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Cat.n. 165

Luca Grecchi

La filosofia della storia nella Grecia classica.

ISBN 88-7588-047-6, 2010, pp. 208, formato 140x210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [36].

In copertina: Tempio di Zeus ad Olimpia. Frontone orientale, particolare.

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15,00

Introduzione

 

 

Lo scopo che ci poniamo con questa ricerca, in continuità con gli studi che abbiamo posto in essere negli ultimi anni sul pensiero greco classico1, è quello di argomentare come già nella Grecia classica fosse presente un pensiero che, in termini moderni, è possibile definire come “filosofia della storia”. Con tale termine intendiamo la teoria che si occupa di comprendere, mediante la riflessione filosofica sul passato e sul presente, il senso della storia umana, e di delineare gli scenari più probabili e più desiderabili per il futuro, nonché le modalità della loro attuazione. La filosofia della storia, come noto, è una disciplina moderna; il suo stesso nome è infatti stato coniato da Voltaire in uno scritto del 1756.

 

Ad oggi, le due tesi principali in merito alla origine – e dunque anche ai contenuti – della filosofia della storia, sono le seguenti:

 

1) l’origine della filosofia della storia è da ricercare nel pensiero giudaico-cristiano. In particolare, nella interpretazione di K. Löwith2 e C. Schmitt3, essa è fatta risalire ad Agostino ed alla sua concezione provvidenzialistica della storia presente nella Città di Dio, ripresa – passando, fra gli altri, per Orosio e Gioacchino da Fiore – nel XVII secolo da J. B. Bossuet, e da lì secolarizzatasi nella modernità.

2) l’origine della filosofia della storia è da ricercare nella modernità. In particolare, con H. Blumenberg4 e R. Koselleck5, la filosofia della storia si caratterizza per la autoaffermazione moderna di un movimento ideale trascendentale della coscienza storica, in grado di porre fine alle “illusioni” della trascendenza religiosa, ovvero alle attese di un evento escatologico.

 

Ambedue le tesi presentano delle manchevolezze. La prima tesi ci pare infatti troppo incentrata sul fenomeno religioso che, per quanto importante, non assume a nostro avviso, sul piano della filosofia della storia, centralità; la seconda tesi ci pare invece troppo autofondata sulla modernità, e dunque poco rispettosa sia della necessaria continuità fra le teorie filosofiche (evidenziata, fra gli altri, da Hegel), sia del passato6. 

Va ricordato inoltre che, a causa del clima relativistico contemporaneo e dei contorni disciplinari piuttosto vaghi della filosofia della storia (in larga parte dovuti alla sua recente costituzione ed alla ampiezza e mutevolezza del suo oggetto),7 vi è più di un autore moderno/contemporaneo – pensiamo a Jacques Maritain, Jean Francois Lyotard, Gianni Vattimo8, ed altri – che parla di “fine della filosofia della storia”, la quale accompagnerebbe la presunta fine del discorso filosofico veritativo9. Su questo tema si è soffermato anche Karl Löwith10, per il quale la fine della verità filosofica implicherebbe appunto la fine della verità storica, e con ciò una mera possibilità di trattare la storia in termini di “racconto”, ed ancor meglio di “microstorie” (economiche, sociali, politiche, artistiche, letterarie, ecc.).

Questa breve premessa è necessaria per precisare che siamo consapevoli che lo scopo che ci poniamo è quanto mai controcorrente (oltre che complicato dal situarsi al crocevia di due discipline, quali sono la filosofia e la storia – antica e non –, solitamente non relazionantisi, ovvero lasciate agli specialisti dei due settori). Si tratterà infatti, in questo testo, di mostrare non solo che la filosofia della storia è e rimane possibile, ma che le sue origini non vanno ricercate né nella modernità né nel cristianesimo, bensì nella Grecia classica; se, del resto, tale disciplina è definibile come analisi valutativa generale, con criteri universali (filosofici), di fatti particolari (storici)11, non si può negare che tale analisi si sia avuta anche nella antica Grecia. Questa tesi ha avuto fino ad oggi solo uno sparuto gruppo di sostenitori fra gli antichisti, ed è stata sostanzialmente ignorata dai filosofi della storia moderni. Anche dagli antichisti, peraltro, essa è stata esposta en passant, a nostra conoscenza, solo da Arnaldo Momigliano12, Santo Mazzarino13 e Francois Chatelet14; con particolare riferimento a Platone, la tesi è stata sostenuta soprattutto da Konrad Gaiser15 ed, in parte, da Eric Voegelin16.

