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Cat.n. 029

Francis Thompson

Il Segugio del Cielo e altre poesie. [Testo originale a fronte] Traduzione e Introduzione di Maura Del Serra.

ISBN 88-87296-98-7, 2000, pp. 272, formato 140x210 mm., Euro 16,00 – Collana “Egeria” [10].

In copertina: foto di Francis Thompson negli anni dell’Owens College (1877-1885).

indice - presentazione - autore - sintesi

16,00

Introduzione

di Maura del Serra

 

 

Francis Thompson, uno dei maggiori e più raffinatamente suggestivi esponenti della poesia religiosa inglese ed europea, nacque a Preston, città industriale del Lancashire, il 18 dicembre 1859, da una famiglia della media borghesia di radici cattoliche e di tradizioni mediche e legali, influenzata dalle idee riformatrici dell’“Oxford Movement” del Cardinale Newman. Crebbe, con le due sorelle minori Mary e Margaret, nel comfort e nella sicurezza di un ambiente ortodossamente devoto alla Chiesa di Roma (ed un po’ isolato in conseguenza delle lotte locali fra protestanti e cattolici) ma aperto ai problemi sociali e sollecito verso i bisogni dei poveri, che si affollavano nella cucina di casa e formavano la quasi totalità dei pazienti del padre Charles, uno dei primi medici omeopati inglesi, stimato e rispettato anche dagli anglicani. A temperare la diffusa diffidenza ambientale verso le arti e la letteratura molto valse, per l’ipersensibile, introverso e sognatore Francis – che Margaret ricorda esile e scuro di capelli, con occhi grigio-blu “pieni d’intelligenza e di luce” – la figura dello zio Edward Healey, che nutriva interessi umanistici e corrispondeva con Newman, e soprattutto quella della madre Mary Turner, donna di carattere e di buona educazione (figlia di un chirurgo, prima del matrimonio era stata governante) alla quale il poeta fu sempre emotivamente molto legato, e che lo incoraggiò nella pratica della lettura, del disegno, della pittura e della musica, arte a cui la sua poesia attinse sempre il correlativo simbolico. Come per altri scrittori del romanticismo e del decadentismo europeo, l’imprinting musicale si associò indissolubilmente per Francis con quello delle cerimonie religiose e della liturgia cattolica, che fu per lui determinante in senso estetico-immaginativo e spirituale.

Fin dall’età di sette anni (che suona anch’essa simbolica e quasi agiografica, o comunque assai rimbaudiana nell’evocarci “les poètes de sept ans”) si era dato a letture appassionate dei poeti medievali, di Walter Scott e soprattutto di Shakespeare in una stimolante edizione illustrata, restandone sedotto fino ad usare ed a ricreare correntemente, parlando, i suoi splendidi arcaismi – altro tratto che diverrà intrinseco alla sua poesia – malgrado il presago ammonimento materno a “stare attento, o la gente penserà che sei strano”, come ricorda egli stesso.1 Nei prolungati silenzi introspettivi e nei giochi – per lo più appartati o condivisi con le sorelle, in misura minore con i coetanei maschi: le carte, il cricket, il teatro di marionette, le battaglie – sviluppò precocemente una predilezione per i rituali, gli schemi ritmici e le architetture analogiche, associando da allora in poi i suoi sogni di bellezza e poesia ad un favoloso passato metastorico (“non ho mai sognato l’amore come un sentimento moderno” scriverà nei Taccuini).2 La centralità magica, ma complessa e tutt’altro che idilliaca dell’infanzia è il perno biografico e simbolico della sua visione del mondo, e lo indurrà a notare in età matura:

 

Sì, l’infanzia per me è tragica. E poi i critici si lamentano che non ne scrivo “semplicemente”. Stupidi! Come se ci fosse qualcosa di più complesso, di più congiunto al cuore del mistero, che contemplarla.3

 

e a riconoscere, in analoghe riflessioni, di “essere sempre stato in un certo senso un bambino, e in un altro di non esserlo mai stato”, di non aver mai condiviso “i pensieri, i modi, i gusti, lo stile di vita” infantili, nonché di voler coscientemente prolungare e privilegiare nella vita adulta il gioco della potenza immaginativa tipico dei primi anni, difendendo “la fata madrina” che ogni bambino ha “nella sua anima” , e che gli consente “di vivere in un guscio di noce e di sentirsi re dello spazio infinito”, spingendosi fino ad affermare con perfetta lucidità: “Non volevo crescere, non volevo emanciparmi dal controllo dei genitori... Non volevo responsabilità, non volevo essere un uomo”.4

Sensibile all’influsso culturale ed affettivo di un amico di famiglia, il giovane ecclesiastico John Carroll (che diverrà poi vescovo) Francis coltiva precocemente anche l’idea di farsi prete; a undici anni, nel 1870, viene iscritto al cattolico Ushaw College, dove il conservatorismo teologico – che si traduceva nella preminenza data alle cerimonie liturgiche – coesisteva con una notevole apertura umanistica. Francis vi restò fino al 1877, studiandovi lettere, matematica, storia, geografia; malgrado la timidezza, la sofferenza per la mancata privacy e il senso di isolamento (che lo induceva ad identificarsi con l’antico tasso solitario intorno a cui sorgeva il College, e per l’abbattimento del quale scriverà nel 1891 A Fallen Jew [ Il tasso caduto ]) vi si segnalò per l’amore onnivoro verso la lettura, ed ancor più per le pratiche sportive e il delicato sense of humour, ma soprattutto per le brillanti e fervide “compositions” a soggetto, in inglese e latino, tra cui , rimaste memorabili, una sulla Rivoluzione Francese ed un “Exercise in Low Figures”, pastiche fiabesco-allegorico centrato su un autobiografico Antoine de Burneval, biondo giovinetto medievaleggiante sospeso tra sogni infantili e temuta consapevolezza adulta. Tali prove gli procurarono il plauso unanime di insegnanti, uditori e compagni, per i quali ultimi scriveva su richiesta anche poesie “maccheroniche” o parodistiche.

In questi anni di formazione inizia ad annotare sui Taccuini, oltre a riflessioni, tentativi poetici più seri, già dominati – come l’incompiuto Helias – dal tema del sole come simbolo di pienezza creativa, amorosa e cosmica; ma, con l’avanzare dell’adolescenza, prende corpo drammatico il conflitto, che dominerà la sua vita e la sua arte, fra la religione istituzionale e quella interiore della poesia. Quest’ultima, che lo indurrà a definirsi un “eremita della Bellezza”, lo assorbe fino a fargli rimproverare dai superiori la scarsa assiduità alle pratiche del culto, nonché la ”naturale indolenza” e la “timidezza nervosa”, giudicate infine inadatte ad un suo futuro impegno nella carriera ecclesiastica.

Alla rinuncia, da lui decisa con sofferenza e vissuta dai genitori con delusione, fece seguito l’opzione familiare per la medicina e l’entrata di Francis alla Medical Scool dell’Owens College di Manchester (poi divenuto Victoria University) che era all’avanguardia negli studi clinici e nella pratica anatomica.

