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La scrittura di una persona andrebbe incorniciata come un ritratto. Una pagina di quaderno, un semplice biglietto, una lettera di una persona amica o di un familiare, ci consegnano, per sempre, nei segni precisi, inalterabili della calligrafia, il ritratto, l’identità di un essere umano insostitui-bile e, in un modo mirabile, la sintesi della sua vita stessa.
La scrittura ha la luce misteriosa dell’anima. Essa è come in cammino. Ogni lettera procede verso il futuro, verso l’ignoto. Spinta dalla volontà e dal pensiero, essa è proiettata con forza in avanti. Sono segni, ma racchiudono il segreto dell’anima. Essi svelano anche la volontà, forte e così nobile, di mantenere per sempre i sentimenti che esprimono.
La lettera infine, pur essendo la prova inconfutabile di una lontananza, non vuole illudere, come la voce “vicina” del telefono: la lettera è ormai tra le nostre mani, per sempre, malinconica sì, ma viva. E dunque la scrittura è realmente un pezzo dell’anima di chi scrive.
E così una lettera, anche quella dal contenuto più semplice e quotidiano, la si può rileggere in ogni momento della vita, come si rilegge un libro, ma, in più, con l’emozione suscitata in noi da una calligrafia a noi nota, inconfondibile, come il volto di chi, con la mano ubbidiente, ha dipinto per noi, insieme alle consonanti e alle vocali, i cieli e i paesaggi da cui siamo lontani.
E allora si segue con gli occhi l’irripetibile tracciato: sentiero arduo o dolente, per chi legge, ma chiaro: opera di una mano decisa che ha disegnato per noi (in un’ora misteriosa della sua vita), senza saperlo, un autoritratto, avanzando coraggiosamente, col carico del suo destino, sul foglio ancora bianco, verso l’ignoto che l’attendeva.
E dunque la scrittura di una persona amica è sempre commovente e l’inchiostro, nero e lucente, è intriso dell’aria, sconosciuta per noi, imperdonabilmente assenti, di un’ora assorta e silenziosa, in una giornata che non esiste più.
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