|
È particolarmente interessante e suggestivo il fatto che si sia cercato, riuscendovi, di fotografare ed analizzare le vicende dell’emigrazione dal nostro territorio, con particolare riferimento alla montagna pistoiese.
In primo luogo perché la nostra montagna dal punto di vista sociale, culturale, amministrativo e politico costituisce un territorio sul quale si sono, con il tempo, inseriti notevoli eventi di carattere socio-economico che hanno portato a fenomeni di abbandono e di spopolamento particolarmente accentuati. La montagna pistoiese ha rappresentato, nella storia del nostro territorio, un’area di forte antropizzazione con centri abitativi e amministrativi ricchi di storia, ed ha rappresentato anche un territorio con consistenti insediamenti di carattere industriale ed artigianale, alcuni dei quali, nel passato, hanno avuto rilevanza anche nazionale (vedi S.M.I. di Campotizzoro) e sovrannazionale. Di fronte però ad un’area di discreta concentrazione demografica e con diffuso tessuto produttivo, sulla montagna pistoiese si sono presentate e si presentano anche aree particolarmente depresse, talora emarginate anche nel contesto di una programmazione territoriale economica e sociale. In queste aree si è gradualmente inserito il “virus” dell’invecchiamento demografico conseguente alla “fuga” dei giovani alla ricerca di lavoro. L’area di Sambuca rappresenta, appunto, un territorio che si è andato gradualmente spopolando, non trovando sostegno in politiche di sviluppo sia economico che turistico che sociale. Alcune aree, quindi, della montagna pistoiese rappresentano un problema nel problema e meritavano e meritano di essere analizzate con obiettività e serietà anche per trovare soluzioni strutturali in grado di frenare l’invecchiamento e l’esodo.
In secondo luogo il lavoro sull’emigrazione è particolarmente suggestivo perché analizza il contesto sociale delle famiglie e delle persone e l’attrazione che esse potevano trovare in territori regionali, nazionali ed internazionali nei quali la capacità di lavoro, lo spirito di sacrificio e di adattamento della nostra gente avrebbe potuto trovare risposte adeguate.
Penso al piccolo artigianato e all’economia del bosco e dei suoi prodotti.
Se la Maremma nello struggente canto di Gori è definita “amara”, amara era anche la terra dalla quale provenivano i nostri boscaioli e i nostri carbonai e fra queste due terre amare si è instaurato, col tempo, un rapporto di vicinanza e di fratellanza testimoniato tutt’ora dai ricordi dei nostri lavoratori emigrati.
In terzo luogo lo studio delle caratteristiche dei flussi emigratori non può non richiamare il grande tema, di stringente attualità, della immigrazione. Analizzare e descrivere i disagi, le sofferenze, le angustie derivanti dallo sforzo di inserirsi in un mondo nuovo ed in terre sconosciute non può non imporci, se vogliamo agire secondo principi di solidarietà e di uguaglianza, di farsi politicamente e culturalmente carico dei problemi e delle difficoltà che possono trovare e che spesso trovano i cittadini di altri paesi che, per motivi economici, sociali e politici, sono venuti a vivere in mezzo a noi. La storia antica dell’emigrazione si lega pertanto con quella odierna dell’immigrazione e la memoria dell’una può rappresentare il fondamento per un’azione politica ed amministrativa che tenti di dare risposte adeguate agli urgenti problemi derivanti dall’inserimento e l’integrazione di altri popoli nel nostro contesto civile.
Roberto Barontini
|