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Quando Daniele Orlandi un paio d’anni fa mi contattò per dirmi della sua intenzione di raccontare la storia politica di mio padre, rimasi davvero sorpresa. Non lo conoscevo: perché questo giovane studioso era interessato a un uomo che aveva fatto politica clandestina per quindici anni e che si era improvvisamente ritirato a vita privata nel 1948? Un uomo scomparso senza lasciare tracce della sua militanza e ricordato solo in qualche libro di compagni, o in scarni documenti della direzione di un carcere o di un Partito e quasi niente altro?
Il mistero in fondo rimane, ma ormai non conta più: ci sono infatti imprese alle quali ci si appassiona quasi per caso, per un incontro, per un’emozione condivisa, per un episodio che lascia un segno e altro ancora, e solo il tempo ci fa capire perché davvero le abbiamo cominciate; questo libro mi sembra una di quelle imprese. Non è solo il lavoro serio e documentato di uno studioso e nemmeno solo l’indagine appassionata su un personaggio sconosciuto, è anche una vicinanza di anime rintracciata nel corso della ricerca. Anche persone molto diverse e lontane l’una dall’altra, possono sentire in certi momenti un contatto misterioso e profondo che le unisce. Può succedere anche con chi non c’è più.
Daniele Orlandi ha dimostrato tenacia e intelligenza nella ricerca delle fonti e nel suo modo di metterle insieme, nel tenere conto dell’origine sociale e familiare, nel capire alcuni fondamentali tratti della personalità di Aldo Valcarenghi, come se volesse tirarlo fuori dal buio e restituirlo a tutti noi. Ma non solo, è anche riuscito a ricostruire gran parte della storia e della figura di mio padre come se l’avesse conosciuto, come se gli volesse bene.
In questo libro riconosco il carattere schivo, introverso di Aldo e quel suo straordinario coraggio, ma anche l’amore per la bellezza e questo era più difficile da capire e soprattutto da considerare importante, in un mondo, come il nostro oggi, dove la politica e non solo la politica è brutta e volgare e se ne compiace. È vero per esempio che mio padre nei momenti moralmente difficili recitava meravigliose poesie, anche a Mauthausen, certo, come Daniele è riuscito a sapere. Era stato il primo a farmi vedere come l’etica e l’estetica siano intimamente connesse, prima dei professori di greco e di filosofia. La bellezza consola e restituisce energia.
Una volta, in un momento molto difficile, era coricato e io, seduta ai piedi del letto, lo ascoltavo recitare i Sepolcri. Alla fine aveva chiuso gli occhi, come se non volesse vedere, o forse essere visto, mentre diceva: «E tu onore di pianti, Ettore, avrai/ ove fia santo e lagrimato il sangue/ per la patria versato, e finché il Sole/ risplenderà su le sciagure umane».
Ecco, Daniele, questo libro tiene conto del valore del ricordo e di un onore riconosciuto, a lui e a tutti i suoi compagni, e dirti che ti sono immensamente grata è ancora dire poco.
Marina Valcarenghi
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