La funzione fondamentale di un’immagine del mondo è quella di costituire l’orizzonte ultimo irraggiungibile, ma allo stesso tempo inaggirabile rispetto al quale si definisce ogni condotta pratica. È l’immaginario di volta in volta adottato a definire i limiti e i confini di ciò che rientra nel nostro potere d’azione, di ciò che si può modificare e di ciò che, invece, è percepito come semplicemente fatale.
Uno dei filosofi che più fecondamente seppe dedicare il proprio itinerario intellettuale all’analisi di tale plesso tematico fu Georges Sorel. Elaborando la nozione di mito, Sorel intendeva creare uno strumento in grado di «legare» una comunità, per quanto minoritaria, fornendo a essa identità e coesione. A suo dire la macchina mitologica doveva produrre un «senso comune» quel sentire che non deve essere identificato con la capacità che tutti gli uomini possiedono, ma con il senso che fonda la comunità il quale fosse in grado di orientare (in modo quasi irriflesso) la prassi politica delle classi dominate.
Sorel fu uno dei pochissimi pensatori marxisti che cercarono di disgiungere il principio del progresso da quello dell’emancipazione; a partire da tali suggestioni soreliane il saggio mira a sviluppare la tesi secondo cui il principio ideologico del progresso e il principio filosofico dell’emancipazione debbano essere non solo distinti, ma separati, evidenziando la necessità di abbandonare il primo senza rinunciare a una prospettiva emancipativa.
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