Introduzione
Il mio lavoro (e il materiale archivistico ad esso collegato) riguarda un campo ben preciso: il fitto intreccio di idee e iniziative di gruppi interni ed esterni che hanno «agitato» e interessato la scuola dell’obbligo, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, allo scopo di trasformarla e renderla più aperta alle dinamiche sociali.
La mia ricerca si ferma, per motivi di brevità e per meglio padroneggiare il materiale, al 1974-75, cioè agli anni in cui sono visibili anche all’interno dell’istituzione le trasformazioni promosse dal movimento (istituzione del tempo pieno «sperimentale» e dei corsi «150 ore»; inizio dell’integrazione dei portatori di handicap; decreti delegati1 ).
Pur offrendo una contestualizzazione generale che renda comprensibili le vicende e soprattutto restituisca la rete di collegamenti così caratteristica di quel periodo, ho scelto di volta in volta di evidenziare alcuni «esempi» legati al materiale in mio possesso e alla situazione di Milano, che ero in grado di conoscere e approfondire meglio.
Per comprendere il punto di vista che ho scelto, è importante ricordare la motivazione di partenza del mio lavoro: il riordino e la conservazione del materiale «alternativo» riguardante la scuola dell’obbligo, prodotto in quegli anni (collane, strumenti didattici, riviste, «materiale grigio»), che rischiava la dispersione e la dimenticanza, e del quale sto curando invece la raccolta e la valorizzazione.
Proprio partendo da questa premessa, mi propongo degli obiettivi abbastanza modesti ma chiari.
In primo luogo, vorrei contestualizzare questi materiali, cioè spiegare le relazioni fra gruppi e iniziative molto diversi, chiare a chi è stato testimone di quelle vicende ma non immediatamente evidenti per il giovane studioso o studente. La mia ricostruzione vuole quindi essere una guida, un orientamento a cogliere la pluralità delle voci e a cominciare a raggruppare le tematiche e i possibili percorsi di lettura. Credo che il rischio della farraginosità possa essere evitato nella misura in cui è ben chiaro che il mio lavoro non ha l’ambizione di essere una storia esauriente, ma più semplicemente vuole fornire una mappa orientativa e una prima ricognizione di problematiche su cui possa avvenire l’approfondimento. Che il tipo di materiale e la sua strutturazione abbiano condizionato la mia scelta è evidente, ma non credo che ciò sia scorretto.
Immaginiamo di trovare una biblioteca: in questo caso, oltre al valore documentario in sé dei testi conservati, sarebbe importante capire i criteri di scelta dei testi stessi, che rispecchiano la cultura, i gusti, le motivazioni di chi l’ha messa insieme. A me è accaduta la stessa cosa: mi sono ritrovata in mano una «biblioteca» ideale, la biblioteca di ogni insegnante coinvolto nel discorso del cambiamento. Si tratta del materiale esposto nelle librerie di movimento e presente nei cataloghi delle nuove case editrici, che viene acquistato e letto con una frequenza inimmaginabile e che sta alla base dell’azione quotidiana, didattica, politica, sindacale di individui e gruppi diversi ma legati dal discorso comune del cambiamento nella scuola, e nella scuola dell’obbligo in particolare2 . Proprio la testimonianza di questa documentazione da un lato mi ha in un certo senso proposto e quasi imposto la chiave di lettura unitaria che chiamo «movimento», e dall’altro mi ha spinta a enucleare dei punti «forti» in una moltitudine di persone e idee, non essendo qui possibile e neanche giusto e corretto concentrare l’analisi su esperienze più strutturate in senso tradizionale. Ritengo infatti che la storia, ad esempio, del Movimento di Cooperazione Educativa dopo il ’68, della rivista «L’erba voglio», delle scuole popolari, dei corsi 150 ore, delle esperienze pilota di educatori come xe "Ciari Bruno"Bruno Ciari o xe "Lodi Mario"Mario Lodi si debba scrivere e verrà scritta in modo approfondito: ma dopo che si sia chiarito a livello storiografico che quelle esperienze non sono isolate, e che la loro «esemplarità» consiste solo nell’aver ispirato o fatto meglio quello che mille altri hanno fatto.
È naturale quindi che, oltre a questo orientamento nel magma dei materiali, dei gruppi, delle esperienze, il mio lavoro si proponga di offrire un tentativo di interpretazione dei documenti e una chiave di lettura delle vicende: infatti, mancano ancora opere su questo argomento.
La chiave di lettura che offro è centrata sull’attenzione a (e sulla valorizzazione di) questi fermenti di rinnovamento, per un duplice ordine di motivi: in primo luogo, evitare l’appiattimento e la rimozione, determinati da un imperante e distorto «uso pubblico della storia» e dalla inveterata abitudine di guardare alla scuola solo secondo un’ottica dettata dal potere (burocratica e ritualistica un tempo, «aziendalistica» e grossolanamente pubblicitaria oggi); in secondo luogo, mostrare che questi fermenti, pur nel loro «disordine» (ingenuità e, a volte, improvvisazioni o rigidità schematiche e un po’ estremistiche), presentano forti suggestioni nel senso della «democrazia», per parafrasare xe "Tarrow Sidney"Tarrow. Ridare voce a questi tentativi sicuramente confusi ma generosi, cercare di dare una prima organizzazione non solo archivistica ma anche concettuale a questo tipo di materiali che cominciano ad accumularsi un po’ ovunque (vedi i fondi dei vari Istituti per la storia della Resistenza)3 e che senza un minimo di interpretazione e di valorizzazione resterebbero lettera morta significa secondo me aiutare e stimolare una ricerca successiva e più approfondita.
Una precisazione doverosa: le relazioni, gli intrecci, il rafforzamento reciproco nell’azione, che caratterizzano la storia di questi soggetti, non sono casuali né legati solo a rapporti amicali, di categoria ecc. La tesi di fondo del mio lavoro è che si può parlare, anche per la scuola dell’obbligo, di un «movimento» simile ad altri che percorrono la società italiana in questi anni (dissenso religioso, psichiatri, magistrati, giornalisti e persino artisti), fortemente influenzato dai più celebri movimenti degli studenti universitari e degli operai e dalla «cultura del Sessantotto». È una tesi di cui mi assumo interamente la responsabilità e che cercherò di dimostrare basandomi sul dibattito storiografico esistente. Quella di «movimento», però, mi sembra una categoria interpretativa unificante e credibile, senza la quale le scelte sui materiali documentari, sui soggetti da analizzare, sui collegamenti da stabilire, risulterebbero confuse e incoerenti.
Certo, non mi nascondo la difficoltà di fondare la mia tesi su una storiografia ancora in fieri, spesso di livello disuguale, all’inizio un po’ troppo legata all’occasione commemorativa, «snobbata» dal mondo accademico.
