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Cat.n. 120 |
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Costanzo Preve
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Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi.
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ISBN 978-88-7588-156-6, 1999 [II ed. 2016], pp. 64, formato 140x210 mm., Euro 7 Collana “Divergenze” [21].
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In copertina: Disegno di M. Vulcanescu.
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indice - presentazione - autore - sintesi
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€ 7,00 |
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Questo breve saggio è dedicato a due temi strettamente intrecciati, e tuttavia distinguibili in linea di principio. Si tratta del tramonto irreversibile della categoria degli intellettuali, così come li abbiamo conosciuti nell’ultimo secolo, e nello stesso tempo dell’avvento irresistibile di una sorta di nuovo clero globalizzato, americanizzato e postmoderno, che non è più composto, neppure marginalmente, da preti e religiosi di varie confessioni, ma è strutturato sulla base di una componente “secolare”, il clero giornalistico, e di una componente “regolare”, il clero universitario.
Queste tesi possono sembrare curiose, paradossali e provocatorie, ma così non è. Anzi, si nota un interessante movimento in alcune pubblicazioni d’avanguardia “rispettabili” che tende a legittimare questo punto di vista. È ancora poca cosa, ma questa poca cosa è già presente nella pubblicistica di lingua francese ed inglese. Da noi in Italia, come sempre, vi è un ritardo provinciale, dovuto anche alla persistenza di due dicotomie del tutto fuorvianti, quella destra/sinistra e quella atei/credenti, cui abbiamo dedicato espressamente due studi pubblicati nella collana Divergenze, e che devono essere considerati complementari a questo lavoro.
Le due categorie di “clero” e di “intellettuali” non si riferiscono allo stesso oggetto teorico ed allo stesso concetto. Per quanto riguarda il “clero”, che è una categoria più ampia, mi riferisco agli specialisti della mediazione simbolica e della coltivazione dell’immaginario di un’intera società, cioè di un legame sociale complessivo, che “tiene insieme” dimensioni economiche, politiche, tecniche e scientifiche che altrimenti si disgregherebbero e si frantumerebbero. Per quanto riguarda gli “intellettuali”, che è invece una categoria meno ampia, mi riferisco a quella particolare figura, prevalentemente europea, sorta alla fine dell’Ottocento, che utilizzava una legittimazione culturale prevalentemente specialistica per affermare la validità di una presa di posizione impegnata di tipo prevalentemente morale, politico e filosofico. È appunto questa la figura che sta oggi tramontando, forse non per sempre, ma certamente per questa fase storica, laddove il clero è più vivo che mai, ed ha semplicemente assunto una nuova forma, non più religiosa, ma giornalistica ed universitaria.
Userò dunque, in particolare nei paragrafi 6, 7 e 8, che sono di carattere storico e vengono dedicati agli intellettuali, e non al clero, un significato di “intellettuali” volutamente determinato, limitato e ristretto. È curioso, invece, che tutti coloro che hanno scritto sugli intellettuali (esemplare l’opera francese di Louis Bodin) convengono da un lato che il termine “intellettuali” ha avuto un’origine recente ed indica qualcosa di molto specifico e limitato (che verrà discusso nel paragrafo 6), ma poi vengano colti da un’irresistibile frenesia di estensione storica, ed allora parlino di “intellettuali” per i sacerdoti egizi, i sofisti ateniesi, i monaci domenicani e francescani delle Università medioevali, i gesuiti del Cinquecento, gli illuministi europei del Settecento, ecc. È evidente che in questo modo si passa dagli “intellettuali” propriamente detti, a mio avviso inesistenti prima del caso Dreyfus, alla “funzione intellettuale” di organizzazione del sapere e di produzione di ideologie, di legittimazione oppure di rivolta. Considero legittima questa operazione, ma penso che in questo modo si crea un grande pasticcio analogico, che fa perdere in precisione ed in comprensione storica.
Contrariamente ai “buoni costumi” espositivi, il mio saggio darà prima la mia particolare interpretazione teorica della situazione presente, e soltanto dopo vi sarà un richiamo storico. Il mio “modello teorico” verrà dato subito nei primi cinque paragrafi, mentre il riferimento storico verrà svolto dopo nei paragrafi 6, 7 e 8. Tengo particolarmente alla comprensione del paragrafo 7, che rappresenta una critica radicale e senza compromessi alla teoria degli intellettuali di Antonio Gramsci, che a mio parere porta di fatto ad un “blocco identitario” e ad un arresto dell’innovazione teorica necessaria in momenti di crisi scientifiche e filosofiche. Nel paragrafo apposito cercherò di chiarire quanto qui è anticipato.
La violazione del normale procedimento espositivo (prima il modello teorico e poi la storia) è dovuta a due fondamentali ragioni, di cui la seconda è più importante. In primo luogo, mi sembra giusto “mettere le carte in tavola subito”, non fare aspettare il lettore, non abusare della sua pazienza, ed introdurlo immediatamente in media res. In buona compagnia con molti insigni studiosi, ritengo che l’unica oggettività possibile nelle scienze sociali ed in filosofia sia l’esplicitazione chiara delle proprie premesse di valore e del proprio modello teorico. In secondo luogo, ammetto che il mio rifiuto dello “storicismo”, in tutte le forme con cui si presenta, mi fa preferire l’approccio teorico in termini di modelli di comprensione, o se si vuole di “tipi ideali” nel senso di Max Weber. La storia resta fondamentale ed importantissima, ma essa appunto viene dopo e non prima.
I primi due paragrafi sono dedicati al mio modello teorico impiegato. Di essi il primo è più importante, mentre il secondo, che utilizza suggerimenti di Benjamin Barber, Denis Duclos e Jean-Claude Milner, ha un carattere integrativo. Il terzo paragrafo è cruciale, perché in esso chiarisco in che senso oggi sacerdoti e preti non sono più un “clero”, hanno perduto questa funzione, è improbabile che la possano riacquistare, e solo più una pigrizia teorica e semantica si frappone alla comprensione di questo punto fondamentale. I paragrafi 4 e 5 sono dedicati a spiegare dove sta esattamente oggi il clero, diviso nei suoi due grandi comparti della simulazione giornalistica e dello specialismo universitario.
Il paragrafo 6 è l’unico in cui, propriamente parlando, si dia una definizione univoca e limitata di “intellettuali”, ed è dunque molto importante. Il paragrafo 7, come si è detto, critica l’approccio di Antonio Gramsci sugli “intellettuali organici” in termini di blocco identitario. Nel paragrafo 8, anch’esso di carattere storico, si propone un’interpretazione schematica del passaggio degli intellettuali di sinistra europei dall’ideologia proletaria di pseudo-appartenenza simulata alla bandiera dei “diritti umani” a corrente alternata come nuovo interventismo “democratico” della globalizzazione. Ho voluto insistere su questo passaggio, perché a mio avviso proprio ciò che per molti è il “nuovo” oggetto privilegiato dell’intervento di “denuncia” degli intellettuali oggi è invece un segnale inequivocabile della fine della loro categoria.
Negli ultimi due paragrafi parlo infine delle condizioni in cui si può sviluppare oggi una resistenza al nuovo clero. Questa resistenza ha ovviamente due dimensioni interconnesse, una individuale e l’altra collettiva. Ma ciò che conta è la conclusione, ed essa suona così: è vitale saper resistere al nuovo clero, ma è sbagliato voler costruire oggi nuovi gruppi intellettuali separati, più o meno organici. Non passa di lì la giusta lotta contro il pensiero unico delle odierne oligarchie transnazionali che dominano il pianeta.
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