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Introduzione
Sergio Quinzio è stato uno studioso delle religioni nato ad Alassio nel 1927, e morto a Roma nel 1996. Egli non fu un accademico. Militò anzi, per guadagnarsi da vivere, per 17 anni nella Guardia di Finanza, da cui poi prese congedo per dedicarsi totalmente alla scrittura, che svolse principalmente ad Isola del Piano, un piccolo paese delle Marche.
La sua vita è stata interamente attraversata da una visione critica della fede, che lo ha condotto ad una conoscenza vastissima ed approfondita dei testi sacri, e ad un approccio pessimistico, ma umanissimo, alla realtà. Il pensiero della morte, in particolare, ha caratterizzato tutta la sua esistenza.
Chi conosce i miei precedenti lavori potrà, forse, considerare questo testo un po’ distante dal mio consueto interesse per una costruzione veritativa e sistematica del pensiero filosofico. Quinzio è infatti un pensatore frammentario, evocativo, ben lontano dai “miei” Platone, Aristotele ed Hegel.
Questo è il mio quinto libro (ho finora pubblicato un testo di riferimento intitolato L’anima umana come fondamento della verità, un testo sulla dialettica hegeliana dal titolo Verità e dialettica, e due monografie, una su Karl Marx ed una su Emanuele Severino) che chiude un ciclo “preparatorio” alla stesura di un’opera generale che si intitolerà La struttura sistematica della verità dell’essere, la quale richiederà però tempi lunghi per la realizzazione. Essa sarà preceduta dalla pubblicazione di un Dialogo su fondamento e verità scritto con Massimo Bontempelli, da un altro testo dialogico composto con Umberto Galimberti, e da uno studio monografico dedicato al pensiero dello stesso Galimberti. In cantiere sono anche due volumi che porteranno il titolo, rispettivamente, di Conoscenza della felicità e Conoscenza dell’amore.
Svolto questo breve “punto della situazione” della mia attività utile al lettore soprattutto per sapere chi ha di fronte occorre dire, per tornare a Quinzio, che il suo tentativo disordinato di esplorazione delle profondità dell’anima si è rivelato per diversi aspetti molto fruttuoso. Per questo motivo ho deciso di interrogare il suo pensiero. L’uomo, fondamento della verità dell’essere, è infatti implicitamente anche il centro della riflessione quinziana, i cui spunti sono germogli che sarebbe tragico lasciare appassire.
Ho strutturato questo testo in base ad un preciso ordine. Nel primo capitolo ho preso in carico il pensiero religioso del nostro autore, assolutamente centrale nella sua opera. Nel secondo ho descritto il suo pensiero filosofico. Al terzo ho invece lasciato l’approfondimento di alcune tematiche storiche e personali.
La passione che traspare dalle pagine di Quinzio ha una precisa origine, e nasce dal suo essere stato un vero cristiano, un uomo sofferente che attese alla lettera l’esaudimento della promessa del Cristo: la resurrezione della carne, il risveglio di tutti i morti e la vita eterna. Egli si interrogò continuamente sul perché ciò non fosse ancora accaduto, nonostante le rassicurazioni di Gesù vivente. Quinzio non si accontentò mai di questo mondo, e reclamò sempre fermamente, seppure con voce sommessa, un altro mondo, il “regno promesso”.
Il linguaggio di Quinzio, come quello delle Scritture, è insieme poetico ed eloquente. Per questo motivo il mio libro lo riproporrà spesso tale e quale. Riproporre Quinzio significa però anche ripercorrere quella malinconia che fu propria di tutta la sua opera, e che oggi come allora lo fa sentire a noi umanamente molto vicino. L’uomo è infatti sospeso su un filo sottile, il cui attraversamento è una rappresentazione spesso inconsapevolmente tragica.
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