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Ebook 1164

Giacomo Pezzano

Ripensare (con Marx): la natura umana tra filosofia, scienza e capitale.

2012, pp. 82.

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0. Tra natura e storia: per un’antropologia materialistica e «generica»

 

0.1. Com’è noto, per Marx il lavoratore sfruttato nel modo di produzione capitalistico è a tutti gli effetti un uomo animalizzato, che agisce meccanicamente e ripetitivamente, al ritmo di una macchina che marcia a sua volta assecondando l’inesorabile incedere del capitale (cfr. Marx 2008: 243-371), facendo dell’attiva e pianificata «responsività» propria dell’umano (cfr. p.e. Waldenfels 1994: 320-636; Waldenfels 2008) una mera passiva e irriflessa «reattività»; ancor più, l’ossimoro che prende il nome di «uomo capitalistico» diventa non solo un essere cui vengono meno i bisogni umani, ma addirittura anche quelli animali (cfr. p.e. Marx 2004b: 122 s.): alienazione/estraniamento significa così animalizzazione, o – meglio e più radicalmente – dis-umanizzazione (se non appunto persino dis-animalizzazione), significa cioè che l’essenza umana viene intaccata e messa in pericolo, significa che la natura umana è esposta al rischio di essere veementemente negata, di andare perduta irrimediabilmente.

 

0.2. Uno dei concetti più centrali e discussi nella prospettiva marxiana (se non il più centrale), quello di alienazione/estraniamento, rimanda dunque al compito preliminare di definire la specificità della natura umana all’interno di quella stessa prospettiva: nelle pagine che seguono, sonderò la portata concettuale ed euristica della definizione marxiana dell’uomo in termini di Gattungswesen, che intenderò come «ente naturale generico». La natura umana è, in altri termini, descrivibile come una natura generica. In particolare, intendo la genericità: i) come esposizione al fuori, come socialità nel senso della necessità del rapporto con l’alterità e l’esterno (Gemeinwesen e Gattungswesen vengono così a coincidere laddove si conferisce centralità non tanto a una qualche «comunità organica» o all’insieme del «genere umano», quanto prima di tutto alla relazione in senso ampio e profondo); ii) come consegna a una dimensione potenziale dell’essere al mondo, come una forma di determinazione né genetica né tantomeno degenere, che comporta necessariamente storicità e modalizzazione – libertà. Il punto da tenere ben presente è però che i) e ii) rappresentano le due facce della stessa medaglia, vale a dire che l’esposizione al fuori è immediata espressione della mancanza di un dentro necessario e prefissato e viceversa: è cioè proprio in ragione dell’assenza di una natura univocamente e definitivamente prestabilita che l’uomo è chiamato ad agire, ad aprirsi alla storia, a consegnarsi al rapporto dialettico con l’insieme di ciò che incontra, con l’alterità «umana» come con quella «non-umana» (§§ 1-2).

 

0.3. Queste due affermazioni possono portare a concludere che in certa misura alienazione ed estraniamento non solo appartengono all’essenza dell’uomo, ma anzi ne esprimono in maniera eminente la natura, la realizzano nel modo più profondo1: si tratta allora paradossalmente di ribaltare la visione secondo cui il problema del capitalismo sarebbe semplicemente quello di alienare/estraniare l’uomo (la sua essenza e la sua natura), perché piuttosto il vero problema è che il capitalismo pretende di impedire ogni ulteriore e sempre possibile forma di alienazione/estraniamento dell’uomo, irrigidendo l’apertura relazionale al mondo costitutiva dell’umano (Mitweltoffenheit), contenendola cioè in un’unica forma socio-economica e bloccandola in un’unica determinazione storico-politica. Ossia: facendo credere che esista un solo modo di essere umani, quello capitalisticamente inteso. Il che – più semplicemente ma nel senso che a essere in gioco è proprio l’essenza semplice dell’uomo, il nucleo intimo del suo esistere – è un modo per dire che il capitalismo cerca di corrodere la libertà umana impedendone la compiuta espressione. Il capitalismo dunque dis-umanizza l’uomo perché lo animalizza, cioè cerca di fare della sua Mitweltoffenheit una Umweltgebundenheit, cerca, se così posso dire, di alienare l’alienazione/estraniare l’estraniamento, allontanandoli da se stessi, dall’uomo, per consegnarli alla realtà destinale, monodimensionale eppure «una e trina» Denaro/Merce/Mercato.

 

0.4. In questo senso allora, sarebbe errato credere che nella visione marxiana il comunismo rappresenterebbe semplicemente la «fine dell’alienazione/estraniamento», e questo perché – come cercherò di mostrare (§ 3) – la prospettiva marxiana si oppone nella sua struttura concettuale al tentativo di pensare la storia e il cammino dell’uomo come il tentativo di restaurare un’essenza perduta, di tornare a quel Paradiso dal quale l’uomo sarebbe stato espulso in seguito al Peccato Originale/Originario. L’essenza generica è essenza storica, ed è per questo che se anche si può (anzi si deve) affermare che la libertà appartiene alla sua natura – è la sua natura –, non per questo si può affermare che l’uomo sarà senza dubbio libero, ossia che realizzerà concretamente tale sua natura in maniera necessaria e infallibile: proprio da questo fatto deriva la possibilità-necessità dell’alienazione/estraniazione. L’antropologia marxiana va colta come un’antropologia a pieno titolo insieme storica e naturale perché materialista, in quanto pensare materialisticamente significa pensare a partire dalla costituzione biologico-organica dell’uomo, la quale ci dice che l’uomo è corpo/cervello genericamente aperto al mondo, potenziale ed esposto alla relazione con l’altro da sé. Concentrandomi qui soprattutto sul secondo polo della comunque inscindibile «unità duplice» corpo/cervello (§ 4)1 bis, nella convinzione che «essere materialista significa ammettere che la costruzione cerebrale è capace di registrare la storia individuale» (Prochiantz 2009: 115), miro ad argomentare come un’antropologia materialistica (marxiana), rifiutando appunto qualsiasi tentazione ideologica di narrazione te(le)ologica (che assume oggi la forma della celebrazione della natura deterministica del gene), metta al centro della scena, dell’esistenza umana, la dimensione del possibile, la necessaria possibilità della libertà (§ 5).



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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