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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 213

Alfredo Fabbri Mary Vettori

Il crepuscolo del mattino. Diari di Alfredo e Mary. 1950-1953.

ISBN 978-88-7588-107-8, 2014, pp. 224, formato 170x240 mm., Euro 18.

Mary Vettori e Alfredo Fabbri.

indice - presentazione - autore - sintesi

18,00

Siliano Simoncini

 

Onorare la vita

 

Il dolore non va negato ma compreso, sublimato.

               Virginia Woolf

 

 

 

Mary e Alfredo, dal 1950 al 1953, tennero entrambi un diario – quello che qui si legge – mentre Mary continua a tenerlo a tutt’oggi per cui, gli ultimi due capitoli del libro riportano anche il suo, scritto dal 2008 al 2010, mentre stava accudendo amorevolmente Alfredo durante la malattia che lo condusse alla morte e quello successivo, dal 2010 al 2011.

Il loro, è un diario frutto dell’esperienza stupefacente che si vive nel periodo del primo amore. La cosa singolare di quelle pagine però, sta nel fatto che sono concepite come un reciproco epistolario, poiché il padre di Mary negava alla figlia il permesso di vedere Alfredo. Così, per questa ragione, i due giovani dovevano incontrarsi di nascosto per scambiare le loro effusioni testimoniate dai testi scritti in gran segreto.

Quanto noi lettori riusciamo a immedesimarci nelle vicende “interpretate” con spontaneità, dipende dagli impulsi emotivi e dal carattere dei due; in effetti, ci troviamo nella condizione di apprendere la verità su loro stessi, perché il diario/epistolare non ammette condizionamenti di sorta e quanto scaturisce dalle parole è un flusso di attimi che ora esalta l’amore, ora lo deprime. Così siamo talmente coinvolti che riusciamo a dare immagine alla “sceneggiatura” scritta a quattro mani.

Non ci sono pause nei testi, perché il susseguirsi delle date, dell’ora, è uno sfogliare i giorni con cadenze impreviste: quasi percepiamo il risultato del loro pensiero istantaneo che sottende un’emozione, trattenuta e mai pronunciata, un filo conduttore che si è perso dal giorno prima e ricompare più avanti, ritessendo ora un discorso, ora dei fatti che i due tentano di riconciliare o riannodare con l’esplosione del loro incontenibile amore. È un fluire di gioia, di tristezza e di dolore che Mary e Alfredo orchestrano con la genuinità della giovinezza senza farsi irretire da presupposti letterari, tantomeno da esigenze di “bella scrittura”.

Se c’è “romanticismo” è di quello dall’enfasi affatto ellittica; quando ci sono vezzeggiamenti, nomignoli detti e ridetti, intriganti allusioni, il tutto è sotto forma di quel gioco che gli innamorati di ogni tempo hanno sempre condotto e sempre condurranno. Bello il loro coinvolgimento sincero e libero, sollecitato dalle parole! Chi si ama lo sa come queste scaturiscono quasi senza averne coscienza; battono il tempo del sentimento seguendo il ritmo cardiaco e ne trasmettono le pulsazioni come un’onomatopea.

Ebbene, leggendo i diari di Mary e Alfredo ho rivissuto stati d’animo e pensieri che, data la mia età, avevo omesso e ciò mi ha consentito di apprezzare nuovamente il passato.

Altro aspetto da non sottovalutare riguarda la personalità dei due, da come si evince a mano a mano che lo scritto “cresce” e matura il progetto per il loro futuro. Mary segue i corsi universitari – di quanti cattedratici illustri la giovane segue le lezioni! Lamanna (filosofia), Devoto (glottologia), De Robertis (italiano), Longhi (storia dell’arte), Bandinelli (estruscologia) – e quindi ha di sé un disegno preciso, riguardo a “cosa vorrà fare da grande”. Alfredo, al contrario, è incerto e inquieto – probabilmente coltiva la passione per una carriera d’artista che in lui non è ancora ben chiara (diario del 1950: «[…] l’avvenire? Sono un povero cane randagio ricco solo di sogni») –, inizia gli studi tecnici e non li termina, cerca un lavoro e non lo trova;  addirittura la stessa Mary s’impegna per cercargliene uno.

