Le condizioni attuali dell’economia di Israele, che ha raggiunto uno stadio di sviluppo capitalistico avanzato ed è già in grado di esportare capitali sia pure in misura inferiore alle importazioni soprattutto verso paesi in via di sviluppo, si basano in primo luogo su imponenti apporti esterni di mano d’opera, conoscenze tecniche e scientifiche e beni di investimento. Nei suoi primi vent’anni di esistenza, dal 1949 al 1967, lo Stato di Israele ha registrato infatti un afflusso netto di capitali per 7654 milioni di dollari, di cui 5052 milioni di dollari, pari al 66%, sotto forma di versamenti senza contropartita (come i beni portati con sé dagli immigranti, le riparazioni versate dalla Repubblica Federale Tedesca, gli aiuti economici forniti dagli Stati Uniti e da altri paesi, e i fondi raccolti dalle organizzazioni sionistiche internazionali, soprattutto in America); i residui 2602 milioni di dollari sono rappresentati da prestiti ottenuti dallo Stato di Israele all’estero, in massima parte (502 milioni di dollari) dal governo degli Stati Uniti, e dagli investimenti di capitalisti privati, il cui valore complessivo era nel 1967 di 891 milioni di dollari, pari al 12% degli apporti complessivi di capitale…