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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 084

Luca Grecchi

Conoscenza della felicità. Premessa di Mario Vegetti.

ISBN 88-7588-090-5, 2006, pp. 160, formato 140x210 mm., € 15,00 – Collana “Il giogo” [9].

In copertina: Costantin Brancusi, Musa; 1912, New York, Solomon R. Guggenheim Museum.

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15,00

Premessa

Luca Grecchi è un pensatore a suo modo “classico”. Non mi riferisco soltanto alla sua predilezione per i grandi filosofi dell’antichità, xe "Platone"Platone e xe "Aristotele"Aristotele, e neppure al suo legame con maestri contemporanei pure molto attenti alla filosofia greca come Emanuele xe "Severino E."Severino e Umberto xe "Galimberti"Galimberti. Ho in mente invece l’atteggiamento teorico di Grecchi, il suo andar dritto verso il cuore dei problemi: un atteggiamento che a qualcuno potrà sembrare temerario o addirittura naïf, perché pone in secondo piano la secolare elaborazione storica di questi problemi, ne semplifica la complessità crescente che rischia di farli apparire insolubili, insomma tenta di raddrizzare e spianare percorsi di pensiero che la tradizione ha reso labirintici e impervi.
Questo atteggiamento emerge con peculiare chiarezza nella trattazione che in questo libro Grecchi dedica a una questione così illustre e decisiva, ma per varie ragioni obliata e forse rimossa, come è quella della felicità. Per la sua dimensione storica, Grecchi rinvia opportunamente al bel libro di Fulvia xe "De Luise F."de Luise e Giuseppe xe "Farinetti G."Farinetti (Storia della felicità). Il suo ragionamento va invece, come si diceva, direttamente al centro del problema. Se per “felicità” si intende – assumendone provvisoriamente la definizione aristotelica che poi verrà argomentata a conclusione del libro – la compiuta realizzazione, il flourishing, dell’essenza dell’uomo, è prima di tutto necessario definire questa essenza.
Qui Grecchi si scontra con un ostacolo formidabile, in cui consiste una delle ragioni principali dell’ abbandono della questione della felicità. Il pensiero moderno, da diversi punti di vista, ha convenuto sull’impossibilità di una simile definizione. Si tratta del risultato convergente di un duplice riduzionismo: quello storicistico, da un lato, quello biologistico dall’altro. Se l’uomo è il prodotto della sua storia, non ne è evidentemente possibile alcuna definizione d’essenza metastorica. Se è il risultato di una complessa organizzazione geneticamente determinata, quella definizione va piuttosto cercata in direzione della formula del DNA e dei processi filogenetici.
Contro questi ed altri riduzionismi (la cui confutazione, a dire il vero, non sfugge al sospetto di una petitio principii, perché la loro fallacia è argomentata dal fatto che essi sono incapaci di formulare una definizione di essenza, precisamente ciò di cui negano la possibilità), Grecchi propone una definizione dell’essenza umana ispirata appunto ai filosofi greci, ed elaborata in suoi precedenti lavori di orientamento spiccatamente “metafisico”: l’uomo, nella sua essenza (dunque nella sua anima) è un ente razionale (capace di conoscenza e verità), morale (capace di riconoscere valori universali), simbolico (capace di conferire senso all’esistenza).
La razionalità, in particolare, è in grado di portare l’uomo a quella comprensione critica del mondo che garantisce la sua libertà, e costituisce così una condizione imprescindibile per la felicità. C’è anche qui un tratto peculiarmente “classico” (nel senso platonico-aristotelico) del pensiero di Grecchi: il privilegio della razionalità finisce per coincidere con quello della filosofia, ed è dunque il primato della “vita teoretica” – è viva la presenza delle pagine conclusive dell’Etica nicomachea – a costituire la garanzia dell’autentica e suprema felicità umana.