Ci sono però degli elementi positivi che si vanno moltiplicando: anzitutto, ad opere «militanti» o di carattere giornalistico si sono affiancate, fin dall’inizio, acute analisi di sociologi, psicoanalisti, filosofi, politici, che offrono un materiale prezioso al lavoro dello storico (si pensi, solo in Italia, al lavoro di riflessione «partecipante» di xe "Melucci Alberto"Melucci o xe "Fachinelli Elvio"Fachinelli4 ). Inoltre, si moltiplicano le raccolte di fonti che, grazie alla multimedialità, permettono una informazione più adeguata alla natura magmatica di questi movimenti, che non si identificano totalmente con le espressioni ufficiali. Infine, sono sempre più numerose le tesi di laurea e di dottorato su questi argomenti e si tentano collegamenti, a livello europeo e non solo, sullo stato degli studi e sui repertori di fonti.
Due questioni sono da chiarire preliminarmente: la presenza di un movimento nella scuola al di là degli studenti universitari e con un forte radicamento nella scuola dell’obbligo; la somiglianza e affinità di questo movimento con altri movimenti sociali di quel periodo, legati al rifiuto del ruolo (magistrati, psichiatri, giornalisti) e riconducibili tutti alla «cultura del Sessantotto».
Dagli studi di un trentennio si possono ormai ricavare alcuni punti fermi. In primo luogo, l’«evento ’68 » si dilata nella «stagione dei movimenti» o années ’68 (anni ’60-’70): prevale la durata o addirittura la «lunga durata», nella misura in cui i movimenti vengono interpretati come espressione di tendenze di lungo periodo della società post-industriale. Scrive xe "Grispigni Marco"Marco Grispigni:
Con la sua carica simbolica di evento, il Sessantotto rappresenta l’entrata in scena di nuovi attori sociali. Il Sessantotto, quindi, inteso come data che sottintende un più ampio ciclo politico e sociale che in qualche modo abbraccia due decenni: Les années ’68 come, con un «bisticcio» linguistico evocativo, in Francia, vengono definiti quegli anni. Due decenni, gli anni ’60 e ’70…5
In secondo luogo, viene riconosciuta l’esistenza di una pluralità di soggetti e di movimenti, per quell’effetto di «competizione» di cui parla xe "Tarrow Sidney"Tarrow6 : essi appaiono accomunati da alcune peculiarità nei comportamenti (radicalità, «espressività», atteggiamento anti-istituzionale) e dai contenuti proposti (critica del capitalismo, con particolare riferimento alle forme simboliche che esso assume e al rapporto sapere-potere; antiautoritarismo; rifiuto del ruolo).
Un particolare interesse assume in questo contesto il caso italiano. Qui il movimento si impone fin dall’inizio all’attenzione degli osservatori per la sua durata e per la ramificazione nella società. Tarrow ha documentato, con uno spoglio sistematico dei giornali dell’epoca, che la conflittualità raggiunge un vertice nel 1968-71, resta alta nel 1972-73 e solo negli anni successivi comincia a diminuire. Essa coinvolge inoltre molteplici soggetti sociali, secondo quel modello di «competizione» che lo studioso ravvisa nel moltiplicarsi delle lotte, e presenta le stesse caratteristiche in tutte le situazioni: l’«espressività» contro le rivendicazioni di categoria, l’autonomia e la non-delega, l’atteggiamento anti-istituzionale, l’intreccio spontaneità-organizzazione, notato anche da xe "Regini Marino"Regini per quel che riguarda il movimento operaio7 .
Gli stessi caratteri sono evidenziati negli studi di xe "Melucci Alberto"Melucci, che ha seguito i movimenti dal Sessantotto agli anni Ottanta8 : «l’eterogeneità e la scarsa negoziabilità delle lotte», «la scarsa focalizzazione sul sistema politico e l’interesse limitato rivolto alla presa del potere. La conquista del potere politico e il controllo dell’apparato di Stato sembrano sostituiti da una volontà di controllo immediato delle condizioni di esistenza e dalla rivendicazione di uno spazio che segni l’indipendenza dal sistema»; «la partecipazione diretta e il rifiuto della rappresentanza, [...] l’importanza dell’azione e della partecipazione diretta, il carattere spontaneista, antiautoritario e antigerarchico della protesta»; «la solidarietà come obiettivo (il centrarsi della lotta sull’identità di gruppo, [...] forme di resistenza a un potere che si generalizza)»9 .
Il «caso italiano» è poi interessante per un’altra questione, anch’essa importante per lo sviluppo del mio discorso: la varietà e molteplicità delle situazioni di lotta, dei soggetti «antagonisti», evidenzia una peculiarità di questo movimento, che non ha più (o, in Italia, presto non avrà più) un soggetto forte e con una chiara connotazione di classe come avveniva per il movimento operaio, tradizionale soggetto antagonista. Ciò stimola una riflessione e un dibattito, iniziati dallo stesso movimento studentesco10 , per legittimare la propria azione di classe e per stabilire i rapporti con il movimento operaio. Che i mutamenti nella società richiedessero e insieme determinassero nuovi soggetti, espressione di nuovi bisogni, e nuovi campi d’azione e forme di lotta, è riconosciuto in alcune analisi già abbastanza precoci, fra cui gli studi di Melucci (e di xe "Touraine Alain"Touraine) di cui ho parlato.
In questa «galassia» di movimenti che scuotono la società italiana tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta alcuni studiati approfonditamente e altri ancora da analizzare può essere inserito il movimento nella scuola dell’obbligo, che costituisce l’oggetto di questa ricerca.
Adopero per ora il termine generico «movimento» (ormai invalso sia nel linguaggio corrente sia negli studi) riservandomi di spiegare subito dopo chi ne fa parte, quali caratteristiche presenta ecc.
Va subito chiarito che questo particolare movimento presenta affinità più con quelli della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta, che con quelli che si sviluppano intorno e dopo il 1977 (giovani, donne, ecologismo, pacifismo): del resto, l’arco temporale in cui esso cresce e si esaurisce si colloca, a mio avviso, fra il 1967 (l’anno di Lettera a una professoressa)11 e il 1977 (miniriforma xe "Malfatti Francesco Maria"Malfatti e «normalizzazione» della scuola media).
Sicuramente c’è un forte rapporto di affinità (non certo, però, di identità) con il movimento degli studenti universitari, sia per la cultura largamente condivisa (si pensi alla critica della società capitalistica, all’antiautoritarismo e all’egualitarismo, tanto per fare subito alcuni esempi clamorosi) sia per la radicalità nella teorizzazione e nella pratica personale e collettiva. A mio avviso, però, il movimento nella scuola dell’obbligo si colloca piuttosto fra quei movimenti di «rifiuto del ruolo» che coinvolgono non a caso intellettuali e tecnici (insegnanti, magistrati, giornalisti, medici e in particolare psichiatri) e che hanno come campo d’azione la società della comunicazione con i suoi meccanismi di controllo sociale.
Infine, valgono per questo movimento le caratteristiche indicate da xe "Melucci Alberto"Melucci e xe "Tarrow Sidney"Tarrow: l’«espressività» e «non negoziabilità» delle lotte, che ribalta un atteggiamento tradizionalmente rivendicativo-corporativo; l’autonomia e la non delega; l’esigenza di «democrazia diretta»; la dialettica spontaneità-organizzazione.
Passiamo adesso ad una breve presentazione delle caratteristiche generali del movimento, che verranno riprese e sviluppate nei capitoli successivi.