In quest’alternanza di eventi, leggendo, percepiamo l’ansia di Alfredo che nella soffitta della casa del Barba, di proprietà della zia Dina, nel caldo soffocante dei mesi estivi e nel gelo di quelli invernali, dipinge, disegna, scrive, medita e, episodio incantevole, dalla piccola finestra di quel locale che confina con i campi prossimi all’abitazione di Mary, “spia” le mosse dell’amata e quasi riesce a percepirne le angosce che la famiglia le procura: guai! Essere scoperta mentre cerca di intercettare Alfredo. A riguardo Mary confessa: «[…] Il nostro rapporto dovrà finire, pena l’interruzione degli studi. Non potrò più venire a trovarti nel salotto rosso […] ti mando questa mia attraverso O. che è venuta proprio ora». Comunque il loro amore non considera gli ostacoli e di là da tutto ne vivono comunque la gioia. Alfredo si entusiasma così: «[…] Grazie a tuo padre e tua madre, che ordinarono quella benedetta cicogna che ti portò su questa terra»; e Mary da parte sua replica: «[…] Amore mio, se tu cessassi di amarmi forse potrei sopravvivere ma morirei se non ti amassi più […]. Amore mio, io sono la primavera».

Di fronte all’intensità di un rapportò vissuto comunque “clandestinamente”, possiamo comprendere e ammirare la natura tenace del loro sentimento il quale, seppure soggetto a veti di ogni genere, consentì alla coppia di giungere al matrimonio. Le difficoltà di quanto detto possono essere confermate da come si dispera Mary: «[…] Il cuore chiuso e un macigno sul petto. Devo tacere e rinnegarti. È questo che devo fare, rinnegarti, respingerti […]. Io ho disubbidito alle regole, io sono la pecora nera della famiglia […]. Mi sento circondata, inquisita, gli occhi puntati sui miei movimenti». Ebbene, a compensare però tutto questo ci sono le opportunità: quelle del salotto rosso della zia Dina, dove Mary può, comunque, far visita ad Alfredo e, soprattutto, i momenti di spensieratezza vissuti a Firenze. Infatti, recandosi all’università, Mary può disporre di tempo per incontrarsi con Alfredo il quale, pieno di entusiasmo, dal Barba prende la corriera della Saca, per andarsene verso l’appuntamento fiortentino con la persona più cara che lo sta aspettando.

Una parte davvero sorprendente e di una tenerezza indicibile del diario di quei tempi, riguarda il festeggiamento insolito del compleanno di Mary. Siamo nel 1951 a Fiesole; Alfredo mette 21 fiammiferi svedesi sopra due paste e quindi festeggiano (un episodio che molti giovani di oggi dovrebbero eleggere a mirabile esempio). Lei è così entusiasta che scrive: «[…] E devo dirti che sarai il mio unico amore per tutta la vita, breve, lunga che sia […]»; e così è stato ed è, anche se Alfredo non c’è più. Ma anche lui si esalta: «[…] Sono stanco e pazzamente felice: Mary mia dolce e fedele Mary, sono lietamente pazzo di te. Certo giovedì è lontano ma ce la farò ad aspettare anche perché sarà il tuo compleanno per il quale rinnoverai quellabitino giallo che oggi abbiamo comprato assieme ai libri di Cervantes, Ibsen e Tolstoi […]». Oppure: «[…] Però che bellezza il Giardino di Boboli, quella semplice architettura di verde, quei viali coperti che sembrano tunnel, quei ritagli di bosco intatto, vergine; quelle stupide statue che non sembrano tali quando sono con te.  Quei tappeti di foglie croccanti e la scritta di due giovani, lasciata in una grotta del giardino, che si dicono i più felici del mondo dopo quindici giorni di matrimonio. E a noi non resta che comprenderli, eccome!». E Mary non è da meno il giorno che si incontrarono a Livorno:«[…] Il filobus ci porta al mare, pranziamo al ristorante Bagni Pancaldi. Quando mai avevamo pranzato in un ristorante sul mare? Quando mai amore? […] si parla ci si raccontano i giorni passati ma ogni parola vuoi dire una cosa sola: amore, amore. Siamo deliziosamente pazzi».

