La domanda sull’identità dell’essere umano sta al cuore della riflessione filosofica, da sempre. Per quanto ne sappiamo, sembra che solo l’Homo sapiens sapiens sia in grado di porsi degli interrogativi sulle proprie origini, sulle cause del mondo, sull’interazione fra il nostro essere e ciò che noi non siamo. E tutto ciò che indaghiamo è in realtà parte di questa domanda su di noi, parte del bisogno che abbiamo di conoscere noi stessi. Le matematiche sono un’invenzione della mente umana; indaghiamo il cosmo per comprendere meglio il nostro abitare in questo piccolo pianeta posto alla periferia di una delle innumerevoli galassie che si muovono in uno spazio senza limiti; le scienze fisiche e naturali partono sempre dalla nostra corporeità e sempre a essa ritornano, sia come conoscenza pura che in quanto applicazione tecnologica, terapeutica, alimentare. La storia è per definizione la nostra storia; le religioni fanno ruotare persino il divino intorno ai destini della nostra specie; la questione del significato ci tormenta senza posa come un pungolo dal quale si generano tutte le arti e le filosofie.
Con il resto del mondo biologico condividiamo tutto: geni, ambiente, bisogni, limiti. Sappiamo però che l’intelligenza è una nostra peculiarità. E l’intelligenza in che cosa consiste esattamente? Essa è comprensione non solo degli oggetti ma anche dello strumento che su di essi indaga; è autocoscienza e non soltanto coscienza dell’ambiente nel quale un organismo è immerso e nel cui metabolismo la vita consiste; è capacità di trovare soluzioni anche diverse a problemi ricorrenti; è facoltà di apprendimento rispetto al vissuto e di infinita autocorrezione. L’intelligenza umana, soprattutto, è in grado di porre a se stessa degli interrogativi che penetrano il mondo cercandone una spiegazione quanto più possibile completa.