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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 160

Vasco Ferretti

Vasco Pratolini. Fascismo/antifascismo e minimalismo narrativo degli esordi.

ISBN 88-7588-039-5, 2010, pp. 112, formato 140x210 mm., Euro 10.

In copertina: due immagini fotografiche di Vasco Pratolini.

indice - presentazione - autore - sintesi

10,00

Introduzione

Il fascismo, dopo l’avvento al potere con l’egida di movimento rivoluzionario per il progresso del popolo, si pose subito come una realtà talmente condizionante da non permettere alla maggior parte degli intellettuali di quegli anni, di avere la forza per contrapporsi, ma tutt’al più tentare di agire all’interno del sistema appena costituito. Scaturì da queste ragioni la partecipazione dei migliori esponenti della nuova generazione letteraria, i xe "Vittorini"Vittorini, i xe "Bilenchi, R."Bilenchi e i xe "Pratolini, V."Pratolini che, da posizioni di sinistra, scelsero di aderire credendo di poter dare un contenuto critico allo sviluppo della cosiddetta “rivoluzione popolare fascista”.
È naturale, perciò, chiedersi quali aspetti di tale ideologia avessero determinato una così sentita esigenza di partecipazione che, specie fra il 1930 e il 1936, si fece sempre più intensa e impegnata . Il Manifesto degli intellettuali fascisti, se da un lato faceva intravedere in quella forza nuova l’elemento capace di dar soluzione alle più evidenti contraddizioni della società italiana, dall’altro rilevava quanto negli scrittori di quegli anni fosse limitata la conoscenza della realtà politica del tempo.
«Il fascismo» – affermava ad esempio Nino xe "Valeri, N."Valeri – «viene accusato di essere un movimento reazionario, anti-operaio, anti-liberale, ma è un’accusa falsa. Il fascismo è spirito di progresso e di propulsione di tutte le forze nazionali. Esso intende, piuttosto, rompere la crosta che il vecchio ordinamento aveva creato sotto la fallace apparenza del liberalismo neutrale». Dal punto di vista ideologico, quindi, il fascismo si presentava alla nuova generazione di scrittori come la più moderna conquista rivoluzionaria, la più avanzata di tutte le esperienze pregresse rispetto alle quali il movimento appariva come il nuovo rispetto al vecchio.
«Mi fanno ridere» – scriveva a sua volta Elio xe "Vittorini, E."Vittorini in un editoriale critico nei confronti del romanzo Tre operai di Carlo xe "Bernari, C."Bernari – «gli illusi che credono di scrivere per il popolo narrando la storia di qualche disoccupato. Si capisce che sono gli stessi che dicono “Eleviamo la vita del popolo” e non si accorgono che intendono dire “Imborghesiamo il popolo”». Il violento attacco a xe "Bernari, C."Bernari da parte di uno scrittore che – maturatosi nell’alveo del fascismo di sinistra al pari di Bilenchi e di xe "Pratolini, V."Pratolini avrebbe impresso poi, con le sue opere e il suo impegno antifascista del dopoguerra, un salto qualitativo di grande interesse per la letteratura italiana del Novecento – è particolarmente significativo.
Sta, infatti, a indicare da un lato la singolarità del risentimento di un populista rivoluzionario verso uno scrittore anch’esso vicino alla classe lavoratrice, ma con un’ottica piccolo borghese e crepuscolare, dall’altro quanto sia tortuosa e sofferta (si pensi al percorso di Pratolini da Il Bargello a Metello) la ricerca di una letteratura impegnata a fianco della classe lavoratrice in particolare e del popolo in genere.
Percorso che Vittorini sviluppa gradualmente dalla prima apparizione delle pagine de Il garofano rosso uscito su Solaria nel 1933 («Non potevo ora continuare a scrivere guardandomi solo indietro, ora non sapevo non guardarmi anche all’intorno») che prelude nel 1936 a nuove, insistenti attenzioni verso la condizione sociale dei più svantaggiati («Pensavo molto attorno a loro – gli operai - e mi ponevo infinite domande») per culminare in Conversazione in Sicilia del 1941, laddove scrive «L’uomo ha sofferto, l’uomo soffre nella società: che cosa fa la cultura per l’uomo che soffre? Cerca di consolarlo, ma per questo suo modo di consolatrice in cui si è manifestata fino ad oggi, la cultura non ha potuto impedire gli orrori del fascismo» .
Per comprendere la disillusione ideologica e culturale subita da questi intellettuali della sinistra fascista degli anni Venti-Trenta, occorre richiamare alcune considerazioni sull’ideologia politica e sull’etica socio-economica proposta dal regime a seguito dell’avvento al potere della “rivoluzione fascista”. Essa si poneva come l’unica forza integra, propulsiva e capace di piegare, anche a forza, una borghesia che, come classe dirigente, si era dimostrata incapace e soggetta alla corruzione.
Nasceva da qui la tematica di maggior fascino che il fascismo di sinistra prima maniera esercitò sugli intellettuali del tempo con l’enunciata subordinazione dell’interesse particolare all’interesse generale-nazionale che xe "Mussolini, B."Mussolini tenne a identificare nel popolo, mentre invece i suoi atti politici miravano in tutt’altra direzione.
