Una tela sottilissima
Alberto Severi, drammaturgo. Piccoli gioielli, sparsi qua e là. Una vita doppia, tripla, doppi o tripli servizi, un condominio disabitato e periferico, ilarità, piccoli scoppi di risa sommessi, erotismo latente, crudeltà tra le mura domestiche, personaggi strambi e stravaganti, in cerca di sé, in cerca di lutto, in cerca di tutto, valanghe di micidiali battute all’arsenico (con qualche vecchio merletto), acido muriatico, acidi corrosivi, acidità di stomaco, fendenti senza scampo, crepe alle pareti del salotto buono, tutti fermi nella living room in attesa che il Tempo passi, ma non passa, ancora crudeltà, accensioni sulfuree: e poi, memorabile, improvvisa, trafiggente, la puntina da disegno, che ti inchioda, ti immobilizza alla sedia, sguardo perduto nel vuoto, ogni passione spenta.
Alberto Severi, drammaturgo. Erotismo ilare e funesto. Erotismo appartato, pubblicizzato, ancora nascosto, criptato, esibito. Erotismo raggelato dalla parola, circondato e frustato dalla sferza dell’ironia, perfino dell’incredulità, erotismo funereo e lugubre un istante prima, fiabesco e ammiccante un istante dopo. Erotismo pedofilo, erotismo da Peter Pan, erotismo cannibalico e coinvolgente, siamo sempre tutti nella foresta indipanabile dell’eros, siamo sempre tutti legati con le liane dell’innocenza e dell’inconsapevolezza, in un paesaggio edenico che non cessa di esser tale solo perché urbano, solo perché cittadino, solo perché perbene, solo perché civile ed evoluto ed educato e borghese e così si fa, si è sempre fatto così, mamma, dammi ancora la luce.
Alberto Severi, drammaturgo. La quarta parete ancora necessaria, tre pareti a delimitare il salotto delle passioni, la stanza della ragione, la stanza della crudeltà, la stanza della follia, binari deragliati, piste abbandonate con lo sguardo lucido e febbrile, regole e codici infranti con voluttà: un disegno autodistruttivo, carico di consapevolezza, lucido, alterato, da folletti danzanti, ariel più calibano più prospero più riccardo terzo più un amleto da strapazzo e privo di sogni, più un re lear malvissuto e leggermente arteriosclerotico, più ovviamente una dolce ofelia che non impazzisce più perché è nata pazza e da lei non mi aspetto che questo, non esigo che questo, follia, follia ordinata, eros che si trasforma in follia, eros che si trasforma in mania, eros infine che si trasforma in persecuzione.
Alberto Severi, drammaturgo. Alberto ci racconta una fiaba: nel bosco si aggira una bimba innocente e perversa come Cappuccetto Rosso, si annida un Lupo peloso e guardingo (l’aggettivo trova la sua ragione di essere nella radice, che richiama al verbo guardare), si nasconde una Fatina dai Capelli Turchini, un po’ mamma un popò. Il lettore smette di leggere e di sognare. Comincia a guardare e a sognare. Ascolta. Guarda. Si abbandona al cammino, al sentiero tra gli alberi, sogna di essere uno, di essere due, Hänsel e Gretel, cammina cammina cammina, in cerca della mamma perduta, dell’eros perverso, delle sensazioni indicibili, del groviglio, dell’amore innocente succhiato da capezzoli non dimenticati, ritorna infante, infantile, informe. Il lettore, infausto burattino di legno nelle mani dell’Autore, si trasforma in spettatore adulto, responsabile, autonomo, manda al diavolo il mondo, così si fa, si è sempre fatto così, Alberto, dammi ancora la luce.
Alberto Severi, drammaturgo. Prima di questa gelida, trasparente, cristallina, durissima Aracne, tela suprema di ordite passioni, ha composto e pubblicato, tra l’altro, Valzer (1996), pasto cannibalico di stupefatta levità; La Guerra Piccola (1999), lunghissima irridente risata sulla sacralità della Prima Guerra Mondiale, ridotta a sfondo per le contorsioni di uomini e donne; e Brutta Razza (1998), finzione giornalistica dove la finzione non è finzione e il giornalismo non è giornalismo. Con Alberto non si è mai dove si è, non si è mai chi si è, non trovi risposte, forse non trovi nemmeno domande. Ridi, ti guardi intorno, a disagio, circospetto, ti sorvegli e forse anche un po’ ti vergogni della tua risata, del tuo abbandonarti alla vita e al divertimento, ti guardi ancora intorno, maldestro e incerto e, pentito, torni a ridere.
Alberto Severi, drammaturgo.
Alberto Pozzolini