Introduzione
Questo libro vuole essere, come già annunciato altrove3, un ulteriore tassello della complessiva interpretazione umanistica degli antichi Greci che abbiamo sviluppato in questi anni4. Si tratta di una interpretazione che ha ricevuto una sostanziale approvazione da parte di alcuni importanti studiosi (come ad esempio Enrico Berti)5, e che si caratterizza, come ha ben notato recentemente Costanzo Preve, per una caratterizzazione dell’umanesimo greco in termini anticrematistici6; gli antichi Greci, infatti, ritenevano la «dismisura» insita nei processi sociali incentrati sul denaro, sulla merce e sulla proprietà privata, come il massimo male, ed al contempo ritenevano la «misura» insita nei processi sociali comunitari, fraterni e libertari, come il massimo bene. Si tratta però di un tema che, per quanto assente in tutti gli altri umanesimi finora esistiti7, abbiamo appunto sviluppato altrove, sicché non ci pare opportuno insistervi anche qui.
Ciò che è importante rimarcare, in questa introduzione, è non tanto il generale umanesimo greco, quanto il particolare umanesimo di Omero, ovvero del più antico pensiero pervenutoci dalla antica Grecia. È sicuramente eccessivo accostare il nome di Omero alla filosofia8, in quanto nella poesia epica mancano i tratti dialettici della ricerca socratica della verità dell’intero; tuttavia, come mostreremo, vi è sicuramente una continuità fra Omero, i poeti, i presocratici, i sofisti, i tragici, gli storici, gli scienziati ed i classici, e questa è appunto una continuità umanistica (intendendo per umanesimo un pensiero in cui vi è la centralità di una cura dell’uomo rispettosa del cosmo). Il particolare umanesimo omerico si delinea dunque non sul piano propriamente filosofico, e nemmeno su quello politico (pur contenendo spunti in tal senso), bensì sul piano etico-educativo; i personaggi descritti da Omero nell’Iliade e nell’Odissea, e soprattutto i contenuti che emergono dai loro discorsi e dalle loro azioni, costituiscono cioè il principale modello educativo che per secoli gli antichi Greci hanno pur con alcune varianti dovute ai differenti contesti storico-sociali seguito, fino appunto alla proposta di paideia filosofica di Platone9.
Come i grecisti sanno, la letteratura critica su Omero è pressoché sterminata, ed è cresciuta negli ultimi anni in maniera imponente. È lecito dunque domandarsi se un libro su Omero abbia ancora ragione di essere scritto, ed è lecito cercare di rispondere a questa domanda, almeno per chi non ha la finalità di scrivere esclusivamente per arricchire il proprio curriculum accademico, bensì per incidere mediante l’elaborazione culturale sulle modalità sociali (almeno idealmente: è chiaro infatti che, nel nostro tempo, chi si pone questa finalità, nella migliore delle ipotesi, sta “lavorando per il futuro”…). Ebbene: la risposta a questa domanda può essere positiva solo se si ritiene di avere qualcosa di realmente originale ed importante da dire, ovvero se la interpretazione di Omero proposta è davvero nuova e necessaria nel panorama complessivo degli studi classici. Nel nostro caso, la “originalità” sta nell’inserimento dell’opera omerica nel quadro umanistico ed anticrematistico della grecità che abbiamo delineato nei nostri libri, in quanto ciò conduce ad interpretare in maniera radicalmente differente alcuni luoghi comuni della modernità sul pensiero omerico (pensiamo all’episodio di Tersite, alla solo presunta centralità di Achille nell’Iliade, alla distorta immagine di Odisseo nell’Odissea, ecc.: tutti temi su cui ci soffermeremo ampiamente). La “importanza” di questo approccio sta invece nel fatto che, interpretando Omero in questo modo, lo si fa rivivere imputandogli un ruolo etico-educativo che è sempre pure, come i Greci insegnano, un ruolo politico caratterizzato in più da uno stabile valore classico; questa era del resto anche la tesi di una grande studiosa recentemente scomparsa, J. De Romilly, quando affermava che «la letteratura greca è molto più che un semplice fenomeno di civiltà: la bellezza delle opere ed il loro significato possono parlare con forza a ciascuno di noi come hanno parlato ad altri nel corso dei secoli»10, proprio in quanto possiedono contenuti di verità validi per ogni uomo in ogni tempo.