Anche Mary e Alfredo, come ogni coppia d’innamorati hanno le proprie crisi, i ripensamenti, le gelosie e i diari mettono a nudo le conseguenze dell’amore, anche quelle più impietose. Dal diario di Mary: «[…] c’è amarezza nel mio cuore, l’amarezza di essere rinnegata: anche se il gallo non ha cantato, anche se per tre volte non hai detto io non la conosco». E Alfredo in altra occasione: «[…] Quando capirai che non posso venire in via Bassa finché non avrò una sistemazione? Perché oggi non sei venuta? Sei malata? Ho tanto nervoso addosso ma molto più è il dolore. Non chiedermi perché adesso non vengo da te: quasi ti odio per la tua assenza di oggi e non posso venire da persone che odio». Come sentiamo, i veri sentimenti sono trascinati in tempeste “fittizie” per qualcosa che li priva dell’egoismo di chi si ama. I due vivono le vicissitudini di quanti sentono di “possedersi” e, pur rispettandosi, non rinunciano al proprio orgoglio. Storie di sempre. Storia di Mary e Alfredo.

Interessante, poi, è quanto è descritto dai due innamorati in merito alla vita del tempo,  dagli avvenimenti di cronaca a quelli socio-politici e culturali; ma più, nel diario di Alfredo, si dà testimonianza degli eventi artistici di quegli anni, dall’attività cittadina a quella nazionale. A riguardo, in presa diretta, Alfredo annota le sue reazioni di fronte alle opere esposte nei padiglioni alla Biennale veneziana del 1952. Inoltre, Alfredo fin da allora era bravo a intessere relazioni con altri artisti: Cappellini, Rosai, Soffici e,  naturalmente, Agenore Fabbri, ma anche critici e galleristi. Questa parte andrebbe esaminata attentamente ma già parzialmente l’ha fatto l’artista montecatinese Roberto Giovanelli, il quale, nel catalogo delle opere litografiche di Alfredo, donate da Mary Fabbri alla Fondazione Giorgio Tesi, ha scritto un ipotetico dialogo tra Alfiero Cappellini,  Pietro Bugiani e, appunto, Alfredo Fabbri, servendosi di lettere per i primi due e del diario per l’ultimo.

La parte conclusiva di questo libro vede protagonista soltanto Mary; infatti, le pagine inerenti riguardano il diario che lei ha tenuto durante il periodo della malattia di Alfredo fino alla morte (2008/2010) e negli anni successivi (2010/2011). Prima del testo, è riportata una testimonianza di Paola Lomi che commenta gli esiti della condizione di Mary dopo gli infausti eventi e a quella rimando; però non posso fare a meno di riportare dei passi del diario perché, a mio avviso, risultano fondamentali per comprendere appieno la natura straordinaria della compagna di Alfredo. «Non definiamo i giorni e quello che ci impongono» (aforisma emblematico). «Scura di malate parole è stata la notte. Dormi Alfredo, dormi» (drammatica ninna-nanna). «Non mi conforta la luna. Dal terrazzo l’ho vista: era nientaltro che un pianeta» (muore, con Alfredo, anche la poesia della visione lunare). «Scavo attraverso gli anni, i mesi, i giorni ... Ma ora l’ira non centra, il sole illumina tutto anche il mio cuore» (a essere vicini a chi non è più e percepirlo “fisicamente” vezzeggiandone il ricordo, fa sentire puri e felici, ed è come risorgere insieme). «Solo dopo aver amato tanto si può raggiungere, dopo la morte, tanta vitale intimità e consonanza» (consapevolezza dell’amore donato ad Alfredo fino al punto che Mary riesce a sublimare il grado zero della vita/morte).

Un passo fondamentale per comprendere il perché Mary si sia decisa a pubblicare diari cosi intimi, lo esprime lei stessa. Eccolo! «Ma non riaprire e non vedere e non leggere e non soffrire voleva dire seppellire. Ed io non voglio seppellire, anzi voglio stendere, esporre, mettere bene in vista e poi, forse, assorbiti i miasmi, riuscire ad avere più limpida la mente, più leggero il cuore». Non servono commenti!

Avviandomi alla conclusione, posso dire che le pagine dei diari sono un compendio di notizie che onorano, comunque, le vicende della vita: l’amore, la sofferenza, il dramma, l’evasione, le diverse identità, le promesse mantenute e no, la ribellione e la quiete... bene ha fatto l’amica di Mary, la poetessa Maura Del Serra, a suggerirle il titolo della presente pubblicazione: Il crepuscolo del mattino. In effetti, dopo la lettura si comprende quanto esso sia adeguato rispetto alle vicende di quel tempo e degli anni successivi, fino alla scomparsa di Alfredo.

 

Siliano Simoncini



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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