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Secondo una nota espressione di Hegel, la filosofia, come la nottola di Minerva, si alza solo al crepuscolo, quando le cose ormai sono avvenute ed il giorno è già trascorso. E questo vale anche per una nostra eventuale interpretazione del Sessantotto alla luce della filosofia della storia, che personalmente ritengo del tutto legittima (e che mi permetterò di proporre nel mio primo paragrafo). Qui però si tratta soprattutto di una riflessione di storia delle idee, in particolare delle idee filosofiche del periodo 1956-1968, e di questo discuterò nel secondo e nel terzo paragrafo (il secondo dedicato al Sessantotto europeo-occidentale, il solo che prenderò in considerazione, ed il terzo dedicato al Sessantotto specificatamente italiano nelle sue peculiarità ideologiche e teoriche). Limitando il mio breve saggio a tre paragrafi (con un quarto paragrafo di conclusioni che non tocca però il cuore delle questioni prima discusse, ma si limita ad una riflessione libera per i ventenni di oggi), il lettore non può aspettarsi un esame analitico e dettagliato, e dovrà accontentarsi delle indicazioni interpretative di massima che gli vengono fornite.
In prima approssimazione, le tesi ideologiche si pongono, le tesi filosofiche si mostrano, le tesi scientifiche si dimostrano. Bisogna ovviamente spiegarsi un poco. Dicendo che le tesi ideologiche si pongono, intendo dire che l’ideologia ha un carattere pratico-politico di orientamento immediato nel mondo, che l’ideologia riflette in modo diretto o indiretto, esplicito o implicito, interessi collettivi di gruppi e di classi sociali, e non è pertanto importante la verità filosofica o la certezza scientifica delle sue tesi, quanto il valore di posizione nella congiuntura politica che esse assumono, un valore di posizione quasi sempre emotivo ed “affettivo” (per usare il corretto termine di Althusser). Dicendo che le tesi scientifiche si dimostrano non intendo affatto dire (come fanno i positivisti ed in generale gli “scientisti” di tutti i tipi e famiglie) che la dimostrazione scientifica è irrevocabile e definitiva, e chiude la bocca a tutti in nome del fatto che “la matematica non è un’opinione”. Chi ha una simile concezione ingenua e magica della “scienza” (il 95% delle persone di cosiddetta “media cultura”) dovrebbe rileggersi per utilità e diletto le considerazioni di Kuhn sulle rivoluzioni scientifiche che mettono in crisi paradigmi scientifici consolidati da secoli, oppure le critiche di Feyerabend a Popper ed ai popperiani che sono convinti di aver trovato nel principio di falsificabilità il criterio definitivo per la sacralizzazione religiosa del metodo scientifico. Dicendo, tuttavia, che le tesi scientifiche si dimostrano intendo dire che vi sono però pur sempre delle procedure metodologicamente univoche sottoponibili a comunità di studiosi relativamente omogenee e concordi sul carattere “pubblico” dei criteri, degli esperimenti e delle metodologie di ricerca e scoperta accettabili. Dicendo dunque che le tesi filosofiche si mostrano (e non si dimostrano), intendo dire che si fa cosa diversa dalla arbitrarietà della posizione ideologica e dalla cogenza della dimostrazione scientifica, e questa cosa diversa deve essere bene individuata per non fare troppi pasticci e non chiedere invariabilmente alla filosofia troppo o troppo poco.
Facciamo qui tre semplici esempi. In primo luogo, se enuncio la tesi filosofica che il disincanto postmoderno nasce dalla crisi di credibilità delle grandi narrazioni borghesi e proletarie di filosofia della storia basate su di un progresso attribuito allo scorrimento in avanti della temporalità storica, è evidente che non posso “dimostrarla” come dimostro una proposizione fisica, chimica, biologica, ed anche nelle scienze storiche. La mia argomentazione avrà inevitabilmente movenze retoriche, allusive ed analogiche, ma non riuscirà mai a convincere chi pensa che il post-moderno sia il ristabilimento della saggezza greca dell’eterno ritorno del sempre eguale contro i progressismi idioti di borghesi e di proletari illusi.
In secondo luogo, io penso sinceramente che la “figura” della Fenomenologia dello Spirito di Hegel, che descrive come l’ascetismo della morale rigoristica sia destinato inevitabilmente a rovesciarsi dialetticamente nel cosiddetto “regno animale dello spirito”, scatenamento degli egoismi personali e del cinismo morale, pur essendo una “figura filosofica” concepita per criticare Kant e Robespierre, sia in realtà una fotografia anticipata del passaggio del comunismo dalla fase eroica ed ascetica (Lenin, Gramsci, eccetera) alla fase della dissoluzione cinica e nichilistica (Gorbaciov, D’Alema, eccetera). Bene, io sono convintissimo di questa tesi filosofica. Se però la “mostro” (sapendo bene che non posso dimostrarla) a comunisti ortodossi oppure a post-comunisti variamente “buonisti”, mi posso aspettare sorrisi di sprezzo, incomprensione, imbarazzo, eccetera. Facciamo un terzo esempio di tesi filosofica mostrabile ma non dimostrabile. Io sono convinto che la tesi di Heidegger, per cui vi è un fatale esito conclusivo della storia della metafisica occidentale in tecnica planetaria (do per scontato, per ragioni di brevità, che il lettore conosca questa teoria, che comunque troverà in qualunque buon manuale liceale di storia della filosofia), sia assolutamente giusta e corretta, e spieghi un mucchio di cose, ad esempio perché invariabilmente tutte le ideologie di “destra” e di “sinistra”, quando devono passare dalle chiacchiere per i militanti alla gestione politica del sistema economico, finiscono per fare la stessa cosa, cioè la messa in opera delle ricette del “pensiero unico” delle oligarchie finanziarie transnazionali che dominano il pianeta. Ebbene, questa tesi, che per me è di un’evidenza assolutamente solare, non lo è assolutamente per tutti coloro che sospettano di Heidegger perché era di “destra” ed aderente alla “rivoluzione conservatrice” tedesca, oppure interpretano Heidegger come il “decostruttore” delle credenze “forti” dell’Occidente ed il cantore di un atteggiamento “debole” di gioiosa accettazione (nietzschiana di sinistra, oppure nicciano-ulivista) del gioco del capitalismo flessibile.
Perché ho fatto questi tre esempi, e ne avrei potuto fare molti altri? Ma è chiaro, li ho fatti perché anch’io nel prossimo primo paragrafo mi permetterò di mostrare la mia personale tesi filosofica sul Sessantotto trent’anni dopo. Più esattamente farò in questo modo. Nel primo paragrafo enuncerò tre brevi tesi sul Sessantotto, per “mettere le carte in tavola”, e dire subito al lettore che cosa personalmente penso del “glorioso anniversario”, ritenendo che il massimo di “oggettività” conseguibile nelle scienze sociali (ed il Sessantotto è un oggetto della scienza storica, che è una scienza sociale) sia l’esplicitazione chiara dei propri presupposti ideologici e filosofici. Nel secondo paragrafo, sulla base della limitazione discussa nel primo paragrafo del discorso alla sola Europa occidentale, ed al solo triangolo Germania-Francia-Italia, farò un breve discorso sulle “fonti filosofiche” principali del Sessantotto europeo, che limiterò per chiarezza a due soltanto. Nel terzo paragrafo, dedicato esclusivamente alle fonti italiane del Sessantotto italiano, mi limiterò ad un contesto specificatamente italiano, sapendo bene però che si tratta di un’astrazione, perché la connessione dei tre livelli mondiale, europeo ed italiano è in realtà inestricabile.
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