 

L’oggetto della nostra ricerca, inoltre, è molto ampio: esso infatti dovrà prendere in considerazione sia gli “antecedenti storici” (soprattutto Erodoto e Tucidide), sia gli “antecedenti filosofici” (soprattutto Solone ed i presocratici) che hanno condotto Platone ad esplicitare la propria filosofia della storia; si tenterà inoltre un costante dialogo con i principali filosofi della storia moderni e con i loro interpreti contemporanei, per mostrare come il pensiero greco, anche se non esplicitato, si ponga pressoché sempre alla base del loro discorso.

La nostra tesi si incentra sulla constatazione che, poiché sia la filosofia che la storia sono nate nella Grecia classica, più o meno nel medesimo periodo (VI-V secolo a.C.), ben difficilmente la filosofia della storia, ovvero la disciplina che – costituendo una riflessione filosofica sulla storia – le compendia entrambe, potrebbe avere avuto un differente luogo di nascita17.

Per sostenere questo, però, trattandosi di una tesi interpretativa assolutamente minoritaria18, sarà dapprima necessario argomentare contro alcuni pregiudizi, che hanno fino ad oggi precluso la possibilità di comprendere le radici greco-classiche della filosofia della storia. Tali pregiudizi sono a nostro avviso tre: a) il presunto carattere astorico della riflessione greca classica; b) il presunto carattere particolaristico della riflessione greca classica; c) il presunto carattere ciclico della riflessione greca classica.

 

 

 

1 L. Grecchi, Conoscenza della felicità (Petite Plaisance, Pistoia, 2005, con introduzione di Mario Vegetti); Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (Alpina, Torino, 2006); La filosofia politica di Eschilo (Alpina, Torino, 2007); L’umanesimo della antica filosofia greca (Petite Plaisance, Pistoia, 2007); L’umanesimo di Platone (Petite Plaisance, Pistoia, 2008); L’umanesimo di Aristotele (Petite Plaisance, Pistoia, 2008); Socrate. Discorso su Le nuvole di Aristofane (Guida, Napoli, 2008, collana autentici falsi d’autore); Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (Il Prato, Padova, 2008, con introduzione di Giovanni Casertano); Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (Petite Plaisance, Pistoia, 2009); Perché non possiamo non dirci Greci (Petite Plaisance, Pistoia, 2010); E. Berti - L. Grecchi, A partire dai filosofi antichi (Il Prato, Padova, 2010); Diritto e proprietà nella Grecia classica (Petite Plaisance, Pistoia, 2011); Gli stranieri nella Grecia classica (Petite Plaisance, Pistoia, 2011).

2 K. Löwith, Significato e fine della storia, Edizioni di Comunità, Milano, 1963.

3 C. Schmitt, Teologia politica, Giuffré, Milano, 1992.

4 H. Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, Marietti, Genova, 1992.

5 R. Koselleck, Futuro passato, Marietti, Genova, 1986.

6 A tale proposito, ci pare molto intelligente una osservazione di Leo Strauss, che ricorda ai filosofi della storia contemporanei che «studiare gli storici del passato diviene essenziale per uomini che vivono un’età di declino intellettuale, perché è l’unica via praticabile con cui possono riguadagnare una intelligenza adeguata dei problemi fondamentali» (L. Strauss, Review of metaphysics, 5, 1952, pag. 585).

7 Su questa “labilità” si è soffermato Diego Fusaro nella lunga introduzione a L. Grecchi, Occidente: radici, essenza, futuro, Il Prato, Padova, 2009; sul medesimo tema Costanzo Preve, “Occidente: radici, essenza, futuro” di Luca Grecchi. Un convincente esercizio di filosofia della storia (Koinè, nn. 1-3 / 2009, pagg. 295-311).

8 Da rimarcare soprattutto la tesi di Vattimo, per il quale la fine postmoderna della storia (nel senso che la storia – così come la filosofia – cessa di essere “unità”, “continuità”, per divenire mero “racconto”, “narrazione di eventi”) sarebbe una grande conquista; ciò in quanto «solo per la storia dei vincitori il processo storico appare un processo unitario, conseguente e razionale» (G. Vattimo, La fine della modernità, Garzanti, Milano, 1996, pag. 17).