Questa illusione e questo inganno ebbero tanta parte nella formazione di una certa parte di letterati che cominciavano ad affacciarsi sulla scena nazionale tra il 1924 e il 1940; una fiducia che prese a incrinarsi e a vacillare solo nel 1935-36, ponendo serie crisi di coscienza a seguito dell’intervento anti-repubblicano nella guerra civile di Spagna e del connotati imperialista delle guerre coloniali dell’Italia in Africa.
Il passaggio dal Il Bargello a Campo di Marte resta la sede più congeniale per rilevare un tale cambiamento di prospettiva. A sua volta l’assunzione di un rapporto tra classe e nazione – intendendo per classe tutta una tradizione popolare – determinò l’esaltazione del carattere contadino e provinciale della gente italiana con l’accentuazione di certe tendenze regionalistiche da cui la connotazione letteraria della figura de popolano toscano, come voleva xe "Malaparte, C."Malaparte, strapaesano.
In quegli stessi anni, tra il 1935 e il 1940, anche altri fermenti di natura culturale stimolarono nelle migliori coscienze di quanti via emergevano nel campo della letteratura, l’esigenza di un cambiamento. Oltre al contributo di xe "Moravia, A."Moravia con Gli Indifferenti del 1929 e di xe "Pavese, C."Pavese con Paesi tuoi del 1941, fu la letteratura americana a portare un salutare vento nuovo giacché gli anni dell’Asse Roma-Berlino furono anche quelli nel corso dei quali in Italia giunsero le opere di Steinbeck e di Faulkner.
Da noi, mentre Benedetto xe "Croce, B."Croce su La Critica del ’37 con la sua Storia come pensiero e come azione educava al concetto di storia come libertà, l’ermetismo, la nuova letteratura, si poneva come ricerca interiore per ritrovare i valori etici e spirituali più genuini rispetto alle scorie quotidiane di una ideologia diventata regime oppressivo e opprimente. Quel termine, ha rivelato il poeta Alfonso xe "Gatto, A."Gatto, incontrò l’ostracismo sia della cultura imperante perché questo linguaggio era l’opposto del consenso esplicito che voleva il fascismo, sia «dei crociani come Luigi xe "Russo, L."Russo e Francesco xe "Flora, F."Flora che si dicevano antifascisti, e forse lo erano, ma che in realtà ci accusavano di ermetismo rispetto alla chiarezza che si voleva in quel tempo».
Furono le riviste letterarie Il Frontespizio con Carlo xe "Bo, C."Bo e Campo di Marte con Vasco xe "Pratolini, V."Pratolini e Alfonso xe "Gatto, A."Gatto a imprimere, ciascuna a suo modo, una spinta innovativa alla cultura letteraria della seconda metà degli anni Trenta. Il Frontespizio non fu solo un puro e semplice esercizio attorno alla poetica della memoria e della parola su temi esistenziali e trascendentali, ma anche espressione dell’impegno di scrittori cattolici per una cultura diversa da quella imperante. Nel manifesto programmatico dell’ermetismo scritto da Bo su Il Frontespizio nel ’37 veniva detto, infatti – con evidente riferimento alla vita sociale e politica del tempo – che «Una realtà che non sopporta una misura interiore non conta, è una vana costruzione di giorni, la ridicola mistificazione di un falso dio».
Come ha scritto in modo forse criptico, ma significativo, Silvio xe "Ramat, S."Ramat: «L’ermetismo scavò una sua strada tra la falsa avventura e la negazione dell’avventura, condizioni storiche e letterarie determinate dal fascismo, per costituire la forza e il luogo di una esistenza avventurosa e di un’avventura dell’esistenza come dire che, date le circostanze storiche, l’alternativa non era tra lo star fuori o dentro il sistema fascista, ma come starvi dentro portando comunque avanti un messaggio di libertà culturale».
Con gli anni del Il Bargello, del Frontespizio e di Campo di Marte a Firenze, più che nel resto d’Italia, si chiude un’epoca e se ne apre un’altra. All’impetuosa reazione al decadentismo dannunziano che aveva liquidato il verismo come arte realista e il naturalismo in nome del sogno e dell’ideale, era seguita l’epoca del futurismo che sovverte ogni forma di espressione tradizionale a vantaggio dell’azione consona all’agire fascista, alla velocità, alla bellezza meccanica del progresso industriale e della guerra .
Al di là di questi movimenti, sia pure con voci diverse, nascerà una nuova generazione di scrittori che si distingueranno per il loro impegno politico e sociale dapprima nel fascismo e poi nell’antifascismo. A significare lo spaesamento non solo metafisico, ma anche esistenziale, degli anni che preludono al secondo conflitto mondiale restano ancor oggi quei versi di xe "Montale, E."Montale laddove ne Le occasioni dicono: «Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo».



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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