Un testo come il presente si giustifica anche col fatto che, per l’ormai imperante specialismo accademico, sono sempre più rari testi che si rapportano ad una tematica ampia come quella omerica in modo unitario, ovvero, come ha affermato W. Klug, col fatto che «nelle bibliografie scientifiche [...] è difficile trovare per l’Iliade e l’Odissea di Omero una pubblicazione che offra un quadro generale di questi due poemi epici, e che favorisca una loro comprensione complessiva»11. Come ha sottolineato inoltre J. Latacz mostrando che Omero è ancora associato, nel cinema e nella letteratura, prevalentemente ai combattimenti sanguinosi dell’Iliade ed alle avventure fantastiche dell’Odissea «oggi, fra le giovani generazioni, è difficile trovare chi sappia ancora collegare Omero ad immagini concrete»12; per questo cercheremo appunto di collocare Omero nel proprio contesto storico-sociale, per valutare, mediante il metodo della analogia, se la sua opera possa dare utili indicazioni anche al nostro tempo.
Omero non fu un semplice “poeta”, nella maniera disimpegnata in cui siamo abituati oggi a pensare queste figure13; la poesia epica, di cui Omero fu il “rappresentante” più insigne, fu infatti innanzitutto una poesia “educativa”. Non, certo, che questa poesia non possa essere raccontata anche ai bambini, data la presenza di immagini simboliche particolarmente adatte ad attrarre l’attenzione dei piccoli; tuttavia, non è facendo leva sull’aspetto “allegorico”, bensì sull’aspetto etico-educativo, che la letteratura omerica mostra tutta la propria rilevanza.
Cosa ci si può aspettare, dunque, dalla lettura di questo libro? Non ci si può aspettare un approccio ad Omero in termini meramente filologici, o eruditi, o letterari14; ci si può invece aspettare un approccio ad Omero in termini filosofici, ovvero insieme etici, educativi ed in senso ampio “politici”. Il carattere classico del pensiero omerico non è determinato infatti semplicemente dal suo valore o dalla sua antichità, bensì, semmai, dalla sua non modernità; dato che il pensiero moderno si caratterizza per l’approccio (Moore, Hume, Weber, ecc.) in base a cui si può al più comprendere la realtà, ma non valutarla in base a fondati criteri assiologici, nel suo poema Omero mostrò che la condizione più naturale per l’uomo è insieme quella del comprendere e del valutare, dunque anche del giudicare. Occorre in ogni caso chiedersi: quando questi criteri, e dunque questi giudizi, possono essere definiti come chiari e corretti? Ebbene, così è quando essi si conformano a ciò che è insito nella natura umana, ovvero a quei contenuti razionali e morali che costituiscono l’essenza dell’uomo e che, se realizzati, pongono in atto ciò che egli è in potenza, rendendolo un uomo compiuto15. Omero, dunque, comprese, descrisse e valutò bene i modelli etici da proporre per guidare i comportamenti umani; i criteri omerici, a differenza di quanto accade alle teorie morali moderne, non sono costituiti da regole formali, bensì da “tipi umani”, da “personaggi”, i cui pensieri e comportamenti generano approvazione o disapprovazione, in maniera talvolta evidente e talaltra, invece, problematica (di una problematicità, comunque, sempre favorente la riflessione). Per questo motivo ci soffermeremo, nella seconda parte, ad analizzare i miti omerici (Odisseo, Achille, Agamennone, Ettore, ecc.), evidenziando il carattere etico-educativo delle loro parole e delle loro azioni; come ha scritto infatti il recentemente scomparso Mario Zambarbieri, delle cui traduzioni spesso ci avvarremo, «l’uomo antico concentra nel valore paradigmatico del mito l’esperienza morale dei singoli e delle generazioni»16.
Aggiungiamo, per concludere, che dopo aver ben compreso e valutato, il comportamento più conseguente è sempre quello di agire con coerenza, in base appunto a ciò che si è compreso e valutato. Ciò è vero sia sul piano etico-personale (quello su cui prevalentemente rimase Omero), sia sul piano politico-sociale; poiché agire con coerenza significa non solo operare per l’oggi, ma anche progettare per il domani, Omero si situò a nostro avviso all’inizio di quella catena di «filosofi della storia» che caratterizza l’intero pensiero greco, in particolare quello classico; ci siamo soffermati altrove su questa tesi17, per cui non ci ripeteremo qui, ma è evidente come Omero non si limiti a dare generici consigli etici, ma delinei, in controluce, i valori su cui una società deve strutturarsi per essere armonica e felice. Senza la comprensione di questo approccio “politico-sociale” presente in Omero, non lo si può a nostro avviso comprendere compiutamente, e si può solo giungere ad ammirarlo come espressione culturale di un’epoca passata.
