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Prefazione
di Daniele Orlandi
In un precedente libro di poesie che ebbi l’onore di curare, l’intento non era quello di raccontare in un’ottica cronistico-giudiziaria la storia di Sante Notarnicola (Castellaneta, 15 dicembre 1938) “bandito” o, in una dimensione politica, quella del rivoluzionario (ammesso che per il potere le due definizioni possano andare disgiunte). Non era nemmeno quello di fare critica letteraria. Rappresentava semmai il tentativo di scovare le maglie più larghe in cui i tre aspetti potessero collegarsi per fornire, in una prospettiva storica, un ritratto di Sante il più possibile vicino al vero. Per questa storia, quindi, che prima o poi il lettore ricercherà vanamente in queste pagine, non si può che rimandare a quella sintesi0.
Qui, pochi elementi basteranno a introdurre l’ex ragazzo della Barriera, a Torino, ed ex componente della “strana” Banda Cavallero (la parte della sua vita che sembra ancora interessare maggiormente1): in origine quattro compagni (resteranno in tre dopo la morte di Danilo Crepaldi) che nell’Italia del cosiddetto boom rapinano banche per finanziare un progetto, mai realizzato, di lotta armata.
Arrestato nel 1967 e condannato all’ergastolo, la sua definitiva politicizzazione avviene dietro le sbarre, divenendo animatore del movimento dei dannati della terra (sulla scia del libro di Frantz Fanon del 1961) che all’interno delle prigioni rivendicava i più minimali diritti dei detenuti.
Venuto a contatto con esponenti maggiori e minori della lotta armata di sinistra, con cui solidarizzò senza farne parte, tentò un’evasione dal carcere di Favignana nel 1976 («Poi una notte/ riuscimmo a vedere le stelle/ il cielo aperto»2).
Sottoposto a carcere duro negli “speciali”, vedrà lentamente chiudersi un’epoca tra scissioni e sconfitte, delazioni e violenze, fino alla semilibertà ottenuta (ma non richiesta) nel 1988. Tuttavia, non c’è migliore sintesi di quella stagione che non esca direttamente dalla sua penna: «Non ho nulla da vendere», scriverà.
[...] ci ho messo 50 anni a diventare comunista. E 20 anni 8 mesi e 1 giorno di prigione. E 11 anni di carcere di massima sicurezza. E 5 anni di celle punitive. E la posta censurata. E i vetri divisori ai colloqui [...] E le cariche dei carabinieri nei corridoi delle prigioni. E il sangue nelle celle. E il sangue dal naso. E il sangue dalla bocca. E i denti rotti. E la fame all’Asinara. E il silenzio obbligatorio al bunker della Centrale, a cala d’Oliva. E i racconti dei torturati. E i colpi contro la porta per non farti dormire. E i colloqui respinti senza un motivo. E la posta sottratta. E il linciaggio del vicino di cella. E il vivere col cuore in gola. E la pressione che sale. E il cuore che senti ingrossare. E il compagno che se ne va con la testa. E le divisioni a 5 nei cortili. E le rotture politiche. E le divisioni che teoricamente dovevano rafforzarci. E il dilagare del soggettivismo. E i vetri infranti ai colloqui. E le rivendicazioni coi pugni chiusi. E la ritirata strategica. E gli scioperi della fame condannati. E i sorrisi spariti. E i soggettivisti sconfitti. E gli odi tra compagni. E le demolizioni personali. E la disgregazione umana. E le perquisizioni anali. E le sei diotrie perse. E l’assalto coi cani nelle celle. E i compagni colpiti da schizofrenia. E i primi tradimenti. E la massa di dissociati. E l’isolamento politico. E la piorrea che avanza. E gli anni che passano e i giorni che conti. E i silenzi, i silenzi, i silenzi3.
Da recluso, Notarnicola scrive. Poco dopo il suo arresto, nell’irrealtà dell’isolamento a S. Vittore, comprese che non si sarebbe più fermato. La memoria della sua formazione, dagli anni giovanili nel PCI alla carcerazione, sarà affidata a L’evasione impossibile, libro che resterà, nel suo genere, una pietra miliare e un manifesto politico4. Alla poesia nelle due raccolte Con quest’anima inquieta5 (1979) e La nostalgia e la memoria6 (1986) saranno demandate altre funzioni vitali:
Poesia come strumento di agitazione. Poesia per comunicare in condizioni difficili. Poesia per rompere l’isolamento a cui vorrebbero costringere corpo e cervello. Poesia come difesa dall’abbrutimento della prigione. Poesia per amare ancora, per vivere ugualmente una vita complessiva7.