Il movimento è composto da insegnanti, ovviamente, ma non solo. L’insegnante «nuovo» ha infatti dalla sua, come ho accennato in precedenza, una cultura più generale dalla forte componente radicale, che costituisce una fitta rete di relazioni e di collegamenti: una «galassia», dunque, i cui elementi si rinforzano reciprocamente, pur in un rapporto dialettico e tutt’altro che idilliaco.
L’interesse che muove questi insegnanti non è strettamente professionale, al punto che non è predominante (anche se non è assente, in un’ottica di difesa dei diritti dei lavoratori) la preoccupazione per il trattamento economico o normativo né si coltivano ambizioni di «carriera», la quale anzi è apertamente disprezzata come simbolo di organizzazione gerarchica e autoritaria (egualitarismo). L’interesse, piuttosto, si concentra sul mettere in discussione il proprio ruolo sociale per ragioni etico-politiche (si veda l’enorme importanza che assume, oltre al ricordato Lettera a una professoressa, il libro di xe "Barbagli Marzio"Barbagli e xe "Dei Marcello"Dei, Le vestali della classe media, una specie di polemico confronto con quello che l’insegnante tradizionalmente è)12 . A ciò si aggiunge la consapevolezza di operare in modo inedito rispetto alla tradizionale «separatezza» della scuola nei confronti della società, rivendicando il proprio impegno politico nel lavoro scolastico e l’apertura della scuola ai problemi sociali.
I «nuovi» insegnanti sono in grandissima maggioranza giovani laureati che, grazie alla riforma della scuola media e alla espansione della scolarizzazione, entrano massicciamente nella scuola dell’obbligo, sia pure in posizione precaria. A questi, però, vanno affiancati anche insegnanti più anziani, con notevole esperienza nel campo dell’educazione e già impegnati in lotte democratiche13 (alcuni esempi: xe "Lodi Mario"Mario Lodi, xe "Ciari Bruno"Bruno Ciari, gli insegnanti del MCE nelle scuole elementari).
Sono poi protagonisti del movimento coloro che insieme agli insegnanti «abitano» la scuola: gli studenti. C’è un protagonismo immediato di alcune nuove figure di studenti: gli studenti lavoratori; gli operai, le donne che frequentano i corsi delle 150 ore; alcuni portatori di handicap. Tra l’altro, intorno al problema dell’handicap, si salda il rapporto, a cui accennavo precedentemente, fra il movimento della scuola e un altro movimento di «rifiuto del ruolo», quello degli psichiatri, degli psicologi, dei tecnici e degli assistenti sociali che operano nel campo dell’esclusione e delle «istituzioni totali». Anche alcuni gruppi di studenti della scuola media inferiore si impegnano nelle lotte per il tempo pieno e per le innovazioni didattiche o partecipano alle manifestazioni antifasciste.
C’è poi un protagonismo mediato degli studenti più giovani o di fasce dei portatori di handicap, nel senso che è la scuola ad adattarsi allo studente, trasformandosi a misura dei suoi bisogni, della sua crescita umana e sociale.
Insieme agli studenti, diventano protagonisti i genitori, non nella forma privatistica di «proprietari» dei figli, ma in quanto assemblea democratica per una gestione di base e diretta, non delegata (si vedano i gruppi di genitori che lottano contro i doppi turni, rivendicano il tempo pieno, chiedono la fine delle classi differenziali, si associano nel COGIDAS in nome dell’antifascismo). Infine, entrano nella scuola per la prima volta le forze sindacali.
All’esterno, sono protagonisti i volontari delle scuole popolari, che portano la ricca problematica del dissenso religioso, una forte motivazione etico-politica e contatti più liberi con il mondo del lavoro e con le contraddizioni sociali. E poi c’è il mondo variegato e di nuova formazione dell’editoria «di movimento», che si sviluppa intorno al problema del rinnovamento della scuola e, pur con mezzi poveri e artigianali, riesce a ottenere un notevole successo, accanto alla tradizionale editoria democratica, la quale risente anch’essa dei fermenti nuovi e li stimola a sua volta, contribuendo alla circolazione delle idee. Altri luoghi di dibattito e di elaborazione di una didattica alternativa sono i Centri di documentazione, mentre le librerie «di movimento» sono un punto di riferimento per la circolazione e la promozione delle iniziative.
Come succede con gli altri movimenti, la diffusione del movimento nella scuola avviene in modo capillare e ricopre tutto il territorio nazionale. C’è un’atmosfera comune che si ritrova anche nelle situazioni più lontane dai centri di sperimentazione didattica e di lotta politica. Idee, iniziative, produzione di documenti hanno un’aria di famiglia. La comunicazione è cercata e praticata, anche se avviene quasi sempre in modo povero e informale: bollettini, ciclostilati, giornali di classe, pubblicazioni alternative circolano attraverso una rete di amicizie e di frequentazioni politiche o di librerie di movimento. Ci sono poi i momenti di incontro ai convegni e seminari MCE, ai coordinamenti (dei Comitati d’agitazione degli insegnanti, delle scuole popolari, delle scuole sperimentali, dei gruppi extraparlamentari), ai congressi della CGIL scuola dove il movimento rappresenta la «sinistra».
Gli insegnanti del movimento costituiscono quasi sempre delle minoranze, anche se attive, motivate e sostenute da una forte coesione di gruppo: in questo modo riescono ad esercitare un’influenza superiore al loro peso numerico, ottenendo l’appoggio dei cosiddetti insegnanti «democratici» e (soprattutto in alcuni particolari momenti di mobilitazione o nei casi di aperta repressione) dei genitori o delle forze politiche e sindacali (dei rapporti con gli studenti, molto giovani e quindi non in grado di prendere posizioni decisive, si parlerà in seguito). Solo in alcune situazioni particolari (scuole sperimentali, corsi 150 ore) li troveremo in maggioranza, perché l’assunzione avviene spesso in base ad una scelta dell’interessato.
Allo stesso modo, la diffusione del movimento, sebbene generalizzata, non è omogenea: alcune regioni, in particolare Piemonte, Liguria, Lombardia, Toscana, Emilia, presentano una notevole ricchezza e varietà di iniziative; altre esperienze significative, anche se più isolate, sono presenti un po’ in tutte le regioni.
È molto difficile provare a ricostruire in cifre le dimensioni del movimento, anche solo per quanto riguarda gli insegnanti. Gli indicatori, infatti, descrivono solo una parte della realtà. Facciamo alcuni esempi. Un indicatore può essere l’iscrizione ai sindacati confederali, che in quel periodo si formano anche nella scuola: la sezione sindacale è infatti in questa fase un luogo di aggregazione e di organizzazione delle lotte dal basso e riunisce insegnanti della sinistra tradizionale ed extraparlamentare. Ma questo dato, che può valere per la scuola media, non vale per le elementari, dove la politica dei sindacati confederali è meno coerente, e permane l’influenza di sindacati autonomi come il SINASCEL, per non parlare dei sindacati cattolici. Restano poi fuori quegli insegnanti che rifiutano ideologicamente la rappresentanza tradizionale, anche nella formula del rapporto spontaneismo-organizzazione di cui parlavo sopra.