Non ci constano, come dicevamo, molte letture complessive di Omero simili a quella che andremo qui delineando; tuttavia, vi sono stati diversi studiosi che hanno favorito una interessante interpretazione di questo autore, contribuendo a tenerne viva la memoria. Costoro hanno mostrato che Omero non è solo uno dei tanti “cibi” presenti nella millenaria cultura occidentale, ma è proprio il “primo cibo”, quello più essenziale; come ebbe infatti a scrivere in merito Senofane, Omero è «colui dal quale tutti gli uomini hanno imparato, sin dall’inizio» (B 10). Omero è un cibo, sicuramente, “ideale” (i suoi personaggi sono modelli ideali di nobiltà, dignità, coraggio), e non solo “effettuale”; contrariamente infatti a quanto molti antichisti sostengono, il merito maggiore dei poemi omerici non fu quello di aver costituito una sorta di “enciclopedia” dei secoli oscuri (vale a dire dal XII all’VIII), bensì quello di aver espresso per la prima volta i valori più alti della vita umana. Non è un caso che la metafora del banchetto sia stata utilizzata, per descrivere i poemi omerici, anche da uno dei maggiori studiosi esistiti della letteratura greca, ossia C. R. Beye, il quale non poté che auspicare quanto meno un ritorno al modo del XIX secolo di leggere gli antichi: «Fino al XIX secolo la letteratura greca non era considerata un abbellimento, un semplice contorno nel banchetto della vita, bensì il piatto forte, il centro, la garanzia di soddisfare le più profonde esigenze dello spirito. Oggi tutto ciò è cambiato»18, a causa soprattutto dei mutamenti avvenuti nelle modalità sociali, le quali hanno sempre più condotto a considerare la cultura, nelle sue varie forme, come un semplice passatempo, e non come qualcosa di necessario per comprendere, valutare ed appunto se doveroso modificare le modalità sociali medesime; per Omero, e per una parte dei suoi interpreti (il riferimento è, principalmente, ai “neoumanisti” tedeschi, Werner Jaeger e Max Pohlenz), la cultura serviva invece proprio per incidere sulla realtà. Solo in quanto si trascura questo punto fondamentale, come ricorda sempre Beye, oggi «ci è difficile immaginare che per secoli gli uomini abbiano studiato in tutta serietà la letteratura della Grecia antica perché essa conferiva loro le fondamentali basi culturali e spirituali; noi abbiamo ripudiato il nostro passato letterario [...] con l’arma micidiale dello sbadiglio»19.
Il presente libro cerca dunque di opporsi ad uno dei luoghi comuni più diffusi del nostro tempo, ovvero quello per cui la cultura si associa necessariamente alla irrilevanza ed alla chiacchiera; i poemi omerici, del resto, furono già nelle loro prime formulazioni recitati in pubblico e per il pubblico, per favorire l’unità comunitaria e l’armonia sociale. I poemi omerici non furono, sin dai loro esordi, dei pur magnifici “monumenti”, bensì delle “guide” affinché gli uomini potessero condurre, tramite essi, la migliore esistenza possibile. Per questo motivo ci pare utile chiudere questa introduzione con le parole di uno dei maggiori antichisti italiani contemporanei, ovvero F. Montanari, per il quale un popolo che non possiede «un passato da conservare e che non lo sa valorizzare adeguatamente, non ha un buon futuro da consegnare ai propri figli»20.
Note
3L. Grecchi, L’umanesimo di Plotino, Petite Plaisance, Pistoia, 2010.
4 Rinviamo, in particolare, a L. Grecchi, L’umanesimo della antica filosofia greca; L’umanesimo di Platone; L’umanesimo di Aristotele (Petite Plaisance, 2007-2008), e ad altri lavori che saranno citati nel testo.
5 E. Berti L. Grecchi, A partire dai filosofi antichi, Il Prato, Padova, 2009, pagg. 28-30.
6 C. Preve, postfazione a C. Vigna - L. Grecchi, Sulla verità e sul bene, Petite Plaisance, Pistoia, 2011, con introduzione di E. Berti.
