L’idealismo tedesco è generalmente considerato nei manuali di storia della filosofia come la scuola filosofica di tre personaggi, Fichte, Schelling e Hegel. Chi lo inquadra all’interno di una successione storica tende a mettere “a monte” il criticismo di Kant, ed “a valle” il materialismo di Marx, oppure la via filosofica pessimistica e individualistica di Schopenhauer e la critica proto-esistenzialistica a Hegel di Kierkegaard. La sostanziale dissoluzione del sistema hegeliano è vista con favore da alcuni interpreti (cfr. Karl Löwith, Da Hegel a Nietzsche) ed è invece vista in modo negativo da altri, maggiormente filo hegeliani (cfr. Herbert Marcuse, Ragione e Rivoluzione, oppure Georg Lukàcs, La distruzione della Ragione).
Personalmente, preferisco una dizione differente, quella di “filosofia classica tedesca”. Se accettiamo questa dizione, che comporta immediatamente un vero e proprio “riorientamento gestaltico” ed una diversa periodizzazione, la filosofia classica tedesca inizia con Lessing e Herder, include Kant ed il dibattito sul kantismo che ha dato origine al vero e proprio idealismo filosofico posteriore, comprende ovviamente Fichte, Schelling e Hegel, e termina storicamente con le due figure di Feuerbach e di Marx, che ne fanno parte integrante.
Si tratta di un vero e proprio “riorientamento gestaltico”, perché se iniziò con Herder e terminò con Marx incluso, il problema della filosofia della storia (Herder, Hegel, Marx) balza in primo piano, e ad esso vengono subordinate le tre risposte, criticista (Kant), idealista (Fichte e Hegel), ed infine materialista (Feuerbach e Marx). In questa mia relazione-saggio intendo privilegiare la riflessione sui tre termini di idealismo, materialismo e dialettica, piuttosto che fare dell’ennesima filologia, sostenuta dalla citatologia, su questi autori. È ovvio, infatti,che Marx (I8I8-1883) è stato un lettore di Hegel (1770-1831), e su questo esiste un’abbondante documentazione filologica, che deve però essere interpretata, perché dall’analisi degli stessi testi si può tranquillamente giungere a conclusioni ermeneutiche opposte. È ovvio che Hegel non può avere letto Marx, perché è morto quando Marx aveva solo 13 anni, od aveva appena terminato le scuole elementari. Tuttavia a volte è necessario utilizzare la tecnica teatrale che Bertolt Brecht ha definito dello “straniamento”. Lo straniamento, infatti, funziona ancora meglio nella storia della filosofia che nella tecnica teatrale, anche perché la stessa filosofia di Platone è stata a suo tempo definita il “teatro del logos”, ed un autorevole interprete di Socrate (Olaf Gigon) ha affermato che nell’antica Atene c’erano tre teatri pubblici, il teatro tragico, il teatro comico, ed infine il sokratikòs logos, in cui il dibattito filosofico era teatralizzato pubblicamente nell’agorà, in cui le diverse posizioni filosofiche erano rappresentate da maschere (prosopa). Adotterò quindi una sorta di straniamento teatrale, simulando che Hegel abbia letto Marx e lo abbia giudicato.