Né possono essere esaurienti i dati sulle iscrizione al MCE o sugli abbonamenti ad alcune riviste particolarmente significative, che risultano sottodimensionati rispetto al numero di insegnanti «nuovi» che seguono con attenzione il MCE ma non vi si identificano, accusandolo anzi a volte di riformismo o che leggono in modo onnivoro le riviste più varie, a seconda che il tema o la polemica si impongano all’attenzione e al dibattito.
Ma forse, in generale, le cifre non possono esprimere il ruolo di stimolo che queste minoranze svolgono nella scuola dell’obbligo, perché la loro forza sta nel retroterra di cui abbiamo parlato precedentemente, nel farsi portavoce di quei fermenti e di quelle idee che agitano la società italiana (movimento degli studenti, antifascismo, femminismo).
Credo si possa adattare bene a tutti i movimenti di quegli anni, compreso quello nella scuola dell’obbligo, ciò che xe "Grispigni Marco"Marco Grispigni dice a proposito del movimento delle donne:
La capacità di spostare gli equilibri, di mettere in primo piano altri temi rispetto a quelli dell’agenda politica tradizionale, la pratica collettiva dell’azione sociale [...] producono effetti dirompenti e direttamente politici.
Non è un caso che anche in situazioni nelle quali minore è stata la risposta riformista del potere politico ai movimenti di contestazione e l’Italia rientra a buon diritto in questo novero proprio su alcuni temi sollevati dal movimento [...] si siano ottenute delle significative risposte istituzionali che in qualche modo ne hanno sancito il peso.
E conclude:
«Stagione dei movimenti» indica una fase storica nella quale nel nostro paese una serie di movimenti sociali (diversi fra loro, ma con alcune caratteristiche unificanti) furono tra i protagonisti principali della scena politica, sociale e culturale. Certamente non gli unici né i più importanti, ma senza tener conto della loro presenza credo che sia impossibile qualsiasi ricostruzione storiografica che non si confini nel recinto della «vecchia» storia politica, attenta solamente alle strategie dei partiti ed in particolar modo delle loro leadership14 .
L’arco temporale in cui il movimento si sviluppa e si esaurisce si colloca, come dicevo precedentemente, fra il 1967 (l’anno di Lettera a una professoressa) e il 1977 (miniriforma xe "Malfatti Francesco Maria"Malfatti e «normalizzazione» della scuola media). All’interno di questo periodo, possiamo distinguere tre fasi.
La prima fase, più spontaneistica, va dal 1968 al 1972 e corrisponde al momento di massima e più diffusa conflittualità nella società italiana. È il periodo della contestazione del modello tradizionale di scuola e del suo attacco «dall’esterno», sia attraverso il movimento delle scuole popolari e della controscuola, sia attraverso le lotte di insegnanti e genitori contro la selezione. È in questa fase che si sviluppano alcune importanti esperienze come la critica e il rifiuto dei libri di testo o l’antiautoritarismo, mentre, non a caso, è fortissima la risposta repressiva dell’istituzione: si veda a questo proposito il libro di xe "Pianciola Cesare"Cesare Pianciola, xe "Quazza Ada"Ada Quazza e altri, Chi insegna a chi? Cronache della repressione nella scuola (Einaudi, 1972), oltre all’abbondantissima documentazione di casi di repressione su riviste o nei fondi del mio o di altri archivi15 . Fra il 1970 e il 1972 si sviluppano impetuosamente nuove iniziative editoriali, riviste, librerie di movimento, Centri di documentazione.
La seconda fase va dal 1973 al 1976 e si potrebbe definire come «il difficile incontro con le istituzioni». In questi anni si registrano nella scuola dell’obbligo alcune importanti conquiste, che introducono elementi di cambiamento nella rigida struttura dell’istituzione: lo sviluppo di scuole sperimentali a tempo pieno e dei corsi 150 ore; la circolare del 1975 che riconosce, sia pure in via «sperimentale», l’inserimento dei portatori di handicap; una sempre più diffusa tendenza al rinnovamento della didattica; l’affermarsi dell’antifascismo nella scuola. Si tratta però, come ho detto, di un incontro difficile con l’istituzione, perché sarà costante la tendenza a riassorbire o vanificare questi germi di democrazia. Gli stessi protagonisti del movimento, benché rafforzati e resi più abili dal punto di vista teorico e organizzativo, saranno oberati ed estenuati dalla responsabilità di gestire da soli e in mezzo a mille difficoltà un cambiamento che si tenta in tutti i modi di svuotare di contenuto: emblematica, a questo proposito, è la vicenda dei decreti delegati. Anche in questo caso troviamo un corrispettivo nella situazione sociale più generale: lotte sindacali per le riforme e difficile dialettica coi movimenti di base (casa, autoriduzione tariffe); introduzione del divorzio e del nuovo diritto di famiglia; prime esperienze di apertura degli ospedali psichiatrici. A livello politico, si assiste alla trasformazione dei «gruppi» in partiti e all’affermarsi del «compromesso storico».
La terza fase va dal 1977 al 1979 e vede il consumarsi della crisi del movimento. È il periodo della «svolta» sindacale (Congresso della CGIL-scuola del 1977; EUR, 1978); dell’affossamento delle scuole sperimentali e della introduzione del «tempo prolungato»; del progressivo ritirarsi del sindacato dai corsi 150 ore, ormai limitati quasi esclusivamente alla scuola media. Si affermano nuovi movimenti, come quello degli insegnanti precari, profondamente diversi negli obiettivi, nei metodi, nella cultura, proprio come nella società i movimenti delle donne e dei giovani inaugurano nuove forme di linguaggio e di organizzazione. Del resto, anche in questo caso, la situazione generale è profondamente cambiata (vedi il delinearsi della crisi dello Stato sociale o degli «anni di piombo»).
Come ho già detto, la mia ricerca descrive soprattutto la fase ascendente, di sviluppo, del movimento e si chiude intorno al 1975. Non si deve però pensare a una narrazione all’insegna del trionfalismo, che, escludendo il momento della crisi, eviti un bilancio, una riflessione critica e una verifica. Del resto, già nel 1975-76 cominciano ad evidenziarsi alcuni segni premonitori della crisi:
l’inversione della congiuntura economica;
il colpo di stato in Cile e il «compromesso storico» teorizzato da xe "Berlinguer Enrico"Berlinguer;
l’inversione di tendenza della CGIL Scuola: la contrattazione del 1973 è l’ultimo momento significativo, a cui segue la sconfitta rappresentata dai decreti delegati e in generale una «tregua sociale» (vedi xe "Dei Marcello"M. Dei e xe "Rossi Maurizio"M. Rossi, Sociologia della scuola italiana, Bologna 1978);
la fine del rapporto privilegiato del sindacato con i movimenti, che aveva caratterizzato la sua azione fino a quel momento, e la sua progressiva «istituzionalizzazione» contando sul progresso del PCI e sulla conquista degli Enti Locali (elezioni del 1975); il concentrarsi della battaglia sindacale sull’azione riformistica a livello statale, che sicuramente non manca, ma è parziale, e non si svolge nei settori più conflittuali (fabbrica, scuola, casa)16 ;
la costituzione in «forma partito» dei movimenti extraparlamentari;
l’antifascismo come crescita democratica, ma in senso difensivo, dinanzi all’attacco della «strategia della tensione».
