Esiste un vecchio pregiudizio contro la filosofia e la scrittura filosofica in generale, per cui quest’ultima sarebbe difficilissima e comunque incomprensibile ed inutile per tutti coloro che vivono nell’orizzonte dei problemi posti dalla vita quotidiana.
I filosofi di professione sono in generale ben consapevoli di questo pregiudizio, che spesso non diventa una critica ed un’accusa solo per il tatto e la cortesia di chi lo condivide. Ed allora i filosofi si affannano a dire che non è vero, che anzi la filosofia è la migliore bussola per orientarsi nei mille problemi del senso della vita quotidiana, e che non si tratta di un sapere inutile, ma anzi di un sapere utilissimo. Ed è infatti utilissimo non solo pagare la bolletta della luce, portare il bambino dal pediatra, imparare a guidare l’automobile, mangiare in modo sano ed equilibrato, eccetera, ma anche riflettere sull’orizzonte del senso in cui orientiamo le nostre azioni quotidiane.
Il compito dei filosofi sembrerebbe dunque facile. E tuttavia, troppo spesso, essi spiegano che la filosofia deve essere qualcosa di comprensibile in modo incomprensibile, perché da almeno duecento anni il linguaggio tecnico e universitario della filosofia contemporanea è diventato un linguaggio specialistico, con tutte le conseguenze del caso.
E allora un diario filosofico può essere uno strumento di introduzione alla filosofia migliore di quanto lo sia un trattato. Giuseppe Bailone ci propone in questo libro un’introduzione alla filosofia nella forma di un diario filosofico, e non nella forma di un trattato. Questo non significa affatto che le pagine che il lettore leggerà siano facili, e non gli richiedano uno sforzo di attenzione e di partecipazione. La filosofia ha questo di particolare, che la facilità trapassa facilmente nella difficoltà, e la semplicità nella complessità!
Il lettore deve sapere che l’insieme dei pensieri che egli trova raccolti in questo libro unitario sono stati originariamente pensati, scritti, diffusi, proposti e discussi in foglietti separati, simili alle segnalazioni pubblicitarie che troviamo nelle nostre buche delle lettere ed ancor più ai volantini che vengono distribuiti nelle manifestazioni politiche e sindacali. Ogni pensiero è dunque nato per essere letto separatamente, come un segnale, una traccia, un microcosmo che allude ad un mondo più grande, di cui vuole segnalare l’esistenza. Ognuno di questi pensieri non vuole trasmettere una verità preconfezionata, da prendere o da lasciare, ma vuole prima di tutto incuriosire, perché la curiosità è spesso il punto di partenza per un viaggio. E tutti sappiamo che uno dei modi migliori di viaggiare è viaggiare con i nostri amici, perché possiamo scambiare con loro riflessioni, dubbi, domande, esperienze.
Una volta che questi pensieri, originariamente scritti l’uno separato dall’altro, vengono raccolti insieme in un libro, inevitabilmente nasce la ricerca di un filo conduttore unitario.
Questo filo conduttore, in estrema approssimazione, segue la logica nascosta in ogni vita umana concreta, quella del progressivo allargamento degli orizzonti del significato di quanto pensiamo e facciamo nel mondo in cui ci è dato di vivere.
Si parte dunque dalla descrizione di un ambiente familiare che è radicato nel mondo contadino piemontese, da cui si sviluppa un’esperienza di vita che incontra progressivamente l’etica e la morale, l’ordine del mondo, il mondo delle astrazioni e dei valori assoluti, ed infine l’apertura alla politica ed al mondo della scuola.
Qual è il punto di gravità di questo libro di pensieri, il centro intorno a cui ruotano le varie riflessioni? Non tocca a me dirlo. Io sono anche un amico personale di Giuseppe Bailone, ed il mio punto di vista, per dirla con un’espressione abusata, non è “oggettivo”.
Ogni lettore ha il diritto di interpretare questo libro secondo una certa logica, che può essere addirittura diversa da quella dell’autore stesso. Ciò avviene, del resto, anche per ciò che riguarda i testi filosofici più complessi e famosi.
Tuttavia, mi sembra si possa dire con una certa ragionevolezza che il discorso sul potere, ed in particolare sulle sue forme di esercizio e di abuso, e di conseguenza anche sulle forme di resistenza e di critica cui il potere dà inevitabilmente luogo, sia centrale in questo libro di Bailone. In questo Bailone è erede di una lunga e nobile tradizione filosofica, che risale addirittura a Socrate (ed a Gesù di Nazareth).
Al di là però di questa lunga e nobile tradizione filosofica, ben nota anche agli studenti liceali più distratti, vi è uno specifico aspetto generazionale, su cui vorrei insistere un poco, anche perché io sono coetaneo (in Piemonte si direbbe “coscritto”) di Giuseppe Bailone.
Bailone ha frequentato negli anni Sessanta l’Università di Torino. Certo, Torino non è mai stata l’Atene di Platone o la Berlino di Hegel, e neppure la Parigi di Sartre. Tuttavia, nella vita politica e culturale italiana del Novecento Torino ha contato molto. Un certo ambiente laico ed illuministico, che ha sempre cercato di demarcarsi e nello stesso tempo di dialogare con le altre culture presenti in città, quella cattolica e quella marxista e comunista, ha caratterizzato a lungo il profilo intellettuale della città (e faccio qui soltanto i nomi di Nicola Abbagnano e di Norberto Bobbio). Giuseppe Bailone ha avuto in particolare due maestri, i cui nomi purtroppo oggi dicono ancora qualcosa solo agli specialisti, ma che hanno giocato un ruolo molto importante nella cultura piemontese ed italiana, lo storico Guido Quazza e il filosofo Pietro Chiodi. Entrambi ex-partigiani antifascisti, ed entrambi portatori di una concezione impegnata della cultura e dell’insegnamento.
Giuseppe Bailone, figlio della cultura del Sessantotto piemontese ed italiano, ha imparato presto a scrivere dei volantini, un tipo di scrittura che ha certamente influenzato anche questo Facchiotami. Ciò che quest’uomo ha anche imparato, è stato soprattutto a rispettare la libertà, la dignità, l’autonomia e l’intelligenza sia degli operai (in particolare degli operai-contadini) cui nei primi anni Settanta distribuiva volantini, sia degli studenti cui insegnava filosofia e storia nelle scuole secondarie superiori. In un clima culturale ricco di cosiddetti “pentiti”, Giuseppe Bailone non è un pentito.
L’esperienza dell’insegnamento è stata cruciale per non restare spiritualmente inchiodati in un tempo ormai trascorso ed in un luogo ormai lontano, ma per poter confrontare i sogni della giovinezza con il lento scorrere degli anni che hanno via via chiuso il Novecento.
Le origini del libro dal dialogo scolastico ne fanno un prodotto culturale dell’insegnamento secondario superiore, lontano sia dalle oscurità sapienziali che dal folklore pittoresco. Un libro di riflessioni normali proposte a studenti e lettori normali.
La normalità che può forse costituire il punto archimedico per risollevare il mondo.
COSTANZO PREVE