Il pensiero del Novecento, coinvolto progressivamente nel continuo flusso della deriva ateistica nietzcheana cui ha fatto eco l’affermazione heideggeriana sull’essenza del pensiero che «non può esser teista più di quanto non possa esser essere ateo»,1 si trova di fronte ad una domanda fondamentale: come pensare Dio dopo l’annuncio della “sua morte”? Ovvero, è ancora possibile nel tentativo dell’oltrepassamento della metafisica una pur rinnovata teologia filosofica? Infine, facendo epochè dell’esperienza religiosa, quale il valore del segno “Dio”?
Il presente scritto intende percorrere i sentieri tracciati da queste domande sul terreno instabile della pratica decostruttiva, cercando di evidenziare la strategia con la quale Jaques Derrida cerca lo “scivolamento” del concetto “Dio” nella scrittura al fine di definirla e differirla come «struttura senza centro» o «gioco senza riserve».
Tre momenti si divideranno lo spazio di questa breve ricerca: la prima parte, Theologiae in limine, si occuperà di tratteggiare l’ambiente filosofico all’interno del quale accade la riflessione di Derrida, dando un minimo riferimento ad alcuni tra gli autori che più gli hanno dato da pensare (Hegel, Nietzsche e Heidegger), anche per la considerazione teologica; la seconda parte, Il Dio inscritto, cercherà di commentare i passi del testo derridaiano nei quali compare più chiaramente la problematica teologica, in particolare i due scritti sulla teologia negativa: Comment ne pas parler e Post-Scriptum. Apories, voices et voix; questa sezione sarà condotta con l’appoggio interpretativo dell’opera di Mark C. Taylor, Erring. A postmodern A/theology, al quale devo molto della mia lettura di Derrida.
Infine ho desiderato soffermarmi brevemente sulle prospettive che possono aprire le riflessioni di cui sopra per lo sviluppo di una cristologia filosofica che segua il tentativo di un linguaggio non-metafisico, sulla scia del lavoro, forse non adeguatamente considerato, di X. Tilliette, per ricordarmi e ricordare che il pensiero non ama gli steccati e l’impegno intellettuale nell’interrogazione radicale può fornire strumenti efficaci anche alla teologia più fedele, ma anche, a volte, più arroccata in difese troppo timorose.
Salvo il rispetto per le “inconciliabili differenze”.
1 M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, in Segnavia, Adelphi Edizioni, Milano 1987, p. 303.