Questo modello di periodizzazione si ritrova agevolmente all’interno dei vari capitoli e nei rimandi da un capitolo all’altro: sottolineo perciò che, anche se la narrazione sembra impostata in modo sincronico, è presente uno sviluppo diacronico e la dimensione cronologica non viene trascurata.
Affronterò a questo punto il problema delle fonti utilizzate. Una parte consistente e assolutamente inedita del materiale documentario è costituita dalla produzione didattica e politica di alcune scuole medie a tempo pieno e dei corsi 150 ore, prevalentemente di Milano e provincia.
I fondi più ampi e completi da me esaminati, per quel che riguarda le esperienze didattiche innovative, sono:
a) Fondo «Roberto Signorini»; fondo «Adriana Chiaia»; fondo «Maria Luisa Tornesello»: i primi due descrivono la lotta per l’ottenimento del tempo pieno e la sua realizzazione alla scuola media «Marelli» di Milano; l’ultimo documenta il corso 150 ore per le donne tenuto da xe "Melandri Lea"Lea Melandri e la successiva esperienza della Cooperativa «G. Broxson». Questa documentazione, di cui ho curato la raccolta e il riordino, sarà unificata nel Fondo «Primo Moroni» e sarà ospitata dall’ISEC di Sesto San Giovanni.
b) Carte «Myriam Bergamaschi», carte «Pina Madami», carte «Paola Melchiori», conservate presso l’Archivio del Lavoro a Sesto San Giovanni: si tratta della documentazione dei corsi 150 ore, raccolta a cura di xe "Bergamaschi Myriam"M. Bergamaschi.
c) Carte «Giacomo Paccini» raccolte dalla figlia17 : si tratta di un’ampia documentazione, anche a livello di gestione istituzionale, delle scuole a tempo pieno e dei corsi 150 ore, oltre al materiale prodotto dalla scuola media a tempo pieno di Sovico, di cui xe "Paccini Giacomo"Paccini era preside. Interessante anche la documentazione del lavoro pionieristico da lui svolto per stimolare e diffondere una sensibilità antifascista nella scuola.
d) Busta n. 58 Insegnanti e Busta n. 57 Lavoratori studenti, presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. Qui è ricchissima anche la disponibilità di opuscoli, bollettini, riviste di didattica alternativa praticamente introvabili nelle biblioteche («Bollettino delle scuole popolari»; «Bollettino delle Comunità cristiane di base»; «Scuola-documenti» ecc).
Ho anche avuto modo di consultare utilmente, per i corsi 150 ore, l’interessantissimo «dono Leonetti» nel Fondo «Marcello Vitale» presso il Centro Gobetti di Torino, e di prendere visione del film 150 ore, gentilmente fornitomi dall’Archivio Audiovisivo Movimento Operaio e Democratico.
Sto curando una prima ricognizione di archivi in cui è presente materiale sul movimento della scuola dell’obbligo, per favorire il formarsi di una sorta di rete di informazione e reperimento o raccolta di documenti.
Se questa parte delle fonti è costituita da «materiale grigio» (volantini, ciclostilati, a volte appunti scritti a mano), un’altra parte, altrettanto importante, è costituita dalla produzione pressoché completa dell’editoria «alternativa», spesso dispersa in varie biblioteche o addirittura introvabile, che ho raccolto e riordinato e che farà parte anch’essa del Fondo «Primo Moroni».
Come si può vedere, quello su cui si fonda la ricerca è un materiale ricco e vario, ma poco «istituzionale». Esso rispecchia l’esperienza diretta e quotidiana, e vi ha molto rilievo il racconto in prima persona: storie personali, interviste, relazioni di esperienze, prese di posizione…. Un materiale un po’ atipico, quindi, il cui uso vorrei discutere.
Anticipo qui che mi sta particolarmente a cuore riprodurre la «presa della parola» che caratterizzò quel periodo: per questo do ampio spazio alle testimonianze dirette dei protagonisti. Non sono quindi casuali, nel mio lavoro, l’abbondanza e la lunghezza delle citazioni: solo così è possibile rivivere una situazione di protagonismo diffuso, oggi impensabile, e insieme ritrovare un linguaggio, una visione delle cose profondamente diversi, che sembrano tanto lontani nonostante la brevità del tempo trascorso da allora.
Vorrei inoltre valorizzare la bellezza e l’umanità dei testi, che fra l’altro permettono di cogliere molto di più di quanto il testo saggistico di ricostruzione storica può offrire. Ciò presuppone un rapporto di attento e non frettoloso «ascolto» dei materiali presentati, non sempre facile.
Certo, c’è il problema del punto di vista delle fonti, che non può essere sottovalutato perché introduce una prepotente soggettività nella ricostruzione storica. Si tratta, però, non tanto di ignorarlo quanto di saperlo utilizzare come uno degli elementi della ricostruzione stessa, come dimostrano alcuni studi recenti18 .
Il frequente ricorso, nella narrazione, alle storie personali rimanda alla natura del mio lavoro, che può apparire anch’esso una «storia personale». I problemi di questo «genere» storiografico sono sicuramente il coinvolgimento diretto e la passionalità, che lo rendono più simile ad una testimonianza che ad un lavoro di ripensamento storico, e possono essere superati solo da una maggiore distanza generazionale. Del resto, si sta discutendo molto sui rischi della memorialistica19 .
Ci sono però, a mio avviso, anche degli elementi positivi: in primo luogo, la valorizzazione delle testimonianze non ufficiali. Senza voler mitizzare questo tipo di documento, e lasciando lo spazio dovuto alle organizzazioni ufficiali e agli aspetti istituzionali, è ormai riconosciuto alle testimonianze di base l’apporto fecondo e indispensabile per la ricostruzione della varietà e complessità dei fenomeni, in particolare per la storia dei movimenti a partire dal ’68 che, dato il loro carattere composito e strutturalmente non ufficiale, necessitano di una diversa documentazione20 .
C’è poi la possibilità, attraverso questo strumento, di ricostruire la pluralità del dibattito: un altro obiettivo che mi sta molto a cuore. Infatti, l’identità del movimento si può salvare solo restituendo la pluralità delle voci, oggi spesso appiattite su quella di chi «gridava più forte»: si veda più avanti il caso esemplare dell’antifascismo21 e del problema della violenza e, in generale, la liquidazione sbrigativa delle teorie e delle realizzazioni del movimento, identificate con il voler fare della scuola una palestra per una improbabile «rivoluzione subito».
Come ho detto precedentemente, in questo modo intendo reagire ad un distorto «uso pubblico» della storia e, nello stesso tempo, contribuire a quel tentativo di coniugare la storia militante con la ricerca scientifica, di cui si comincia a sentire l’esigenza, evitando le secche del reducismo e dell’agiografismo nostalgico22 .
Desidero anche sottolineare e far riscoprire una vivacità di dibattito e di realizzazioni nella scuola, oggi assolutamente inimmaginabile. Infatti, attualmente non solo sono meno numerosi gli studi di carattere sociologico o storico sull’istituzione scolastica, ma mancano quasi del tutto, per il periodo dal dopoguerra a oggi, opere di storia della scuola attente agli aspetti meno ufficiali, riguardanti la vita, le idee, i conflitti dei lavoratori e degli utenti della scuola23 .