L’analisi di Vattimo ha per nostro conto un limite: il non domandarsi se anche la filosofia postmoderna, dato il suo attuale successo, non sia essa pure “filosofia dei vincitori”, imponente come tale la propria interpretazione della storia. Non solo il successo storiografico, ma anche il successo filosofico è infatti spesso conseguenza dei valori dominanti di un’epoca, ed è dunque indirettamente dettato dai vincitori. Dovrebbe far riflettere Vattimo il fatto, da lui stesso segnalato, che sono sovente i mass media capitalistici, con il loro flusso caotico e disarticolato di informazioni, ad aver contribuito al dissolvimento delle «stesse condizioni per una storia universale come effettivo corso unitario degli eventi» (ibidem, pag.17).

9 Una tendenza analoga è stata rilevata anche da R. Koselleck nel suo libro intitolato Futuro passato, che ha posto come centrale la rottura del continuum tra la modernità e l’esperienza storica precedente. Autore di riferimento è stato per lui A. de Tocqueville, a partire dal quale cominciò ad essere dominante un processo di relativizzazione degli eventi storici che perdura tuttora, e che considera tali eventi come unici e fra loro disomogenei. Su questa linea anche H. I. Marrou (H. I. Marrou, La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna, 1962, ed. or. 1952), per il quale – ma forte fu su di lui l’influenza delle malefatte del nazismo – ogni filosofia della storia è pericolosa per il suo voler prevedere e guidare il senso della storia. Occorre però rimarcare che lo storico cristiano non fu affatto un sostenitore del relativismo, tanto da lamentare, nel testo ora citato, che «la sfiducia nella storia appare come uno dei tanti aspetti in cui si manifesta la crisi della verità, uno dei sintomi più gravi del nostro malessere» (pag. 8).

10 K. Löwith, Da Hegel a Nietzsche, Einaudi, Torino, 2000.

11 Nella concezione greca classica la filosofia può conoscere e giudicare la storia; si tratta dunque di un approccio differente rispetto a quello moderno, ad esempio, di Benedetto Croce, per cui la filosofia può essere al più, per la storia, una metodologia.

12 A. Momigliano, Le radici classiche della storiografia moderna, Sansoni, Firenze, 1992, pagg.158-159. Un accenno alla possibilità di «ricostruire un concetto della storia le cui origini risalgono alle forme antiche del pensiero classico», è stato svolto anche da Marino Gentile (AA. VV., Il problema della storia, Gallarate, 1953, pag. 93) e da Auguto Guzzo (ibidem, pag. 159).

13 S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, Laterza, Roma-Bari, 1983, vol. I, pag. 4.

14 F. Chatelet, La nascita della storia, Dedalo, Bari, 1974, ed. or. 1962, pagg. 37-38.

15 K. Gaiser, La metafisica della storia in Platone, Vita e Pensiero, Milano, 1998, con introduzione di G. Reale.

16 E. Voegelin, Ordine e storia. La filosofia politica di Platone, Il Mulino, Bologna, 1986, ed. or. 1957.

17 La principale obiezione a questo argomento è che i Greci non ebbero il concetto di filosofia della storia, e dunque nemmeno la consapevolezza della medesima. A questa obiezione però, a nostro avviso, si può rispondere con la medesima argomentazione utilizzata da J. Maritain contro i negatori della presenza di una filosofia della storia nel cristianesimo: «Il Vangelo non si occupa di filosofia della storia, ma vi si possono trovare lumi del massimo valore a questo proposito» (J. Maritain, Per una filosofia della storia, Morcelliana, Brescia, 1967, pag. 41). Riteniamo peraltro pertinente la osservazione di Luigi Zoja, per il quale «la Grecia ha creato dei tipi ideali: modelli universali [...] che non sono stati più superati né messi in discussione. Essi non ci sono giunti come istituzioni ufficiali – quali la Chiesa, o il diritto romano, che in una certa misura possiamo rifiutare – ma come ispirazioni cui non siamo liberi di dire di no, che hanno formato lo strato profondo del nostro stato immaginale» (L. Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri, Torino, 2005, pag. 78).

18 Parallelamente alla nostra tesi, si può comunque citare quella di Guido Fassò inerente alla filosofia del diritto, la quale a suo avviso non sarebbe altro che «un particolare aspetto della storia della filosofia; e, come questa, essa deve quindi avere inizio con la storia del pensiero greco» (G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 2001, vol. I, pagg. 9-10). È vero che i Greci non impostarono il problema filosofico della storia (così come, appunto, quello del diritto) come problema specifico, ma è innegabile che essi trattarono ampiamente e profondamente – filosoficamente – tematiche storiche e giuridiche. Rinviamo anche, in merito, a L. Grecchi, Diritto e proprietà nella Grecia classica, citato.ere particolaristico della riflessione greca classica; c) il presunto carattere ciclico della riflessione greca classica.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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