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Anni fa scrivevo su un giornale di Foggia. Avevo una rubrica intitolata Il filosofo e la città. Il mio obiettivo era quello di provare socraticamente come la filosofia non sia un’arte astrusa dalla realtà, incarnandosi piuttosto nelle vicende quotidiane di un paese, e della sua gente. Perché se è vero che fare filosofia significa impegnarsi costantemente nella ricerca della verità, porre interrogativi e quesiti, problematizzare l’esistente, allora non esiste al mondo una scienza che si occupi dell’uomo più di questa. E farne esercizio vuol dire anche, consapevolmente, mettersi in gioco nelle innumerevoli sfaccettature della vita. La politica, e l’amministrazione civica, non possono ritenersi immuni da questo scavo della ragione critica, che attraversa la città come luogo di dibattito e di confronto tra la gente e i suoi rappresentanti al potere. Vivere da uomini e donne consapevoli implica anche la responsabilità del doversi guardare attorno, per scorgere le discrasie esistenti, ed immaginare il poter essere. L’eterno dissidio tra reale e ideale diventa, allora, parte integrante di questa accesa dialettica tra ciò che è e ciò che potrebbe essere. E nello iato si scorge la mancanza, l’assenza, il vuoto. La scienza filosofica si presta a fornire gli strumenti per decodificare il reale. Per insegnare all’uomo a camminare sulle sue proprie gambe, e ad avere il coraggio di pensare, assumendosi tutte le conseguenze del pensare stesso, in autentico spirito kantiano. Per questo motivo ho scelto di pubblicare in questo volumetto alcuni dei miei contributi più significativi alla rubrica su menzionata. Perché credo fermamente che non ci sia niente di più concreto al mondo del fare filosofia in modo autentico, scevro da ogni pregiudizio.
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