Certo, nel mio lavoro si avvertono parecchie mancanze: ad esempio, sarebbe stata importante una maggiore attenzione alle lotte sindacali e al dibattito politico, in particolare alla polemica PCI-gruppi extraparlamentari. Manca anche una caratterizzazione del movimento più aderente alla fisionomia dei vari «gruppi».
Questa carenza non è dovuta solo alla fretta e alla mole del materiale da considerare: sulla lunga durata, gli aspetti politico-sindacali, che sembravano determinanti per l’identità del movimento, si sono rivelati più caduchi, mentre è rimasto l’aspetto più genericamente culturale (che non esclude un senso più vasto della politica e della battaglia sindacale), questo sì capace di definire meglio un’identità e di reggere al confronto con la situazione attuale, pur tanto cambiata economicamente e socialmente.
Manca anche un’analisi della crisi del movimento (esclusa per motivi di tempo e di brevità, come ho già detto) e delle sue cause sia interne sia esterne. È, questo, un discorso storico importante, difficile e utile: il mio lavoro ne costituisce appena un’introduzione, un semplice sollevare il problema.
Su tutti questi temi e su una valutazione più serena, critica e approfondita dovrà esercitarsi la ricerca successiva. Per il momento mi basta avere raggiunto due obiettivi: partecipare ad un lavoro di conservazione della memoria, che non è mai inutile, e salvaguardare l’inquietudine e la sensibilità critica tipiche del periodo studiato e oggi utili come «spettro»24 in grado di sollevare interrogativi, che servono insieme a problematizzare il presente e ad offrire una visione delle cose meno desolante.
Vorrei soffermarmi un attimo su questo punto. Il senso di «riscoperta», che mi ha stimolata e sostenuta nel corso della ricerca, non nasce solo dall’amore dell’archivista o del bibliotecario per il «suo» materiale. Riparlando degli anni Sessanta-Settanta e della scuola, ho «riscoperto» la sensazione di vivere in un periodo di cambiamento, di forti istanze di rinnovamento: in questo senso, il libro di xe "Crainz Guido"Crainz, Il paese mancato25 , che al momento non conoscevo, conforta il mio punto di vista.
Certo, gli anni Settanta rappresentano anche una sconfitta e una cesura. Il «cambiamento», la «modernizzazione», sono avvenuti, a partire dagli anni Ottanta, nel segno del mercato.
Riascoltando le voci che propongo, colpisce proprio la ricerca di una soluzione dichiaratamente contro il capitalismo e contro il mercato, tentata generosamente nei campi più diversi: dall’«apertura» della scuola alla società al problema della comunicazione, dall’editoria al rapporto con gli esperti e i tecnici. E colpisce tanto più dinanzi ai cambiamenti personali di parecchi protagonisti, che oggi vorrebbero autorizzare una lettura di quei tentativi in chiave proprio di semplice modernizzazione e di apertura al mercato.
La cifra del cambiamento fu piuttosto l’utopia, il «sogno di cambiare la vita»: un grande progetto «pedagogico» che partiva dal Sessantotto e investiva di diritto la scuola, che ne era parte integrante26 . Ridare voce a questi fermenti, a questi tentativi, non è agiografismo nostalgico, ma una vera e propria operazione storica, come ci ha insegnato tra gli altri xe "Revelli Nuto"Nuto Revelli: cancellandoli, la ricostruzione di quegli anni sarebbe lacunosa o, peggio, ne verrebbe falsificata. E forse la «riscoperta» viva e problematica di queste voci ci può offrire utili spunti di riflessione per il nostro presente.
Da ultimo, ricordo il debito che questo lavoro e le riflessioni del movimento hanno nei confronti di xe "Marcuse Herbert"Herbert Marcuse. Non deve stupire se il suo pensiero verrà poco citato, perché in qualche modo era entrato intimamente a far parte del punto di vista del movimento sulla realtà.
Per questo concludo riportando un suo passo, che mi sembra di grande attualità:
Ricordare il passato può dare origine ad intuizioni pericolose, e la società stabilita sembra temere i contenuti sovversivi della memoria. Ricordare è un modo di dissociarsi dai fatti come sono, un modo di ‘mediazione’ che spezza per brevi momenti il potere onnipresente dei fatti dati. [...]
Riconoscere il passato come presente, mettersi in rapporto con esso, contrasta la funzionalizzazione del pensiero da parte della realtà stabilita ed entro di questa. Significa militare contro la chiusura dell’universo di discorso e di comportamento; significa rendere possibile lo sviluppo di concetti che scuotono la stabilità dell’universo chiuso e lo trascendono per il fatto di concepirlo come universo storico. [...] Mediare il passato con il presente porta alla luce i fattori che produssero i fatti, che determinarono il modo di vita, che decisero chi doveva essere padrone e chi servo; proietta i limiti e le alternative. [...] I termini chiave di questo linguaggio non sono nomi ipnotici che evocano senza fine i medesimi predicati congelati nell’uso. Essi permettono uno sviluppo aperto, e anzi dispiegano il loro contenuto in predicati contraddittori27 .
1 Sebbene i decreti delegati siano una chiara sconfitta e una mistificazione, pure rendono pallidamente conto delle esigenze di democrazia di quegli anni.
2 Nel paragrafo 2.1, I «nuovi» insegnanti, spiego perché l’impegno per il cambiamento nella scuola è più visibile nella fascia dell’obbligo.
3 Strumenti utili per una prima ricognizione sono la Guida alle fonti per la storia dei movimenti in Italia, a cura di xe "Grispigni Marco"Marco Grispigni e xe "Musci Leonardo"Leonardo Musci (Ministero per i beni e le attività culturali, 2003) e i cataloghi cartacei e on line dell’IRSIFAR (Roma), dell’ISREC (Bergamo), dell’Archivio «Marco Pezzi» di Bologna, del Centro di documentazione di Pistoia, del Centro studi «P. Gobetti» di Torino, dell’Archivio del Lavoro di Sesto San Giovanni, della Fondazione «G. Feltrinelli» di Milano. Presso l’ISEC di Sesto San Giovanni dovrebbe essere ospitato il materiale da me raccolto e che va sotto il nome di Fondo «Primo Moroni» (per notizie più approfondite su xe "Moroni Primo"Primo Moroni si veda il paragrafo 3.3).
4 Di xe "Fachinelli Elvio"Fachinelli si parlerà spesso nel mio lavoro. Qui mi limito a ricordare E. Fachinelli, Il desiderio dissidente, in «Quaderni Piacentini», n. 33, febbraio 1968; Id., Gruppo chiuso, gruppo aperto, in «Quaderni Piacentini», n. 36, novembre 1968; Id., Il deserto e le fortezze, in «L’erba voglio», n. 1, luglio 1971 (I parte), n.5, aprile 1972 (II parte); n. 10, marzo-aprile 1973 (III parte).