Vi restò dal 1877 al 1885, ma il nuovo imprinting – poeticamente importante e indelebile, come fonte del suo repertorio veristico di immagini di malattia e corruzione – si tradusse subito in repulsione per gli aspetti più crudamente concreti dell’apprendistato medico-chirurgico (le dissezioni, il sangue) rafforzandolo segretamente nell’ambizione di “diventare un grande scrittore” , e inducendolo a disertare le lezioni per rifugiarsi nelle gallerie d’arte – dove contempla per ore le sculture – e nelle biblioteche pubbliche, dove legge con ammirazione Dante Gabriel Rossetti (che rafforza in lui il senso della compresenza fra bellezza divina e terrestre, e del quale scrive nel 1883 una commemorazione poetica) unendovi De Quincey, regalatogli su sua richiesta dalla madre; ma proporzionalmente cresce in lui il senso di colpa nei confronti delle speranze familiari, soprattutto paterne.5 La sensazione di essere “un figlio insoddisfacente sotto ogni aspetto” si accentua in seguito all’esito fallimentare degli esami, ripetutosi per due volte nel 1879; in tale occasione si reca a Londra e a Glasgow, soggiornando presso parenti e continuando le visite a musei e gallerie, ma anche iniziandosi gradualmente all’uso dell’oppio (allora venduto liberamente sotto forma di laudano e circondato, assai più che l’alcool, da un generale permissivismo) il quale veniva somministrato alla madre già gravemente ammalata, e che dunque appare nella vita di Thompson sotto il segno palese di un transfert materno-compensativo e regressivo. Alla morte della madre (dicembre 1880) risale anche la prima poesia significativa, The Second Death (La morte seconda, ovvero quella spirituale) dove l’identificazione amorosa con la morta e il senso del mistero insondabile dell’anima umana sono “doppiati” da un severo autogiudizio: la madre morta vede ora la miseria e la paura del vero “io” del figlio, della sua “hid soul” (anima nascosta).

Il senso crescente di colpa e di fallimento, aumentato dalla mancata accoglienza delle sue poesie da parte delle riviste letterarie a cui le invia, sfociano in un esaurimento nervoso che accentua il suo aspetto fragile ed ascetico, e che induce il padre ad acconsentire al suo ritiro dal College e alla sua definitiva rinuncia alla medicina (1884). Seguì un confuso periodo di tentato inserimento sociale (assai simile alla ridda di mestieri di sopravvivenza praticati un venticinquennio dopo dal nostro più errabondo Dino Campana) che lo vide impegnarsi senza successo come fabbricante di strumenti chirurgici o come venditore di nuove enciclopedie, e tentare perfino l’arruolamento nell’esercito, dove venne riformato per insufficienza toracica. Infine, anche a seguito della disgregazione del nucleo familiare – il padre si risposa, e la matrigna Anne Richardson lo osteggia apertamente, considerandolo un fannullone drogato, la sorella Mary, che aveva preso il posto della madre e lo accudiva, si fa suora di clausura, l’altra sorella Margaret si sposa trasferendosi in Canada – Francis trasforma la sua bohème saltuaria in definitiva, lasciando nel novembre 1885 la casa paterna per Londra, munito solo di una piccola provvigione per l’alloggio, sette scellini a settimana, e di due libri: le tragedie di Eschilo e le poesie di Blake. Per i successivi tre anni, senza mai cercare aiuto presso parenti od ex compagni “in carriera”, vi farà vita di strada nello Strand e negli slums ancora dickensiani del tempo, tentando dapprima un lavoro di fattorino librario, ma scendendo ben presto, nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, agli espedienti comuni alle lower classes e agli emarginati, soprattutto il commercio minuto di fiammiferi, che esercitava nelle ore serali, dedicando quelle mattutine alle letture nella ben riscaldata Guildhall Library (oltre ad Eschilo a Sofocle, che si portava sempre in tasca, Walter Pater e i simbolisti francesi, in particolare Baudelaire e Verlaine): ma ne venne ben presto cacciato a causa dei vestiti stracciati e dell’aspetto da “barbone”, ed ugualmente venne bandito dalla National Gallery (dove ammirava soprattutto l’Ecce Ancilla Domini di Rossetti e La Processione al Calvario del Ghirlandaio) perché vi suscitava le reazioni disgustate dei visitatori “socialmente corretti”. Alla rigida ipocrisia del mondo vittoriano, che rimuoveva la piaga sociale della povertà ammantandola di ideali di santità francescana, sono dedicati i versi (da lui lasciati inediti) di Degraded Poor (Il povero degradato), che si affiancano nei Taccuini alle molte poesie frammentarie di questo periodo, ispirate, sulla scorta di Coleridge e di De Quincey, alle visioni grottesche e agli incubi dell’oppio. Ancora a Coleridge (soprattutto alla Ballata del vecchio marinaio) ma anche al mondo neo-cortese e al Paradiso terrestre di William Morris, sono ispirate tre ballate composte in questi primi anni londinesi,6 in un’oasi relativamente serena che Thompson trascorse presso il fabbricante di scarpe e filantropo Mc Master, che per alcuni mesi gli dette alloggio, solidarietà umana ed un lavoro leggero che gli consentì inoltre di approfondire letture antiche e moderne e riflessioni nel saggio (notevole anche se carente di prospettiva storica) Paganism Old and New (Paganesimo vecchio e nuovo),7 dove confuta le teorie dell’arte per l’arte proprie del levigato estetismo decadente, nel quale “anche la putrefazione splende”, propugnandovi invece, come in tutta la sua poesia successiva, l’unione enarmonica di amore e bellezza, ovvero un cristianesimo arricchito e perfezionato dalla migliore eredità classico-pagana.

Dopo una rapida visita del padre e della sorella monacanda – visita da lui vissuta con comprensibile angoscia – Francis torna brevemente in famiglia per il Natale 1886, e vi scrive The Ballad of Fair Weather (La ballata del bel tempo) metaforicamente dominata dalla presenza della matrigna, la stregonesca Madre Nera (“witch-like in wish”) che, staccandone sacrificalmente il corpo dalla testa come ad un novello Orfeo, uccide “l’uccello del bel tempo”, simbolo autobiografico del nido perduto e della sua illusoria sicurezza: il finale è però nel segno della ricongiunzione onirica, amorosa e funebre di fratello e sorella nel primigenio cosmo perduto, sotto forma di shakespeariani salici dalle chiome congiunte (“ The silver drooped willows / They mingle their feather / Where they are lying / In sunshine together, / Asleep in fair weather, – / Dead, in fair weather,” [Penduli i salici d’argento / confondono le chiome / là dove insieme / stanno nel sole: / dormono nel bel tempo, / son morti nel bel tempo ]). Ma la mancata riconciliazione col padre e l’uso crescente dell’oppio inducono infine Mc Master a congedare il poeta, che in seguito non parlò mai dell’episodio: tornato alla vita di strada, cessò ogni relazione con la famiglia d’origine, mantenendosi in contatto, tramite il fermo posta di Charimg Cross, solo con l’amico canonico Carroll, incoraggiato dal quale scrive The Passion of Mary (La passione di Maria) e Dream-Tryst (Appuntamento in sogno). Si sostenta con espedienti sempre precari – tra cui quello di raccoglitore di stoppa, sul cui fallimento scrive note autoironiche nei Taccuini – e passa le notti negli ospizi, ma più spesso sotto i ponti dell’Embankment e di Charing Cross (poi trasfigurato nella splendida, testamentaria The Kingdom of God [ Il regno di Dio]). Sono di questo periodo oscuro molti versi sparsi, evocanti “a waste of darkness weary to the sight” (un deserto di tenebra che opprime la vista); le note autobiografiche per un saggio, poi distrutto, sulla miseria e lo squallore di Londra, con le immagini (ancora di ascendenza medica) di “rovina carnale” nelle strade colme di “milioni di anime suppuranti” e di “umanità infetta”; e la tentazione del suicidio con una forte dose di laudano, di cui però si trattiene dal prendere la seconda fatale metà, perché distoltone dall’apparizione confortante e salvifica di Thomas Chatterton.8

