viviamo è soggetta alle regole della globalizzazione». Quali sarebbero, allora, queste regole generali che i riformatori hanno applicato anche a quell’ambito specifico della realtà sociale che è la scuola?