Non sono soltanto i riduzionismi del pensiero moderno a determinare, secondo Grecchi, l’eclissi di questo modo di concepire l’essenza dell’uomo e il suo pieno dispiegamento nella figura della felicità. Agisce anche, e forse soprattutto, l’organizzazione sociale propria della modernità: il modo di produzione capitalistico. Esso produce modalità comportamentali, stili di personalità che gli sono peculiari: in pagine molto efficaci, Grecchi individua la dominante “personalità concretista”, per la quale conta solo il presente, la “personalità narcisista”, che forma una pseudo-immagine grandiosa di sé, quella reificata o consumista, quella sociopatica, che rifiuta le regole del vivere comune, e infine quella apatico-depressa, che rinuncia alla tensione verso la realizzazione di sé. Forme di esistenza mancata, si potrebbe dire, funzionali o residuali rispetto alla struttura sociale dominante, che si precludono l’aspirazione stessa alla felicità.
Alla fine della sua ricerca, Grecchi dà di questo concetto una definizione forte, “sostantiva”. La felicità consiste in un superamento dell’angoscia nei riguardi della finitudine dell’esistenza umana e dei limiti imposti dal mondo in cui si vive (dall’una e dall’altra dipende quella infelicità, che secondo l’autore costituisce la condizione originaria dell’uomo). Essa consta dell’armonico equilibrio e del pieno dispiegamento delle tre componenti dell’ “anima”, quella razionale, quella morale e quella simbolica, e cioè in un processo di acquisizione di verità, di valori e di senso. In una rispettosa ma ferma polemica contro concezioni “deboli” della felicità, come quelle a suo avviso sostenute da Salvatore Natoli, Grecchi nega che per felicità si debba intendere soltanto una sensazione istantanea e precaria di soddisfazione, un’esperienza gratificante, o uno stato di serenità mentale. Si può parlare invece di felicità – ancora una volta alla maniera aristotelica – solo a proposito di un positivo percorso di realizzazione dell’essenza umana che coinvolge la vita intiera, ed è rivolto verso un orizzonte di valori universali, non abbandonati al soggettivismo “ermeneutico”. E ancora: hanno ragione secondo Grecchi xe "Platone"Platone e xe "Aristotele"Aristotele quando negano che sia possibile disgiungere la felicità dell’individuo da quella collettiva della polis; la strada verso la felicità comporta dunque un impegno altruistico e solidale, perché non si può essere felici da soli in un contesto sociale di dolore e sofferenza.
La ricerca di Grecchi, di cui qui si è cercato di dare sommariamente conto, susciterà certo tanto consensi quanto critiche. Un merito tuttavia non può esserle negato: quello di aver posto con forza e chiarezza un problema centrale per la riflessione contemporanea, e di aver rivendicato con altrettanta forza l’esigenza di risposte capaci di risultare universalizzabili, tanto sul piano della verità quanto su quello del valore. Ci si potrà rammaricare che dall’interlocuzione di Grecchi siano rimasti esclusi autori importanti, come Nagel e Amartya xe "Sen A."Sen da un lato, xe "Foucault"Foucault dall’altro, solo per fare qualche esempio. In compenso, il richiamo costante ai grandi classici greci ha fornito al libro una guida sicura per la radicalizzazione dell’interrogazione teorica e delle relative risposte. Essa rende la lettura di questo libro comunque utile e stimolante, sia per chi ne condivida l’impostazione sia per chi ne dissenta.