La visione fu seguita a breve distanza da due incontri determinanti per la vita e la poesia di Thompson: il primo fu quello amoroso e protettivo con una giovane prostituta (“street girl”) che il poeta lasciò sempre in un pudico anonimato pregno di appassionata gratitudine, e che lo nutrì e lo ospitò per circa sette mesi nel suo povero alloggio di Brompton (inducendo unanimemente la critica a paragonarla alla soccorrevole piccola Anne delle Confessioni di un mangiatore d’oppio di De Quincey); la ragazza scomparve senza lasciare traccia, malgrado le ricerche annose del poeta, che la rimpianse invocandola con tenerezza nei Taccuini, ovvero, come “triste Semele” o Mater Dolorosa, nel sonetto omonimo (Sad Semele) dove è detta “madre della sua [del poeta] immortale progenie di dolore” come Semele di Dioniso; e la cantò in altre poesie9 ugualmente non destinate alla pubblicazione – come After Love’s End (dopo la fine dell’amore), La Fille de Joie e Not Even in Dream (Neppure in sogno) – dove le chiare allusioni all’amore insieme materno-sororale e carnale si alternano all’aperta polemica contro una Chiesa che predicava il perdono, ma escludeva le moderne Maddalene da ogni riscatto (“The gates of Hell have shut her in alive” [Le porte dell’inferno l’anno rinchiusa viva]); la sua figura ricomparirà, con accenti più idealizzati, nelle Sister Songs e in Memorat Memoria dei New Poems. La ragazza si dileguò con silenziosa, romanzesca nobiltà quando Thompson fece il secondo incontro determinante della sua vita, quello con Wilfrid Meynell, direttore del giornale “Merry England”, patron del giornalismo cattolico-liberale e filantropo newmaniano (ma vicino anche all’opera sociale del cardinale Manning) – a cui il poeta, nel febbraio 1887, aveva inviato alcune prose e poesie senza ottenere risposta: risultò poi che erano andate smarrite per sei mesi durante le pulizie primaverili dell’ufficio postale. Nel numero di aprile del 1888, “Merry England“ aveva pubblicato The Passion of Mary senza avvertirne l’autore – che ne fu informato dal canonico Carroll – proprio per cercare di rintracciare il poeta, il quale in effetti, “travolto da una marea di disgrazie” che non gli avevano “lasciato agio di occuparsi di ciò che considerava un tentativo irrimediabilmente fallito” (come scrisse giustificandosi a Meynell) non si era più curato di recarsi alla posta né di riscrivere. Nella stessa lettera Thompson si scusava dello stato dei suoi manoscritti stracciati e macchiati, “non dovuto a sciatteria, ma agli strani luoghi e circostanze” della loro composizione. Dopo una seconda lettera in cui chiedeva spiegazioni per lo scoop giornalistico di cui era stato oggetto, Thompson dette a Meynell come indirizzo quello di un farmacista di Drury Lane, dove Meynell si recò senza trovarlo e pagò il debito arretrato del poeta per molte dosi di laudano.

L’incontro, all’insegna della scoperta reciproca, avvenne infine nell’ufficio di Meynell, che vinse con tatto la diffidenza del poeta; questi fu subito accolto cordialmente e senza pregiudizi da Wilfrid e dalla moglie Alice (poetessa di fama, di temperamento più fantasioso ed astratto del manageriale consorte) e divenne ben presto ospite fisso nella loro casa di Kensington, ritrovando il calore familiare e la protezione perduta, ma rifiutò di lasciare la vita di strada finché nutrì qualche speranza di ritrovare la rimpianta “street girl”. Infine accettò la proposta di ricoverarsi in ospedale per disintossicarsi e ristabilirsi, persuadendosi poi a vivere provvisoriamente dai Meynell e ad entrare nello staff dei collaboratori retribuiti della loro rivista (che prendeva il nome da un sonetto di Wordsworth e, ispirandosi al neomedievalismo di Morris e del Young England Movement, mirava a diffondere la letteratura e l’arte tra i cattolici – e non – del paese). La redazione coincideva in gran parte con la casa dei Meynell, vivace di discussioni e di frequentazioni (Hilaire Belloc, Lionel Johnson, W. E. Healey, il gesuita George Tyrrell, poi leader del movimento modernista, nonché il giovane William Butler Yeats con la compagna Katherine Tynan).

Alla pubblicazione del saggio Paganism Old and New e di Dream-Tryst seguì per Thompson un periodo di aridità desolata e di débacle fisica – anche in seguito alle crisi di astinenza – e di rinnovati timori di fallimento delle aspettative “paterne” riposte in lui da Meynell, su invito del quale si recò in ritiro nella prioria francese di Prémontré a Storrington nel Sussex; vi rimase per più di un anno (1889-1890) compiendovi lunghe escursioni sulle colline e nel villaggio (dove strinse amicizia con i paesani e con i bambini, in particolare con Daisy Stanford, protagonista di molte poesie, tra cui To Olivia) ed immergendosi salutarmente nei due ritmi, ugualmente amati, della natura e delle cerimonie liturgiche. Qui il suo dono poetico mise radici di consapevole maturazione ed autoriflessione in articoli e saggi via via spediti a Meynell, come quello in difesa dei romanzi di Zola, il cui valore distingueva dai compiaciuti imitatori “iper-realisti” in nome della coincidenza fra verità ed ethos, e del conseguente diritto a rappresentare il male, “la tetra realtà che ci tumultua intorno”, liquidando invece severamente l’edulcorata produzione di consumo contemporanea, che “somiglia all’esistenza […] come la cera alla carne”.10 Complementare è il saggio, dal titolo assai novecentesco, The Way of Imperfection (La via dell’imperfezione) nel quale Thompson rifiuta, dopo gli eccessi del positivismo, quelli dell’estetismo algido e neoclassicistico alla Pater, invocando la saggia “imperfezione” propria della natura e della grande arte.11 Seguì un saggio su Crashaw, il cui genio Thompson anteponeva a quelli di Donne e di Shelley e il cui influsso è ben riconoscibile nella ricca vena elisabettiana della sua poesia, che appare tuttavia innervata e colorita dalla grande tradizione del visionarismo romantico – da Blake a Coleridge allo stesso Shelley e a Keats – già nella sua prima prova poetica “ufficiale”, la maestosa Ode to the Setting Sun (Ode al sole che tramonta) scritta nel maggio 1889 al “Calvario” dell’Abbazia; articolata, come molte composizioni di respiro epico, in forma tripartita, con un “preludio” e un “congedo” di un lirismo soggettivo, incornicianti un “corpo” più universalmente oggettivante, è dominata dall’immagine dell’astro cadente come metafora sacrificale del Christus patiens, ma soprattutto dal tema catartico, centrale in Thompson e in ogni poesia religiosa, dell’unione agonica di umano e divino in una morte e rinascita ciclica delle forme create, che è fonte vitale della poesia, e quindi dell’essenza gioiosa del dolore, che propizia la finale identificazione ottativa del poeta con la vita cosmica ed astrale. L’ode, riveduta, ridotta e depurata dagli eccessi di proliferazione analogica che rappresentarono sempre un pericolo per Thompson, comparve con successo sul numero di settembre di “Merry England”; Meynell inviò ad amici e conoscenti una selezione di versi e prose del suo protetto, che fruttò a quest’ultimo la lode preziosa e la “confidente attesa” nelle promesse del suo talento da parte di Robert Browning, ormai vicinissimo alla morte. La lode contribuì a far superare al poeta le ricorrenti depressioni innescate e potenziate, nella pur salutare solitudine, dalla lotta fra il côté pagano e quello cristiano della sua anima, e dal timore paralizzante di cadere nella ybris ulissiaca o faustiana, ovvero nel peccato di orgoliosa vanagloria a causa dell’ambizione poetica: timore angoscioso riflesso nel racconto goticizzante, apparso ancora su “Merry England”, Finis Coronat Opus, dove l’eroe spezza teatralmente il crocifisso sull’altare.12

 

Allo stesso periodo di successo anche come critico e recensore appartengono l’articolo sul Macbeth uscito sulla “Dubin Review”, e soprattutto il saggio su Shelley, scritto su invito della stessa rivista ma rifiutato per motivi di censura ideologica (uscirà postumo solo nel 1908): motivi causati dall’appassionata, audace ed assai autobiografica lettura del grande poe-ta romantico in una chiave simbolico-mitologica (oggi divenuta corrente) ossia come erede dei metafisici elisabettiani, ma soprattutto come demiurgo-puer, schillerianamente ingenuo e precristiano (una sorta di platonico e pascoliano “fanciullino”, ma con un’aura di ebbrezza rimbaudiana e zarathustriana); egli, dice Thompson,

 

entra ed esce danzando dalle porte del cielo […]. Corre sfrenato per i campi dell’etere. Insegue il mondo che  rotola. Si mette tra i piedi dei cavalli del Sole. Sta in grembo alla paziente Natura, e le acconcia le trecce sciolte in cento fogge ingegnose, per vedere come sarà più bella nei suoi canti.