Fra gli studi di xe "Melucci Alberto"Melucci sui movimenti ricordo A. Melucci, L’invenzione del presente. Movimenti sociali nelle società complesse, Bologna, Il Mulino, 1991 (1982), (riprende alcuni studi precedenti: in particolare Id., Sistema politico, partiti e movimenti sociali, Milano, Feltrinelli, 1977; Id., Dieci ipotesi per l’analisi dei nuovi movimenti in «Quaderni Piacentini», n.65-66, 1978, ora in C. xe "Carboni Carlo"Carboni (a cura di), Classi e movimenti nella società italiana 1970-1985, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp.141-161; Id. (a cura di), Movimenti di rivolta. Teorie e forme dell’azione collettiva, Milano, Etas Libri, 1976. Vedi anche A. Melucci (a cura di), Altri codici. Aree di movimenti nella metropoli, Bologna, Il Mulino, 1984. Gli studi di Melucci si ispirano a quelli contemporanei di xe "Touraine Alain"Alain Touraine, in particolare A. Touraine, La produzione della società, Bologna, Il Mulino, 1975. Per Touraine, vedi B. xe "Bongiovanni Bruno"Bongiovanni, Attraverso le interpretazioni del maggio francese, in A. xe "Agosti Aldo"Agosti, L. xe "Passerini Luisa"Passerini, N. Tranfaglia (a cura di), La cultura e i luoghi del sessantotto, Milano, Angeli, 1991, pp. 117-118:
Il sociologo Alain Touraine, nel libro Le mouvement de mai ou le communisme utopique, ha visto nel conflitto di classe un movimento di tipo nuovo che, riappropriandosi delle origini libertarie e democratiche del movimento operaio, ha condotto una lotta accanita contro la tecnocrazia e contro le nuove gerarchie e le sofisticate alchimie dell’ordine sociale esistente. Come lo stesso Touraine espliciterà in seguito, con il saggio sulla società post-industriale, dove si riprendono temi già da anni affrontati negli Stati Uniti, anche l’Europa era entrata in una nuova civiltà, dominata dall’elettronica e dall’incremento massiccio dei servizi: il comunismo utopistico del movimento di maggio era, all’alba della nuova civiltà, quel che era stato il socialismo utopistico all’alba della società industriale. Ci si era trovati davanti all’ultimo conflitto di classe del vecchio mondo e, nello stesso tempo, davanti al primo del nuovo mondo.
Importanti anche gli studi di xe "Pizzorno Alessandro"Pizzorno.
5 M. Grispigni, Elogio dell’estremismo. Storiografia e movimenti, Roma, Manifestolibri, 2000, p. 13. Esempi significativi, anche se forse discutibili, di come nel «fenomeno sessantotto» si individuino delle tendenze di lunga durata, inserendolo nella fase di transizione alla società post-industriale e alla post-modernità, sono alcuni saggi degli anni Ottanta: G. xe "Lipovetsky Gilles"Lipovetsky, L’era del vuoto. Saggi sull’individualismo contemporaneo, Milano, Luni Editrice, 1995 (titolo originale L’ère du vide. Essais sur l’individualisme contemporain, Paris, Gallimard, 1983-93) e L. xe "Ferry Luc"Ferry e A. xe "Renaut Alain"Renaut, Il ’68 pensiero, Milano, RCS Rizzoli, 1987 (titolo originale La pensée 68. Essai sur l’anti-humanisme contemporain, Paris, Gallimard, 1985).
Scrive a questo proposito xe "Marchetti Aldo"Aldo Marchetti:
La stessa persistenza nel corso di un ventennio di una interpretazione che considera gli anni Sessanta come un momento di accelerazione di tendenze già in atto […] ha una sua ineludibile importanza. Da Bell a Ferry-Renaut il ’68 subisce un processo di destituzione di significato come avvenimento storico con caratteristiche specifiche, per rientrare nel flusso temporale secondo una concezione della storia unidirezionale e lineare. La teoria dovrebbe incuriosire gli storici […] perché gli autori che la propongono, trascendendo il tempo presente, la definiscono come modello stabile (un modello che potremmo definire: di rivolte apatiche) per le società post-industriali.
(A. xe "Marchetti Aldo"Marchetti, Le interpretazioni del ’68, in xe "Poggio Pier Paolo"P. P. Poggio (a cura di), Il Sessantotto, l’evento e la storia, Brescia 1988-89, Annali della Fondazione Luigi Micheletti, 4).
Abbastanza particolare la posizione di xe "Arrighi Giovanni"Giovanni Arrighi, xe "Hopkins Terence H."Terence H. Hopkins e xe "Wallerstein Immanuel"Immanuel Wallerstein (Antisystemic movements, Roma, Manifesto libri, 1992): per loro il ’68 costituisce una sorta di spartiacque fra il nuovo dei movimenti come tendenza strutturale della società postindustriale contro le precedenti forme di rappresentazione politica (partiti, sindacati), da una parte, e l’adesione ancora persistente a forme politiche e linguaggi di tipo tradizionale, dall’altra; vedi anche M. xe "Revelli Marco"Revelli, Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro, Torino, Einaudi, 2001.
xe "Flores Marcello"Marcello Flores e xe "De Bernardi Alberto"Alberto De Bernardi (Il Sessantotto, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 237-254) sono portati invece a riconoscere al Sessantotto la sua specificità e a non prolungarlo negli anni Settanta. Su questi argomenti vedi ancora xe "Ginsborg Paul"Paul Ginsborg, Il Sessantotto e la modernità, in P. P. Poggio (a cura di), Il Sessantotto, l’evento e la storia, cit. Un ampio studio dei movimenti è in D. xe "Della Porta Donatella"Della Porta e M. xe "Diani Mario"Diani, I movimenti sociali, Roma, NIS, 1997.
6 S. xe "Tarrow Sidney"Tarrow, Democrazia e disordine, Roma-Bari, Laterza, 1990.
7 M. xe "Regini Marino"Regini, I dilemmi del sindacato. Conflitto e partecipazione negli anni Settanta e Ottanta, Bologna, Il Mulino, 1981; vedi inoltre E. Benenati, Sindacato, azione sindacale e canalizzazione del conflitto negli anni Settanta, in N. xe "Tranfaglia Nicola"Tranfaglia (a cura di), Crisi sociale e mutamento dei valori, Torino, Tirrenia Stampatori, 1989.
8 A. xe "Melucci Alberto"Melucci, Sistema politico, partiti e movimenti sociali, cit. e Id., L’invenzione del presente, cit., pp. 66-68.
9 A. Melucci, Sistema politico, partiti e movimenti sociali, cit., pp. 153-154.
10 Cfr. P. xe "Ortoleva Peppino"xe "Ortoleva Peppino"Ortoleva, Saggio sui movimenti del 1968 in Europa e in America, Roma, Editori Riuniti, 1988, oltre alla ricca documentazione del movimento studentesco italiano ed europeo. Per una sintetica e colorita descrizione del confronto studenti-operai nel maggio francese si veda B. xe "Bongiovanni Bruno"xe "Bongiovanni Bruno"Bongiovanni, Attraverso le interpretazioni del maggio francese, in xe "Agosti Aldo"Agosti e altri, La cultura e i luoghi del sessantotto, cit., p. 116.
11 Per il ruolo dirompente del libro e per l’influsso sulla contestazione si veda G. xe "Ricuperati Giuseppe"xe "Ricuperati G."Ricuperati, Gli esclusi si fabbricano, in «Nuova Sinistra», n. 4, aprile 1971 e «Scuola documenti» n. 7, maggio 1975.
