|
|
|
Cat.n. 161 |
|
|
Luca Grecchi
|
Perché non possiamo non dirci Greci. In Appendice: In difesa di Socrate, Platone ed Aristotele.
|
ISBN 88-7588-043-3, 2010, pp. 128, formato 140x210 mm., Euro 15 Collana “Il giogo” [35].
|
In copertina: Testa di Ulisse, Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga.
|
indice - presentazione - autore - sintesi - invito alla lettura -
|
|
€ 15,00 |
|
Il titolo di questo libro richiama chiaramente il titolo di un saggio di Benedetto Croce, Perché non possiamo non dirci Cristiani, pubblicato per la prima volta nel testo Discorsi di varia filosofia (Laterza, Bari, 1945). Questo libro non vuole affatto porsi in opposizione a quel saggio, così come non vuole affatto opporre Grecità e Cristianesimo. Certo, non è negabile che una qualche forma di opposizione fra Grecità e Cristianesimo vi sia, e che l’autore si senta più vicino ad Atene che a Gerusalemme. Tuttavia, Atene e Gerusalemme sono belle entrambe, e lo sono proprio per quell’elemento comune che le costituisce, rappresentato dalla cura per l’uomo. Secondo chi scrive, dunque, chi vive ad Atene può apprezzare Gerusalemme, così come chi vive a Gerusalemme può apprezzare Atene. I due “luoghi ideali” si possono fra loro reciprocamente apprezzare, qualora pongano in essere una reciproca più approfondita conoscenza, fermo restando il giusto desiderio di ciascuno di continuare a vivere nel luogo in cui desidera.
In questo paragrafo iniziale, può comunque essere utile ripercorrere il saggio di Croce, che qui viene preso come riferimento. Questo saggio è infatti molto spesso citato, ma è in generale assai poco conosciuto. Per questo è importante ricordare che nelle quindici pagine del testo, Croce prende chiaramente posizione per la tesi della priorità del Cristianesimo su ogni altra forma culturale: «Il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto [...] tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, ponendo risposte particolari e limitate. Tutte, non escluse quelle che la Grecia fece della poesia, dell’arte, della filosofia, della libertà politica [...]. La ragione di ciò è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità».
Con questa tesi di xe "Croce, B."Croce non ci troviamo d’accordo. Pur riconoscendo una enorme importanza al Cristianesimo, sul piano storico e culturale, riteniamo infatti che la più grande “rivoluzione”, o meglio che quel nucleo di pensiero che maggiormente ha influito sulla storia e sulla cultura dell’Occidente (compreso lo stesso Cristianesimo), sia stato il pensiero greco. È proprio tale pensiero, ed in particolare la filosofia di xe "Socrate"Socrate, xe "Platone"Platone ed xe "Aristotele"Aristotele, ad avere posto al centro l’«anima», la «coscienza morale» dell’uomo, tanto che lo stesso Cristianesimo per ammissione dei Padri della Chiesa, in primis xe "Agostino di Ippona"Agostino si dichiara fortemente debitore verso Platone, che elaborò la tematica dell’anima e della sua centralità per l’uomo almeno quattro secoli prima.
Croce fu indubbiamente un buon conoscitore del pensiero greco, ed in particolare di quello platonico, per cui non è possibile ritenere che egli ignorasse le radici greche del Cristianesimo. Egli si pose anche, come noto, sul versante laico, per cui a suo avviso l’elemento divino non è quello dominante nella storia. Come spiegare, allora, questa assoluta priorità da lui attribuita al Cristianesimo rispetto a tutte le altre culture? A nostro avviso, essa può essere spiegata con la concezione filosofica storicista sostenuta da Croce, che pone la verità in certa misura sul piano dello sviluppo storico, e che dunque tende ad avvicinarla alle forme temporali storicamente più potenti (il Cristianesimo, il liberalismo, il capitalismo). Pur senza voler qui esprimere un giudizio complessivo né sulla filosofia di Croce, né tanto meno sulla sua vastissima opera culturale, riteniamo comunque che questa chiave di lettura possa essere in grado di spiegare, da un punto di vista «laico», alcune affermazioni di xe "Croce, B."Croce. Oltre, infatti, alla discutibile priorità attribuita al Cristianesimo sulla Grecità, Croce pone lo stesso Cristianesimo alla radice della Modernità: «Le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni [...] non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l’impulso originario fu e perdura il suo».