 

(questa immagine edenico-erotica del gioco con le trecce della Natura, o delle sue incarnazioni femminili, tornerà quasi ossessivamente nella poesia thompsoniana). Ma Shelley è anche il poeta-alter ego di un’attiva “religione dell’umanità”, ossia “per l’umanità, una religione che, a differenza della spettrale Cristianità che lo circondava, doveva permeare e regolare l’intera organizzazione umana”; concezione che, aggiungeva Thompson, dovrebbe essere condivisa in un’èra in cui “l’Onnipotente è stato trasformato in Deità costituzionale” (cioè insieme istituzionale e inoffensiva); assai shelleyana è anche la difesa della poesia – sull’esempio di San Francesco e Dante – dal sospetto e dalla ristrettezza di vedute ecclesiastica, che ha considerato l’arte “nel migliore dei casi superflua, nel peggiore perniciosa, per lo più pericolosa”.

Shelleyano è anche lo spunto tematico della “più grande delle sue odi”, come Thompson definì nei Taccuini The Hound of Heaven, iniziata a Storrington alla fine del 1889 e terminata a Londra tre mesi dopo: l’immagine dei “segugi” del tempo nel Prometeo liberato (IV, 73) gli prese corpo tematico, cristianizzandosi nell’immagine mistica della search (rovescio speculare di quella della quest) ossia della caccia data alla desiderosa e riluttante anima umana da parte di Dio, che la assedia col suo passo inseguitore di “ tremendous Lover “ (tremendo Amante) per tutti i regni della Natura e dell’Anima stessa, nelle cui bellezze finite e seducenti l’uomo cerca di barricarsi. L’ode, fitta di echi (ma pienamente personalizzati) della tradizione sacra e profana – dai Salmi a Sant’ Agostino, da Dante a Herbert, Crashaw e Milton a Keats, De Quincey e Rossetti: ma il tema è comune anche al più prossimo Wreck of the Deutschland (Naufragio del D.) di Gerald Manley Hopkins (1876) – è tramata da vere e proprie ”galassie verbali” (Boardman) e scandita da martellanti refrains, mimetici dell’assillo interiore, che arginano l’ingegnosità analogica convertendola in ritmata sentenziosità, e scolpiscono il proliferante preziosismo fantastico, gemmato di arcaismi, in una densa e d inquieta sinfonia simbolica dal finale aperto, privo del classico lieto fine spirituale. L’unione mistica resta infatti una mèta agonica per Thompson, che lascia Storington deciso a vivere teleologicamente, e non senza ambizione teologica, la propria poesia; annota infatti nei Taccuini: “Dopo il Ritorno alla Natura, il Ritorno a Dio. Wordsworth è stato il poeta dell’uno, io vorrei essere il poeta dell’altro”.13 Questa aspirazione – resa costantemente sofferta dal conflitto tra l’elemento libertario dell’empito poetico e la fedeltà ai principî cattolici, fra “l’alloro” e “il crocifisso”, anima il periodo successivo al suo ritorno a Londra (1890-’92) di una fervida anche se desultoria attività di recensore dai toni decisi (a volte addirittura aspri, proprio perché sottesi da delicati problemi di coscienza) nei confronti della letteratura di osservanza cattolica: in tale spirito scrive il saggio Catholics in Darkest England (I cattolici nell’Inghilterra più buia, uscito su “Merry England” nel luglio 1891) in difesa dell’istituzione dell’Esercito della Salvezza; lo scritto fu largamente apprezzato sia dal fondatore del movimento, William Booth, che dal cardinale Manning, che ricevette con calore il poeta e lo pregò di tornare.14 Quasi a contrappeso, scrive il mordace Modern men: the Devil (Uomini moderni: il diavolo), rifiutato dal laico “National Observer”, dove satireggia la svendita dell’anima contemporanea:

 

Mentre una volta un uomo poteva esser certo che la sua anima aveva un buon prezzo […] e viveva sontuosamente con i frutti del negoziato […] ai giorni nostri sarebbe già tanto se Faust vendesse la salvezza per un sottosegretariato, o una concessione mineraria, o una banca.15

 

Divide il suo tempo fra la vita nei pubs e la casa dei Meynell, partecipandovi sia alle riunioni familiari natalizie che a quelle letterarie della domenica pomeriggio, nelle quali abbandona talvolta la consueta riservatezza rivelandosi – mentre cammina su e giù agitando la pipa - brillante e persino fluviale conversatore su qualunque soggetto; rimane invece silenzioso quando viene invitato al “Rhymers Club” (Club dei rimatori) dai giovani poeti emergenti che trovò – eccetto Yeats – seriosi ed affettati. Ma il nucleo assorbente e radiante (che spesso gli fa ritardare la consegna dei contributi critici) resta per lui la poesia, ispirata in questo periodo dall’acceso amore platonico, tinto di eros filiale, per Alice Meynell, protagonista sublimata del ciclo Love in Diana’s Lap (L’amore in grembo a Diana). Alice ricambiava il poeta chiamandolo “My child” a voce e per lettera, ed accogliendo le confessioni delle sue lotte umane ed artistiche (rivolte specialmente contro il “peso morto del linguaggio” d’uso)16 nonché le autocritiche che il poeta si rivolgeva, paragonando sfavorevolmente i propri versi a quelli di lei: To a Poet Breaking Silence (A un poeta che rompe il silenzio) celebra appunto il ritorno di Alice all’attività poetica, mentre nel ciclo dei “ritratti” di lei emergono la rossettiana Manus Animam Pinxit e Gilded Gold (Oro dorato), dove “l’ideale estetico è prevalente sul metafisico”,17 nel segno dell’anelata riconciliazione fra le “ciglia brucianti” di Saffo e il “grembo niveo” di Santa Cecilia.