MARIO XE "Vegetti M."VEGETTI

Introduzione

Una piena realizzazione della propria essenza è il fine verso cui ogni essere vivente tende. Mentre tutti gli esseri viventi, ad eccezione dell’uomo, mirano principalmente alla sussistenza, l’uomo ricerca una realizzazione più compiuta. L’essenza dell’uomo tende infatti alla felicità, ossia ad una condizione di armonia con se stessi e col mondo che è superiore rispetto alla condizione di mera sussistenza.
Questo libro svilupperà proprio questo percorso: partendo dalla conoscenza dell’uomo, esso cercherà di giungere alla conoscenza della felicità. Il compito che in apparenza, così delineato, potrebbe sembrare facile, tale in realtà non è. La difficoltà più grande è costituita dal fatto che spesso ci scontreremo con secoli di pensiero filosofico, rappresi nel pensiero contemporaneo, in cui l’uomo o non è stato compreso nella sua essenza, o è stato compreso in modo incompiuto. Scopriremo pertanto che anche l’idea di felicità, nella storia del pensiero filosofico, o non è stata compresa, o è stata compresa in modo incompiuto. Per questo motivo si cercherà qui di delineare primariamente proprio l’essenza dell’uomo, ben sapendo che questo argomento necessita inevitabilmente di spazi più ampi per essere trattato in modo completo.
Ci si potrà certo chiedere come mai, nella storia del pensiero filosofico, solo raramente l’uomo sia stato definito in maniera corretta. Le cause di questa lacuna sono a nostro avviso molteplici. La principale fra esse è che, per vari motivi, le modalità sociali di svolgimento della vita si sono nel tempo poste come negatrici della vera essenza umana. In questo modo esse non hanno consentito di porre tale essenza pienamente in luce. L’uomo è stato infatti definito, come mostreremo, in maniera o distorta o riduttiva, a causa di distorte modalità sociali da cui sono appunto derivate riduttive concezioni filosofico-scientifiche, non in grado cioè di comprendere l’uomo nella sua unitarietà e compiutezza.
Questo libro si compone di due parti, fra loro speculari. La prima parte si occuperà, come detto, della conoscenza dell’uomo, mentre la seconda parte si occuperà della conoscenza della felicità. Così come, partendo da cosa non è l’uomo, cercheremo di comprendere cosa non è la felicità, allo stesso modo, partendo da cosa è l’uomo, cercheremo di comprendere cosa è la felicità. In particolare, nella prima parte analizzeremo le attuali modalità sociali, e le strutture della personalità che da esse conseguono. Potremo così comprendere i tratti essenziali dei comportamenti che caratterizzano la quasi totalità delle persone che abitano il nostro mondo. Le strutture della personalità oggi prevalenti riveleranno tutte una distorsione o una carenza rispetto al modello ideale della natura umana, ossia alla compiuta essenza dell’uomo, che descriveremo qui in maniera sostanzialmente conforme al modello classico platonico-aristotelico. In tali configurazioni della personalità sarà agevole, per molti di noi, riconoscersi, in quanto le attuali modalità sociali tendono a condurre tutte le persone verso questo genere di carenze e distorsioni. Lo scopo del presente libro sarà pertanto anche quello di conoscere come operano questi processi, per favorire una liberazione il più possibile ampia dal peso opprimente degli stessi.
Dato che adotteremo il metodo espositivo del cosa è/cosa non è sia per l’uomo che per la felicità, e dopo aver chiarito cosa questo libro è (o meglio, cosa vuole argomentare, e dunque essere), rimane soltanto da chiarire cosa questo libro non è. A differenza della quasi totalità dei testi contemporanei sul genere, questo libro non è né una storia della felicità che passa in rassegna, in maniera erudita, le varie dottrine filosofiche (esistono già infatti alcuni buoni testi di questo genere), né una raccolta frammentaria di indicazioni su come essere felici (esistono già infatti molti pessimi testi di questo genere). Esso desidera porsi in maniera autonoma rispetto a queste due posizioni, ossia desidera certo strutturarsi tenendo presente l’intera storia del pensiero filosofico (per questo le due parti cominciano entrambe con una breve storia, rispettivamente, delle idee di uomo e di felicità), ma soprattutto desidera fornire una struttura di riferimento solida (non frammentaria) per orientarsi concretamente nella vita verso la felicità. Realizzata una essenziale comprensione di questi temi, la vita stessa diventerà più agevole. Realizzare tale comprensione è però difficile. Questo libro lo sa, ma ugualmente ci prova, con la consapevolezza che solo la conoscenza filosofica può, in questo senso, essere di aiuto.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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