12 M. xe "Barbagli Marzio"xe "Barbagli Marzio"Barbagli e M. xe "Dei Marcello"xe "Dei Marcello"Dei, Le vestali della classe media, Bologna, Il Mulino, 1969.
13 Si vedano esempi in «Scuola e città», «Riforma della scuola», «Il giornale dei genitori» xe "Marchesini Gobetti Ada"di xe "Gobetti Marchesini Ada"Ada Marchesini Gobetti, «Cooperazione educativa»; per la tematica dell’antifascismo fin dal 1960 è molto utile la consultazione di «Resistenza. Giustizia e Libertà».
14 M. xe "Grispigni Marco"Grispigni, Elogio dell’estremismo, cit., p. 21.
15 Carte «R. xe "Signorini Roberto"Signorini», scatola RS 2, fasc. 3-4, in Fondo «Primo xe "Moroni Primo"Moroni» (FPM).
16 Cfr. M. xe "Regini Marino"Regini, I dilemmi del sindacato, cit.
17 Questo materiale, attualmente conservato dalla figlia per l’incuria dell’attuale amministrazione della scuola media di Sovico, potrebbe essere ospitato anch’esso all’ISEC di Sesto San Giovanni.
18 G. xe "De Luna Giovanni"De Luna, La passione e la ragione, Milano, RCS Libri La Nuova Italia, 2001; A. xe "Bellagamba Alice"Bellagamba, P. xe "Di Cori Paola"Di Cori e M. xe "Pustiana Marco"Pustiana, Generi di traverso, Vercelli, Mercurio, 2000; P. Di Cori e D. xe "Barazzetti Donatella"Barazzetti, Gli studi delle donne in Italia: una guida critica, Roma, Carocci, 2001.
19 Cfr. la polemica sul libro di xe "Asor Rosa Alberto"Asor Rosa, L’alba di un mondo nuovo, Torino, Einaudi, 2002 e l’articolo di Rossana xe "Rossanda Rossanda"Rossanda, Storia e memorie, su «Il Manifesto», 13 ottobre 2002.
20 Fra i saggi sull’uso di diversi e non ufficiali tipi di documentazione per il ’68 ricordo M. xe "Grispigni Marco"Grispigni, Tracce di movimenti. Fonti per una storia da fare, in Id., Elogio dell’estremismo, cit., pp. 91-119. Ricordo anche il convegno organizzato dalla Biblioteca Franco xe "Serantini Franco"Serantini (L’età della rivolta, Pisa 10-11 maggio 2002) e la nuova rivista Zapruder. StorieInMovimento (n. 1, maggio-agosto 2003). È stata poi recentemente pubblicata, e sarà immessa anche in rete, la Guida alle fonti per la storia dei movimenti in Italia, citata: si tratta di un censimento dei materiali riguardanti la storia dei movimenti, promosso dagli Archivi di Stato e dalla Fondazione «Lelio e Lisli Basso» e curato da Marco Grispigni e xe "Musci Leonardo"Leonardo Musci (a somiglianza di un lavoro simile fatto in Francia da Mémoire du ’68 e dalla biblioteca di Nanterre circa dieci anni fa). Ricordo infine l’opera pionieristica di xe "Mangano Attilio"Attilio Mangano e del Centro di Documentazione di Pistoia, del «Manifesto» con il suo sito Media ’68, della rivista «Per il ’68 » e dell’Archivio «Marco Pezzi» di Bologna.
21 Si veda il Capitolo 6, L’antifascismo.
22 Cfr. quanto dice xe "Hobsbawm Eric J."Hobsbawm in Gente che lavora, a proposito della storia del movimento operaio.
23 È quanto afferma anche xe "Ballone Adriano"Adriano Ballone in Id., La scuola italiana. Problemi storiografici e percorsi di ricerca, «Rivista di storia contemporanea», 1992, n. 2-3, pp. 213-247. Fra gli studi sulla scuola negli anni Settanta ricordo:
G. xe "Quazza Guido"Quazza (a cura di) Scuola e politica dall’Unità a oggi, Torino, Stampatori, 1977;
G. xe "Canestri Giorgio"Canestri, Scuola e politica in Italia dalla resistenza al sessantotto, in «Rivista di storia contemporanea», a. VI, fasc. I, gennaio 1977, pp. 29-52;
G. xe "Bini Giorgio"Bini, Da don Milani a Orbilius. Breve storia di un ‘riflusso’ nel dibattito sulla scuola italiana, Bari, De Donato, 1979;
G. xe "Canestri Giorgio"Canestri e G. xe "Ricuperati G."Ricuperati, La scuola in Italia dalla legge Casati ad oggi, Torino, Loescher, 1976;
G. xe "Natale Giuseppe"Natale, xe "Colucci Francesco Paolo"F. P. Colucci, A. xe "Natoli Antonino"Natoli, La scuola in Italia. Dalla legge Casati del 1859 ai decreti delegati, Milano, Mazzotta, 1975;
M. xe "Gattullo Mario"Gattullo, La politica scolastica del centrosinistra negli anni 1968-1972, in «Rivista di storia contemporanea», gennaio 1973.
Fra gli studi più recenti ricordo:
D. xe "Ragazzini Dario"Ragazzini, Storia della scuola italiana. Linee generali e problemi di ricerca. Firenze, Le Monnier, 1983;
G. xe "Cives Giacomo"Cives (a cura di), La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni, Scandicci, La Nuova Italia, 1990;
S. xe "Soldani Simonetta"Soldani e G. xe "Turi Gabriele"Turi (a cura di), Fare gli italiani. Scuola e cultura nell’Italia contemporanea, vol. II, Bologna, Il Mulino, 1993;
G. xe "Ricuperati G."Ricuperati, La politica scolastica dal centrosinistra alla contestazione studentesca, in «Studi storici», 1990, n. 1, pp. 235-260 e in xe "Agosti Aldo"Agosti, xe "Passerini Luisa"Passerini, xe "Tranfaglia Nicola"Tranfaglia (a cura di), La cultura e i luoghi del ’68, cit., parte IV; Id., La politica scolastica, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, tomo II, Torino, Einaudi, 1995.
24 Cfr. in questo senso J. xe "Derrida Jacques"Derrida, Spettri di Marx, Milano, Raffaello Cortina, 1994 (tit. orig. Spectres de Marx, Paris, Editions Galilée, 1993).
25 G. xe "Crainz Guido"Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Roma, Donzelli, 2003.
26 G. xe "Chiosso Giorgio"Chiosso, Dalla pedagogia all’antipedagogia fra utopia e nuovi scenari, in Il sogno di cambiare la vita (fra gabbiani ipotetici e uccelli di rapina). Modelli sociali, educativi e artistici dal cuore del ’68, a cura di R. xe "Alonge Roberto"Alonge, Roma, Carocci, 2004.
27 H. xe "Marcuse Herbert"Marcuse, L’uomo a una dimensione, Torino, Einaudi, 1967, pp. 116-117 (tit. orig. One-Dimensional Man. Studies in the Ideology of Advanced Industrial Society, Beacon Press, Boston, 1964).