Ma la fatica poetica più ambiziosa di Thompson è senz’altro rappresentata, dopo The Hound of Heaven, dalle Sister Songs (Canzoni sorelle) dedicate alle due figliolette dei Meynell, Monica (la sua preferita) e Madeline (detta Sylvia), alle quali il poeta si dedicava lungamente, così come ai loro fratellini, ma con una nuance di predilezione. Scritte dalla primavera all’inverno 1890, con intervalli forzatamente dedicati all’attività giornalistica, furono terminate alla vigilia di Natale ed offerte come dono familiare. Si può consentire con l’autore, che ne giudicava “la pura bellezza” verbale e musicale molto superiore alla “forza di pensiero”; lo stesso giudizio vale per molti dei Poems on Children (poesie sui bambini) che si aggiunsero a questo nucleo. Nelle Sister Songs, l’imagery gotico-cortese e spenseriana è sontuosamente profusa – specialmente nella prima parte – fino all’horror vacui di un arazzo o di una sinfonia tardobarocca, nell’evocazione della Natura primaverile e delle sue creature reali-oniriche, evocate con un preziosismo linguistico memore della Faerie Queene e dello Shakespeare più ornatamente fantastico delle commedie giovanili (ma non vi manca l’accarezzata affettuosità delle similitudini domestiche): una botticelliana Primavera-Madonna vi fa corona alla rosa-Cristo, e il destino aristocraticamente profetico del poeta, che è coreuta orfico e medium della natura secondo la tradizione romantica, non sfocia però nell’orgoglio demiurgico, bensì si equilibra tramite il senso della complessità e della compresenza dei contrari (giustizia e misericordia, salvezza e perdizione) presenti nella vita e nell’anima, nonché nella gratitudine per il dono del silenzio e dell’ombra, e nel rimpianto dell’amore umano e dell’innocenza perduta: elementi che tramano la seconda parte, più fitta di drammatiche reminiscenze autobiografiche (dalla morte della madre alla street girl, che la memoria del poeta redime identificandola con l’innocente Sylvia) e più finemente penetrata dei moti dell’anima tradotti nella lingua: in particolare, l’idoleggiamento dell’amore infantile vive del suo contrario interiore e poetico, cioè l’affermazione, sempre ribadita da Thompson, della necessità sublimante della distanza dagli oggetti amorosi. A Monica sono dedicate anche A Poppy (il papavero che la bambina regalò al poeta durante le vacanze estive della famiglia nel Suffolk) e To Monica Thought Dying (A M. creduta in punto di morte), mentre To My Grandson (Al mio figlioccio) è dedicata all’altro figlio dei Meynell, al quale fu imposto lo stesso nome del poeta, e che curò poi a sua volta una edizione delle sue poesie (1930): i versi per lui, pervasi dal senso della caducità, si chiudono con quel “Look for me in the nurseries of Heaven” (cercatemi nelle nurseries celesti) che i Meynell scelsero poi come epitaffio di Thompson. Ugualmente pervaso dal senso della caducità delle conquiste dell’uomo, ma anche dalla lode delle sue capacità di progresso scientifico, è lo scritto dal titolo ossimorico A Threnody on Birth (trenodia sulla nascita), rifiutato dal “National Observer” e ripreso poi nella poesia An Anthem on Earth (Inno alla Terra); un fervido senso della necessaria interdipendenza biologico-sociale tra l’uomo e il cosmo è riaffermato nello scritto sulla vita di Jean Baptiste de la Salle, poi confluito nel saggio del 1905 Health end Holiness (Salute e santità).

È di questo periodo l’influsso attivo sul poeta da parte del movimento riformatore francescano dei Giovani Cappuccini, anticipatore del modernismo ed assai impegnato socialmente, fino al punto di ideare un “College of Priests” che precorreva di mezzo secolo il movimento europeo dei preti operai. L’influsso e la stima furono reciproci, al punto che Thompson fu considerato il “profeta” del gruppo, come già lo era stato Coventry Patmore, a cui Thompson dedicherà nel 1897 i New Poems, ma del quale, pur ammirandolo, rifiuterà l’aristocraticismo metafisico e spirituale, definendolo una “società esclusiva di duchesse in questa vita e nell’altra”, e difendendo invece i concreti, illuminanti “istinti dell’anima”.18 Thompson soggiornò a Crawley, presso la sede dell’ordine, legandosi di viva amicizia col portavoce del gruppo, padre Cuthbert, e di confidenza col suo leader intellettuale, padre Kenealy (poi arcivescovo in India) il quale rimase impressionato tanto dall’“energia nervosa” e dalla “vitalità” del poeta quanto dai suoi “occhi bellissimi”. Tuttavia, dopo breve tempo, il virtuale profeta si distaccò sia da quello che giudicava l’“eccessivo naturalismo” del movimento, sia dalle sue aperte simpatie materialiste e socialiste; ne conservò però lo slancio e l’apertura sincretistica, che coniugava le teorie di Darwin e la filosofia di Nietzsche col pensiero mistico orientale e le sue tecniche di meditazione: Thompson approfondì in modo personale quest’ultimo versante con assidue letture al British Museum, dove – accortosi di pesare sulla vita domestica dei Meynell – cominciò a recarsi quotidianamente anche per scrivere. Legata a tali approfondimenti e probabilmente all’idea del karma non come punizione ma come insegnamento evolutivo, è la definizione annotata nei Taccuini (eretica per l’epoca) del “misericordioso inferno” della giustizia divina, che è identica all’amore e che “non punisce nel senso nostro”, bensì mitiga “le conseguenze che il peccato porta inevitabilmente al peccatore”; nelle stesse pagine annota pensieri affini sul mistero della via individuale alla salvezza. Analogamente, sul doppio peso e sul doppio destino mondano e spirituale (“la vita della carne e la vita del canto”) drammaticamente proprio del poeta, come interprete del dualismo intrinseco alla condizione umana, è imperniata A Judgement in Heaven (Giudizio in Cielo); un segno doppio che si fa sempre più evidente anche nella vita di Thompson, conducendolo ad una crisi del rapporto con Alice Meynell, alla quale indirizza ora lettere vibranti di lucida quanto disperata passione, chiamandola “cara signora e madre”, ma avvertendo se stesso e lei di essere “un amante – spirituale come la luce e celestiale come l’amore di un sogno angelico, se volete – ma sempre un amante”. Alla crisi, complicata dalla gelosia di Francis per Coventry Patmore, che credeva preferito da Alice a lui e agli altri ammiratori, seguì la minaccia-promessa di cessare le visite in casa Meynell, una ricaduta nell’oppio (segnalata dalla sezione Infera del diario) e il ritorno temporaneo alla vita di strada, le cui conseguenze furono almeno parzialmente scongiurate dall’intervento di Wilfrid Meynell, che inviò stavolta il poeta nell’abbazia cappuccina di Pantasaph (Nord Galles) dove avrebbe dovuto collaborare con padre Cuthbert alla redazione dei “Franciscan Annals”, il periodico dell’ordine.

Thompson visse dapprima il nuovo “esilio” – che con fugaci intervalli si protrasse dalla fine del 1892 a quella del 1897 – con la forzata accettazione di una ulteriore, fallimentare cacciata dal “nido”; ma ben presto, disintossicatosi e riambientatosi nel doppio ritmo naturale e liturgico, ne trasse un positivo senso di liberazione dalle convenzioni mondano-sociali ed affettive: senso che si tradusse in sregolatezze di orario e in distrazioni che lo resero famoso tra i frati, come il ritorno sotto un acquazzone con l’ombrello chiuso, o l’intera scatola di fiammiferi abitualmente consumata per accendersi la pipa, perché assorbito nel pensiero da esprimere. Oltre che alle predilette passeggiate e alle discussioni teologiche, si dedica terapeuticamente agli studi di teologia: “Faccio un corso di Scolastica come si fa la cura delle acque a Baden”, nota con humour nei Taccuini, nei quali torna a ribadire i limiti della speculazione: “la filosofia e la teologia mistica non ti renderanno affatto capace di andare in Cielo, non più di quanto la conoscenza dei raggi solari ti renderà capace di accendere il fuoco”. Si immerge soprattutto nel Simposio platonico “ come un’anitra nell’acqua”, attingendovi nutrimento per numerosi saggi, tra cui Form end Formalism (Forma e formalismo) assai critico nei confronti delle teorie estetiche di Ruskin, ma anche del proprio tempo “disperatamente incapace di credere al potere della preghiera”; e The image of God (L’immagine di Dio), dove difende la compresenza fra materia e spirito. In un altro saggio, incompiuto, sulla semplicità francescana, spicca l’idea (analoga, più che a quelle pascoliane sul puer, a quella espressa poi da Saba nelle Scorciatoie) che nel vero poeta il candore spontaneo del bambino – che è poesia inconscia, analoga a quella del francescano – deve “combinarsi con la coscienza adulta”, e la precisazione che “molti pensano con la testa; ma la cosa più desiderabile è pensare col cuore”19 (quest’ultima sentenza, degna di ogni grande poeta, mistico o riformatore, compare pressoché identica nei testi di tutte le tradizioni, dalla buddista alla sufi alla pellerossa): Thompson ne conclude che il grande poeta, il quale è anche un grande pensatore, “fa per la verità ciò che Cristo fece per Dio”, idea che ribadì anche nella recensione al libro di prose di Patmore, Religio poetae.