Ora: nonostante la grande importanza storica del Cristianesimo anche per la Modernità, se si fa coincidere la stessa, quanto meno, con il razionalismo e con lo spirito scientifico, è evidente e lo argomenteremo come le sue principali radici non possano essere ricercate nel Cristianesimo, bensì nella Grecità. Ed invece, per Croce, «né i Greci, né i Romani, né gli Orientali introdussero nel mondo quelle forme universali di cui, per enfasi, li si dice creatori». Il Cristianesimo soltanto è, a suo avviso, all’origine di ogni grande e positiva creazione umana, «perché nessun’opera mai nasce per aggregazione o concorso di altre che non sono lei, ma sempre e soltanto per un atto originale e creativo: nessun’opera preesiste nei suoi antecedenti».
Inquietante, specie se letta alla luce della situazione contemporanea, l’avversione di Croce verso l’Oriente. Egli ringrazia infatti la «chiesa cristiana cattolica» per la sua «azione benefica e vincente» contro «il politeismo del paganesimo e i nuovi avversari che le vennero dall’Oriente (dal quale essa stessa proveniva e che aveva sorpassato), particolarmente pericolosi perché recavano impressi molti tratti della sua stessa fisionomia, come gli gnostici e i manichei». Ci si potrebbe indubbiamente chiedere per quale motivo Croce ritenga «benefica» l’azione della «chiesa cristiana cattolica» contro culture che hanno «impressi molti tratti della sua stessa fisionomia». La risposta, come detto, si può a nostro avviso ritrovare solo nella sua concezione storicistica (come tale anti-greca) della verità. Essa sola infatti, per i motivi in precedenza accennati, può giustificare il plauso verso l’opera di «cristianizzazione e romanizzazione e incivilimento dei germani e di altri barbari», di «difesa contro l’Islam, minaccioso alla civiltà europea», e la rivendicazione «a giusto titolo del suo [del Cristianesimo; L. G.] diritto di dominio sul mondo intero».
Croce, certo, ben comprese una sorta di ideale continuità umanistica fra Cristianesimo, Rinascimento italiano, Illuminismo francese ed Idealismo tedesco, oggi invece negata da una discreta parte della Chiesa Cattolica. La sua vicinanza al Cristianesimo ci pare però più una sorta di vicinanza “effettuale” ad una potenza anche allora storicamente rilevante, che non una vicinanza “reale” ai contenuti della Rivelazione cristiana e della sua morale. Questa affermazione non vuole essere una accusa di “servilismo” a Croce, ma vuole semplicemente rilevare come, in pratica, ogni filosofia storicista finisca col rendere ossequio alle forze culturali, religiose e sociali storicamente più potenti. È lo stesso Croce, del resto e ci limitiamo a citare quanto egli afferma in queste poche pagine , a sostenere che «la verità genuina sta unicamente nel processo del suo farsi», per cui la verità è da ricercare esclusivamente nella storia. Ora: questa discutibile interpretazione di xe "Hegel, G. W. F."Hegel è, a nostro avviso, alla base della priorità assegnata da xe "Croce, B."Croce al Cristianesimo (un Cristianesimo reso compatibile con la Modernità). Ciò spiega, peraltro, il motivo per cui egli non è nemmeno disposto ad accettare di prendere in considerazione la «validità delle comuni accuse alla chiesa cristiana cattolica per la corruttela che dentro di sé lasciò penetrare, e spesso in modo assai grave allargare».
Nel suo approcciarsi, insomma, al Cristianesimo come alla principale istanza storico-culturale, la cui potenza effettuale le garantisce statuto di verità, sta, a nostro avviso, il difetto esiziale della impostazione di Croce sull’argomento. La verità, infatti, non è mai storica, bensì come hanno insegnato gli antichi Greci eterna, dunque non associabile alla potenza di alcuna istituzione storico-culturale. Ciò non ha consentito a xe "Croce, B."Croce di sentirsi compartecipe di quell’universale umanesimo, aperto verso tutti i popoli e le istituzioni, come invece un miglior approccio alla filosofia greca gli avrebbe consentito.
|
|