7 Rinviamo, in merito, a C. Preve, Lettera sull’umanesimo, di prossima pubblicazione.
8 Ci siamo espressi, in merito, in L. Grecchi, Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia?, Il Prato, Padova, 2008, con introduzione di G. Casertano, pagg. 93-98; per una tesi differente dalla nostra si può invece consultare A. Lo Schiavo, il quale ha sostenuto che «Omero costituisce un inizio anche per la filosofia» (D. Musti, introduzione ad A. Lo Schiavo, Omero filosofo, Le Monnier, Firenze, 1983, pag. 1). Più precisamente, però, dobbiamo rimarcare che, per la sostanziale unità e continuità del pensiero greco, che argomenteremo anche in queste pagine, contenuti “prefilosofici”, ovvero veritativo-umanistici, sono indubbiamente ravvisabili anche in Omero.
9 La tesi della sostanziale continuità etico-educativa della cultura greca fu propria anche, a nostro avviso, di Werner Jaeger, che nel celebre libro Paideia, cui poi ancora accenneremo, descrisse come tappe di un unico processo di formazione dell’ideale greco di umanità il sorgere del concetto di areté nei poemi omerici, lo sviluppo del concetto di dike nei poemi esiodei, l’ideale del cittadino difensore della patria in Tirteo, l’autoformazione dell’individuo nella poesia ionico-eolica, la fondazione dello Stato di diritto nella Atene di Solone, la esposizione dell’ordine cosmico operata dal pensiero presocratico, la elaborazione pedagogica dei sofisti, l’insegnamento morale di Socrate ed il supremo ideale educativo formulato da Platone.
10 J. De Romilly, Compendio di letteratura greca, Zanichelli, Bologna, 1987, pag. X.
11 W. Klug, Anregung, 27/1, 1981, pag. 30.
12 J. Latacz, Omero. Il primo poeta dell’Occidente, Laterza, Roma-Bari, 1990, pag. 3.
13 Dice bene M. Durante che in Omero «la rievocazione del passato è in funzione delle esigenze di una società arcaica: non funge soltanto da strumento di evasione dalle realtà quotidiane, ma serve a progettare paradigmi di comportamento idealizzati e valori etici, e fare in modo che l’individuo assuma consapevolezza del passato suo e dell’ethnos di cui fa parte. Questa poesia arcaica [...] è semplicemente la forma di cultura che si addice ad una fase di storia del pensiero che ancora non ha assunto consuetudine col sapere astratto, con la filosofia e con la scienza» (M. Durante, Sulla preistoria della tradizione greca, Edizioni dell’Ateneo, Roma, 1971, vol. I, pag. 145). Questo lo compresero bene anche diversi autori classici (Platone, Apologia di Socrate, 41 a; Aristofane, Rane, 1030-1036), che considerarono Omero, Esiodo, Orfeo e Museo non semplicemente come poeti, bensì come maestri di civiltà.
14 L’atteggiamento che utilizzeremo è quello di chi non vuole fare, come diceva Aristotele con riferimento ai Pitagorici, come «quegli antichi interpreti di Omero, che riescono ad evidenziarne le minuzie, ma si lasciano poi sfuggire le cose rilevanti» (Metafisica, 1093 a 26).
15 Per una trattazione generale di questo argomento, rinviamo a L. Grecchi, L’anima umana come fondamento della verità, Petite Plaisance, Pistoia, 2002; Il necessario fondamento umanistico della metafisica, Petite Plaisance, Pistoia, 2005; Conoscenza della felicità, Petite Plaisance, Pistoia, 2006, con Introduzione di Mario Vegetti.
16 M. Zambarbieri, L’Iliade com’è, Cisalpino, Milano, 1988, vol. II, pagg. 494-495.
17 L. Grecchi, La filosofia della storia nella Grecia classica, Petite Plaisance, Pistoia, 2011. In merito, L. Canfora ha correttamente sostenuto che «nei poemi omerici nel loro insieme [...] vi è anche, in germe, una nozione del passato (e quindi del tempo) e della storia [...]. L’idea di passato coincide con l’ambito fin dove si spinge il ricordo [...] e si concentra sui fatti degni di racconto: in genere sulle sofferenze degli uomini» (L. Canfora, Storia della letteratura greca, Laterza, Roma-Bari, 1986, pag. 14).
18 C. R. Beye, Letteratura e pubblico nella Grecia antica, Laterza, Roma-Bari, 1979, vol. I, pag. V.
19 Ibidem, pag. VI.
20 F. Montanari, a cura di, Omero 3.000 anni dopo, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 2002, pagg. XI-XII.