Fra le esperienze concretamente francescane di questo ricco periodo, forse il più equilibrato e fisicamente sano della vita di Thompson, va ricordata la sua affettuosa familiarità con l’umile famiglia dell’ospitaliere della foresteria, O’ Brian, la cui figlia ventenne Maggie gli ispirò un amore, sembra, solo in parte ricambiato, o comunque contraddittorio (cfr. la poesia Penelope) consegnato al ciclo poetico The Narrow Vessel (Il vaso stretto), ciclo poi inserito nei New Poems: la ragazza, che restò nubile, morì pochi mesi dopo la scomparsa di Thompson. Sull’evoluzione del simbolismo pagano-cristiano del poeta agì anche l’influsso di The Golden Bough (Il ramo d’oro) la famosa opera di Frazer uscita nel 1890, ma anche lo studio (parziale) dell’ebraico e quelli, tenuti più segreti, del misticismo kabbalistico e di Svedenborg, dell’astrologia, del simbolismo dei gioielli, del Drago e del Tau, nonché del Faust goethiano e del suo retroterra ermetico; e infine lo studio della massoneria, sulla cui storia progettò un saggio che pensava di pubblicare anonimo e all’estero, dato il sospetto se non l’aperta condanna ecclesiastica del movimento – gli appunti per il quale affidò ad un plico sigillato, andato poi distrutto, spedito alla sua nuova corrispondente e sostenitrice, la giornalista e scrittrice femminista irlandese Elisabeth Blackburn, che Thompson chiamava non senza ironia “Madam”, e che andò a visitarlo a Pantasaph nell’estate 1893. Poco dopo, nel novembre, Thompson tornò a Londra per presentare il suo primo libro, i Poems, dedicati ai Meynell, che aveva preparato e corretto a distanza per l’editore Lane giovandosi dei consigli di Alice, con la quale il rapporto del poeta era tornato faticosamente a sublimarsi in senso cameratesco. Il volume fu recensito con equanimità da Patmore, divenutogli ormai amico dopo visite reciproche e superati antagonismi; l’anziano “maestro” riconobbe l’altezza del dono poetico di Thompson, pur rilevandone come difetti giovanili le “cheap sublimities” (sublimità a buon mercato) e ammonendolo che “un Titano deve cercare e trovare il rinnovamento della sua forza mediante occasionali contatti con la terra”.20

I Poems ebbero recensioni per lo più lusinghiere e vendettero 2000 copie; ma né il successo, né l’ammirazione umana e intellettuale dei frati di Pantasaph, che recitavano a memoria i suoi versi, distolsero Thompson dalle sue persistenti lotte interiori e dagli approfondimenti meditativi dei suoi temi cosmico-naturali, concretati nel dormire spesso in aperta campagna, per vivere in intimità con la natura, “nella sua camera da letto”, con un panismo che non assume mai tinte whittmaniane, ma neppure passivo o privo di conflittualità: in poesie come la citata An Anthem on Earth (Inno alla Terra) e nella più tarda, splendida Contemplation, la Natura ed il poeta suo partner appaiono dominati da una quiete attiva e androgina, da un’azione non agente assai orientale anche nelle immagini: sulla Natura, fascinosamente imperscrutabile e quasi leopardiana madre-matrigna, vivente di vita solo macrocosmica, impersonale, e perciò priva di “mani per benedire”, l’uomo proietta illusoriamente il suo bisogno di rispondenza e comunione, ma non può, etimologicamente, comprenderla né possederla con un atteggiamento demiurgico, bensì può redimerla solo pensandola e sentendola come figlia e partecipe del mistero divino.

Alla fine dell’estate 1894, l’amicizia con Patmore venne ulteriormente rafforzata da una visita che quest’ultimo fece a Thompson, descrivendolo poi come “delizioso compagno” pieno di antica nobiltà e magnanimità; i due visitarono insieme la sede gesuita di S. Beuno, dove Gerald Manley Hopkins, morto cinque anni prima, aveva studiato teologia e del quale Patmore, che gli era stato amico, mostrò probabilmente a Thompson le poesie (allora inedite, e rimaste tali fino al 1918); Francis ne apprezzò le ardite novità formali – nel 1902 ne recensirà la lirica giovanile, oggi famosa, Heaven-Haven (Porto celeste), comparsa in un’antologia miscellanea –: novità che non rimasero senza echi nella gestazione ed elaborazione del nuovo volume di poesie thompsoniane, i New Poems, al quale si dedicò attivamente, reagendo alla nuova crisi depressiva provocatogli dalla pubblicazione “abusiva” delle Sister Songs (1895) ad opera di Wilfrid Meynell, pubblicazione che egli accettò, pur scontento sia dal punto di vista contenutistico che editoriale (Meynell non gli aveva mandato le bozze ed aveva rifiutato il frontespizio senza consultarlo) per senso d obbligo verso il fin troppo intraprendente benefattore: il quale, peraltro, non fu soddisfatto dalle recensioni, pure piuttosto favorevoli.

Thompson si dedicò per tutto l’inverno alla revisione dei New Poems, nei quali spicca, per matura e cesellata profondità meditativa, la sezione-guida Sight and Insight (Vista e intuizione) e, all’interno di essa, The Mistress of Vision (La Signora della visione), vero “tessuto di simboli” (Olivero)21 sul tema visionario del giardino mistico od hortus conclusus signoreggiato da una Beatrice-Anima (impropriamente, o comunque troppo ristrettamente identificata con la Vergine Maria) che è insieme dolorosa e gioiosa Natura naturans e spirito della poe-sia; il tema barocco e romantico del mondo come sogno (e viceversa) vi ingloba e discioglie l’antinomia già medioevale tra intelligere e credere, e, anche per l’atmosfera di vaga inquietudine ipnotica, vi prefigura il dormire da svegli, il sonno cosciente e invaso dall’inconscio, ma intensamente conoscitivo, che sarà proprio del Surrealismo.

A bilanciare questi abbandoni onirici vale The Dread of Height (Il terrore dell’altezza), esorcismo della tentazione luciferina e faustiana della gloria e del sublime, ma anche constatazione della natura anfibia del poeta, quasi nietzschiana corda tesa fra carne e spirito; e ancor più vale la finale Retrospect, vero autodafé dove Thompson si pente di aver cantato molti “matters vain” (soggetti vani). Dalla nuova spoliazione purgatoriale, connessa alla sensazione di aver raggiunto il punto terminale della propria ispirazione, emerge in Thompson il proposito – rafforzato dalla morte del padre, col quale si era infine riconciliato – di radicare con maggior sobrietà la poesia nella vita (“To make songs wait on life, not life on song” [mettere il canto al servizio della vita, non la vita al servizio del canto]):22 lascia perciò penetrare, con qualche cautela antimaterialistica, l’influsso maieutico e dinamico del pensiero di Patmore sul proprio, soprattutto l’idea mistica dell’amore umano come incarnazione e manifestazione dell’amore divino: Thompson accentua però sempre, a differenza del “maestro”, l’umiltà incoativa e il ruolo battistico, antidemiurgico, del poeta. Tale direzione interiore è confermata concretamente dalla caduta del progetto editoriale dei New Poems con Lane, editore che, oltre a non pagare al poeta i diritti dovuti, si era recentemente acquistato fama scandalosa pubblicando “The Yellow Book”, il celebre almanacco illustrato da Aubrey Beardsley (che peraltro Meynell persuase Lane ad allontanare) e sostenuto da Oscar Wilde, all’epoca appena ed altrettanto scandalosamente processato.