Come sul finire di un’ideale prefazione alla sua opera omnia, queste anafore sigillano l’uomo di lotta all’“uomo di pena” e suggellano, per dirla con un classico, quel poco che il cuore ha saputo ricordare. Al ritorno della libertà, la scrittura lascia lentamente il posto alla vita.
Ma Sante non ha mai cessato di raccontare. In molti, giovani studenti o più smaliziati studiosi, lo hanno incontrato nel suo locale bolognese di Via del Pratello, il Mutenye8, per ascoltare, non già la deposizione di un vinto, ma la voce di una controstoria d’Italia. Quella testimonianza che ancora oggi subisce, talvolta, anacronistiche censure e ridicoli anatemi9.
Questo libricino vuole essere altro. Un omaggio di compleanno? Una spolverata allo specchio per vedere cosa siamo diventati nel frattempo? Una confessione di Pulcinella se ammettiamo che riguarda più noi che lui? Forse, le tre cose insieme.
Si tratta in realtà di un piccolo furto, a fin di bene: un opuscolo manoscritto che Notarnicola ha recentemente fatto rilegare in tipografia e donato a un ristretto gruppo di amici, senza intenzione di darlo alle stampe. Sono versi successivi e non postumi, un dopo che tuttavia non marca confini netti col prima né potrebbe essere altrimenti.
Scritti con la mano “intorpidita” come direbbe Sante e il cuore vigile. I polsi, rilassati ormai da molti anni, chissà, viene da chiedersi, se di tanto in tanto, avvertono ancora il peso dei ferri, come arti fantasma. Nati così, ad ora incerta, senza un programma o un tema dominante. Sono notturni acquerelli metropolitani, interni di case di campagna con l’occhio che fugge rapido al varco salvifico del mare. Sono brevi note d’amore. Sono le epifanie della piccola Chiara, teneramente fotografata nel continuo miracolo della sua presenza nella vita di Sante e Delia. Ci sono sguardi di animali dai tratti umanoidi, dediche a compagni ancora prigionieri e ricordi di militanza. Memorie di stragi e Resistenza tradita dalla dimenticanza. Riflessioni su un presente di piombo cui sottende l’interrogativo se sia stato davvero peggiore dell’oggi quel tempo in cui il dissenso era il nemico pubblico numero uno.
Dunque scusaci (scusami), Sante, se sottraiamo al tuo privato qualche parola nuova e la stampiamo, convinti che siano sempre degne di pubblicazione; se percorriamo ancora la tua strada sovrapponendo alla tua storia la nostra. Chi non ti conosce potrà farsi una prima idea e magari approfondire. Chi già gode della tua amicizia ci perdonerà questa iniziativa.
Quanto a te, ignaro e sorpreso amico, che tutto ciò non ti turbi troppo è infine nostro auspicio.
Note
0 S. Notarnicola, L’anima e il muro, a cura di D. Orlandi, disegni di Marco Perroni, Roma, Odradek, 2013.
1 C. Bolognini, I ragazzi della Barriera. La storia della Banda Cavallero, Milano, Agenzia X, 2015.
2 S. Notarnicola, L’anima e il muro, op. cit., p. 101.
3 Id., Materiale interessante. Liberi dal silenzio, Palermo, Edizioni della Battaglia, 1997, p. 10.
4 Id., L’evasione impossibile, Milano, Feltrinelli, 1972. Con prefazione di Pio Baldelli, allora direttore di «Lotta Continua».
5 Id., Con quest’anima inquieta, Milano, Edizioni Senza Galere, 1979.
6 Id., La nostalgia e la memoria, Milano, Giuseppe Maj Editore, 1986.
7 Id., Materiale interessante, op. cit., p. 35.
8 Crf. AA.VV, Mutenye. Un luogo dello spirito, Roma, Odradek, 2001.
9 G. Guccione, Da Cavallero alla Cavallerizza: è polemica a Torino per il festival con l’ex bandito Notarnicola, in «La Repubblica», edizione torinese, 7 ottobre 2015.
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