Deciso a dare al suo mancato editore “una lezione che non tutti i poeti potevano permettersi”, Thompson strinse accordi epistolari con l’editore Constable; nel giugno 1896, recatosi a Londra per incontrarlo, conobbe in casa Meynell la giovane segretaria-governante Katie King, filantropica autrice di racconti sui poveri (racconti anch’essi pubblicati su “Merry England”) nonché sua grande ammiratrice: nacque un sentimento che si rafforzò col soggiorno del poeta nell’Essex, nella casa di campagna della ragazza e della madre di lei; quest’ultima tuttavia, presa da scrupoli morali, convinse i Meynell a ”rispedire” precocemente il poeta a Pantasaph, da cui egli inviò a Kate la toccante poesia A Lost Friend (Un’amica perduta), che finiva con la quartina elegiaca “ The hill looks with a colder brow; / The silence I have made my choice / is doubly silent, having now / The irreparable silence of her voice” (Il colle guarda con ciglio più freddo; / Il silenzio che ho scelto / è doppiamente muto, perché adesso ha il silenzio / irreparabile della sua voce). La poesia proliferò nel ciclo dei 24 sonetti Ad Amicam, spediti a Kate e rinviatigli dalla madre della ragazza, gesto che sancì la perdita delle speranze di Thompson, il quale, anche in seguito alla morte di Patmore, e deciso a sottrarsi alla tutela dei Meynell, alla fine del 1897 lasciò l’abbazia e tornò a Londra, stabilendosi questa volta in casa dell’editore Arthur Doubleday (peraltro amico di Wilfrid); assunto come collaboratore letterario dell’“Academy” riprende fiducia creativa progettando un dramma pastorale e scrivendo ben cinque plays (di cui due pubblicati, Napoleon Judges [Napoleone giudica]e Man Proposes, Woman Disposes [L’uomo propone, la donna dispone]) ma anche ritrovando l’amicizia di Kate e trasfondendo in poesie come l’esotica Arab Lave Song (Canto d’amore arabo) un amore rivelatosi sostanzialmente non corrisposto, e troncato poco dopo dalla sorte: la ragazza sposò infatti un vicario e morì di parto l’anno successivo.

Al dolore di Thompson si aggiunse la grave delusione artistica provocatagli dalle critiche negative ai New Poems, che erano usciti nel maggio di quell’anno: sull’“Athaeneum”, Arthur Symons parlò di eccessiva “prodigalità linguistica”, mentre la “Pall Mall Gazzette” giudicò An Anthem on Earth “opera di un Walt Whitman medievale e pedante”, e l’influente “Litterarry World” giunse a stroncare la raccolta come “un vocabolario d’inglese obsoleto, sofferente di un forte attacco di delirium tremens”, anche se l’importanza di Sight and Insight fu generalmente riconosciuta, e William Archer parlò sul “Daily Chronicle” di “un veggente e cantore di raro genio”. Su commissione di quest’ultimo giornale Thompson – sempre oppresso dal bisogno economico – scrisse l’ode giubilare per il sessantennio di regno della Regina Vittoria (Ode for the Diamond Jubilee of Queen Victoria), la prima di una serie di poesie “pubbliche” – fra cui quella sulla guerra anglo-boera del 1899 e un’altra per la morte di Cecil Rhodes – ben remunerate, ma che gli suscitarono un amaro autocommento nei Taccuini (“Fine del poeta. Inizio del giornalista. Completati gli anni di transizione”):23 nelle stesse pagine annota anche preveggenti riflessioni sulle radici psicologiche della guerra e della violenza:

 

Il millennio sagacemente egotista a cui guardano le Nazioni è impossibile.[…] La paura della guerra non estirperà mai la guerra.[…] finché l’egotismo e le passioni dell’egotismo prevarranno sulla Terra, la guerra ci sarà. Perché, alla radice, ogni egotismo è delitto.24

 

 

Si concentra sul suo lavoro di recensore per il “Daily Chronicle” e l’“Athaeneum”, fino a superare la nuova fase acuta della depressione che – anche in seguito a un incidente stradale in cui viene ferito alla testa – gli ha provocato una ricaduta nell’oppio: generalmente mite nei giudizi, e teso a difendere la bellezza “con un significato consapevole”, è tuttavia implacabile nei confronti della disonestà esibizionistica di poeti e critici per i quali “ i monumenti della letteratura sono quel che gli altri monumenti sono per i turisti inglesi – un’occasione per incidervi sopra il loro nome”.25 La temuta morte della propria poesia è smentita da accensioni non costanti ma memorabili, come quella della citata The Kingdom of God (Il Regno di Dio), rimasta non rifinita ed originariamente intitolata In no Strange Land (In terra non ignota), percorsa da un senso arditamente visionario dell’incarnazione e della creazione continua come compresenza trasfigurante fra tempi e luoghi (la Palestina e la Londra contemporanea) e dunque fra terra e cielo, senso che è tributario della mistica ebraico-cristiana: ma si rafforzano anche i suoi interessi orientali, ravvivati dalla frequentazione di un giovane letterato indiano, Sarath Kumar Ghosh, che il poeta accompagnò negli slums londinesi e che fu colpito, oltre che dallo “splendore” del suo sguardo, contrastante con l’aspetto emaciato e trasandato, dalle sue penetranti osservazioni e profezie, e che lo descrisse, in un romanzo incompiuto, come un grande poeta la cui “missione” era fallita perché troppo ascetico, e caratterialmente più orientale che occidentale.26

Al problema del dolore è dedicata la poesia Laus Amara Doloris, uscita postuma ma scritta a cavallo del secolo, quando le condizioni di salute del poeta andavano deteriorandosi progressivamente a causa degli effetti concomitanti del beri-beri contratto per la malnutrizione e, secondo la sua stessa diagnosi, dell’“avvelenamento da laudano” misto ad alcool (ma Meynell accreditò la più “accettabile” versione della tisi, poi diffusa dai biografi e critici del poeta). Lo stesso tema dell’ascesi e del dolore è al centro del citato saggio del 1905 Health and Holiness (Salute e santità), nel quale Thompson, giudicati inapplicabili alla debole età contemporanea i rigori medioevali, ribadisce e precisa la sua intuizione medico-psicologica (o pre-psicanalitica) che i disturbi psicosomatici sono la versione moderna delle antiche ascesi autopunitive:

 

Troviamo le nostre austerità bell’e pronte. La flatulenza ha preso il posto della frusta, la dispepsia quella del cilicio. E possiamo infliggerci un tormento più vivo di quello che un anacoreta lussurioso sopportava sferzandosi a sangue.27

 

 

Il saggio era stato preceduto dalla lunga recensione al libro di Henri Joli Psychologie des Saints, apparso nel 1897 e tradotto in inglese l’anno dopo, dove il poeta affermava quasi positivisticamente, o almeno assai realisticamente, l’esigenza di rendere all’agiografia una verisimiglianza psicologica, e ribadiva la comunanza fra la contemplazione del poeta e quella del santo. Seguì la revisione e versione aggiornata del libro di Stewart Rose su Sant’Ignazio (1870) che Thompson trasforma appunto da agiografia in moderna biografia, e che, terminata due mesi prima della sua morte, uscì postuma nel 1909, riscuotendo – come Health and Holiness – scarso successo, a causa della chiave di lettura troppo avanzata per l’Inghilterra vittoriana. Tuttavia la fama di Thompson è ormai abbastanza vasta perché molti lo riconoscano e chiedano di incontrarlo (spesso nella libreria di Everard Meynell a Westbourne Groves, nuovo punto di riferimento del poeta dacché Wilfrid e Alice, accasati ormai tutti i figli, si erano trasferiti nella lontana Granville Place, dove Meynell dirigeva l’editrice Burns and Oates): parte delle Sister Songs viene musicata da Gustav Holst, mentre A Poppy viene inclusa nella prima edizione dell’Oxford Book of English Verse. La sua vita resta comunque schiva e meditativa: si infittiscono nei Taccuini le note teoriche sulla creazione poetica, come” spirituale incarnato in termini di vita”, ma anche sul buon senso necessario alla grandezza del genio (con gli esempi di Shakespeare, Milton, Wordsworth, e soprattutto di Dante) e sulla conseguente qualità non rivoluzionaria ma interpretativa dell’arte e della poesia, definita in un’altra nota “bellezza in pillole peptonizzate”:

 

il poeta non inventa un nuovo ordine di cose. Vede il vero ordine. Vederlo com’è veramente, interpretarlo e rappresentarlo a noi che non sappiamo vedere così chiaro o così bene – è questo lo scopo più alto della poesia. […]

 

 

Nelle stesse pagine si trovano ugualmente annotazioni preveggenti in senso ecologico – come “l’uomo non può peggiorare senza rovinare anche la Natura o il territorio” – o sull’eccellenza femminile (“la donna è la spiegazione dell’uomo, se solo l’uomo la capisse nel modo giusto”) nonché poesiole satiriche e limericks, alternati ai frammenti dei drammatici Earth Psalms (Salmi della Terra). I toni profetico-apocalittici, che includono la previsione della fine della supremazia coloniale inglese, tingono anche l’ode su commissione To the English Martyrs (Ai martiri inglesi), sulla quale si abbatte però il severo autogiudizio privato del poeta, che vi si giudica non migliore degli altri “versificatori cattolici” a lui noti.28

Malgrado un nuovo soggiorno a Storrington e uno nel Sussex, trascorso insieme a Everard Meynell in casa di Wilfrid Blunt (che rimase colpito dalla sua tolleranza e insieme dalla sua lucida autocritica) la sua salute si aggrava irreversibilmente, anche perché rifiuta di vedere i medici, passa la maggior parte del tempo in preghiera o in meditazione (e annota:” quando non trovo nulla fatto da me, molto può essere stato fatto dentro di me”) o rileggendo Sir Thomas Browne, che fece oggetto della sua ultima recensione. Rientrato a Londra nell’ottobre 1907, viene ricoverato al Catholic Hospital of Saint John and Saint Elisabeth, dove muore la mattina del 13 dicembre ripetendo il verso di A Poppy (“ My whitered dreams, my whitered dreams” [I miei sogni appassiti, I miei sogni appassiti]); lascia per testamento tutti i suoi scritti e diritti letterari a Wilfrid Meynell, che era andato a visitarlo ogni giorno.

Dopo un funerale spoglio, a cui intervenne solo una decina di persone, viene sepolto nel riquadro cattolico del Kensal Green Cemetery; ma nei giornali apparvero molti necrologi, e tra il 1909 e il 1910 si vendettero ben 18.000 copie dei suoi libri di poesie (e molte di più dopo l’edizione Meynell del 1913) anche se sull’onda di un’immagine edulcorata e semplificata di poeta ortodossamente cattolico, che perdurò quasi intatta fino agli anni del secondo conflitto mondiale, e che oggi è infine in via di decisiva revisione biografico-critica (cui la presente antologia si propone di offrire un contributo italiano incipitale) volta ad assicurare a Thompson una peculiare preminenza non fra i poeti della “rivoluzione”, ma fra quelli del “rinnovamento” spirituale e formale che ha nutrito le complesse radici dell’età contemporanea.29

 

Maura del Serra

 

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

1 Lettera del 31 maggio 1877 a William Archer, in The Letters of Francis Thompson, New York 1969, p. 192.

2 Ora conservati nella Thompson Collection del Boston College, Mass., che comprende 297 manoscritti (246 di poesia e 51 di prosa) e 121 quaderni di appunti, le cui citazioni, qui e altrove, sono tratte dalla documentata biografia di Brigid Boardman, Between Heaven and Charing Cross – The Life of Francis Thompson, Yale University Press, 1988 (p.17).

3 Shelley, saggio postumo (1909), in Works of Francis Thompson, edited by W. Meynell, London 1913, vol. 3°, p. 7.

4 Taccuini cit., in Boardman, op. cit., pp. 22-23.

5 Cfr. ivi, p. 42.

6 Cfr. ivi, pp. 74-76.

7 Ora nel cit. vol. 3° dei Works, p. 50; per il giudizio, cfr. Boardman, op. cit., p.73.

8 Poeta lirico-satirico (1752-1770) avvelenatosi giovanissimo per l’incomprensione degli ambienti letterari londinesi, e celebrato da Coleridge e da De Vigny. L’episodio del tentato suicidio di Thompson, risalente all’estate 1887, fu riferito nel 1894 da Wilfrid Meynell all’amico Wilfrid Blunt, che lo accolse nei suoi diari (cfr. Boardman, op. cit., p.86 ).

9 Tutte comprese nel Notebook of Early Poems, e menzionate dalla Boardman in op. cit., pp. 89-92.

10 The Error of the Extreme Realists (L’errore degli iper-realisti), cit. ivi, p. 111.

11 La fine del saggio suona: “Perciò diciamo: guardatevi dal principio seduttore della perfezione. Conformatevi saggiamente a quella Natura che, per vivere, non crea un cervello senza farne una metà più debole dell’altra.” ( cit. ivi, p. 112).

12 Su tale racconto (genere letterario suggeritogli, a quanto pare, da Meynell, ma non congeniale a Thompson) cfr. Bordman, op.cit., pp. 131-132.

13 Cit. ivi, p. 142; a p. 372 n. sono citati anche due esempi di studi psicanalitici sull’ode, usciti rispettivamente nel 1918 (Moore) e nel 1925 (Sharpe).

14 Cfr. la n. a p. 264 di questo volume.

15 Cit. in Boardman, op. cit., p. 169.

16 Ivi, p. 157.

17 F. Olivero, Poesie di Francis Thompson, Milano, Treves, 1925, p. 14.

18 Lettera ad Alice Meynell, cit. in Boardman, op. cit. p. 180.

19 Cit. ivi, p. 195.

20 Cit. ivi, p. 213.

21 Per l’ampia disamina delle reminiscenze tematico-stilistiche della poesia (dall’Apocalisse a Dante, Cowley, Shelley, Coleridge, De Quincey, Swimburne, ecc.) cfr. Olivero, op cit., pp. 3 e 25-29.

22 The Cloud’s Swan Song (Il canto del cigno della nuvola), v. 99, in Miscellaneous Poems (Collected Poems, London, Fisher Press, 1992, p. 278). Cfr. la lettera non datata cit. in Boardman, op. cit., p. 251: “Dal punto di vista più alto, ho acquistato, credo, in arte e castità di stile; ma ho molto perduto in fuoco e splendore, È tempo che io taccia. Questo libro mi porterà al punto più estremo che la mia forza declinante mi concederà; e se scrivessi ancora poesia, scrivendo distruggerei la mia fama”.

23 Questa e le precedenti citazioni in Boardman, op. cit., pp. 271-275.

24 Ivi, p. 302, dove è citata anche l’osservazione caustica: “Un tempo le nazioni entravano in guerra per l’onore offeso, oggi per la tasca offesa”. Cfr: anche ivi le strofette satiriche a rima baciata contro l’ipocrisia filantropica dei ricchi, che cominciano: “The rich, who, with intention pure / Amuse themselves to help the poor; / Loving the Gospel ordinance, / All night, to clothe the naked, dance” (I ricchi, che in purezza d’intenzioni / si divertono ad aiutare i poveri, / per amor del comando del Vangelo / ballan tutta la notte per vestire gli ignudi).

25 Ivi, p. 276.

26 Cfr. ivi, pp. 299-300.

27 Cfr. ivi, pp. 314-317.

28 Cfr. ivi, p. 340.

29 Cfr. ivi, pp. 354-355, dove Thompson è visto come profetico “poeta dell’era spaziale”.

 



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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