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Quando ho studiato la meccanica quantistica ho imparato che l’oggetto più fondamentale di questa teoria, la funzione d’onda, non descriveva il sistema fisico in esame, bensì la conoscenza che ne avevamo. In ciò risiedevano l’originalità e la stranezza radicale della meccanica quantistica. Ma cosa significava tutto ciò? Di certo, non quello che si poteva credere ingenuamente: non si studiavano certo i processi interni al cervello umano che sono associa ti a ciò che chiamiamo ‘conoscenza’. In fin dei conti, si trattava forse di qualcosa di banale: non possiamo far altro che studiare oggetti o proprietà accessibili alla conoscenza umana; se esistono realtà radicalmente inaccessibili alla nostra percezione o alla nostra conoscenza non le studiamo per definizione. Ma allora, dove stava la novità? Capitava di spingersi più in profondità; si imparava allora che la meccanica quantistica non aveva fatto che giustificare un punto di vista filosofico precedente, risalente almeno a Kant, Hume e Mach e sviluppato dai positivisti moderni.
Strano: ecco una teoria fisica che ci costringe ad adottare una prospettiva filosofica specifica, senza la quale non è possibile comprenderla. Mermin cita una formulazione estremizzata di quest’idea: «La dottrina secondo cui il mondo è fatto di oggetti la cui esistenza è indipendente dalla coscienza umana si trova essere in conflitto con la meccanica quantistica e con fatti sperimentali ben stabiliti». Effettivamente, la scienza suppone tradizionalmente che si possa separare il ‘soggetto’ umano dall’oggetto studiato. Ma la meccanica quantistica aveva imposto una svolta: la filosofia ‘realista’ (a volte completata con la parola ‘metafisica’ o ‘ingenua’) era divenuta non più difendibile. Questa filosofia aveva avuto i suoi momenti di gloria nel XVIII e nel XIX secolo, all’apogeo del materialismo scientifico trionfante. Einstein era ancora legato a quella visione delle cose. È per questa ragione che non aveva mai potuto ammettere la meccanica quantistica. Ma quest’ultima ci era imposta dai fatti. Personalmente, neanch’io mi trovavo disposto ad accettare un tale punto di vista. Mi sembrava che ci fosse qualche cosa di profondamente sbagliato nella posizione positivista, ma per delle ragioni puramente filosofiche, e non vedevo come una teoria scientifica, ed ancor menoi ‘fatti’, potessero cambiare qualcosa in tutta la faccenda. Non solo, vedevo che Einstein, Schrödinger e qualche volta de Broglie avevano sollevato obiezioni all’interpretazione dominante della meccanica quantistica. Ma, mi si diceva, costoro appartenevano ad un’altra generazione, e non avevano mai potuto arrunettere la nuova visione del mondo e della scienza elaborata da Boru, Heisenberg e Pauli. Tuttavia, ogni teoria scientifica essendo destinata a perire, almeno così pare, non potrebbe darsi che un giorno un’altra teoria, più perfezionata, comportasse una revisione delle nostre concezioni filosofiche? Ma anche questa speranza era vana, von Neumann avendo, almeno così sembrava, dimostrato che ogni teoria ‘realista’ sarebbe entrata necessariamente in conflitto con le previsioni sperimentali. I fatti stessi imponevano dunque una visione della scienza radicalmente nuova. Eppure, Schrödinger ed il suo gatto mi sembravano aver messo in rilievo una difficoltà concettuale fondamentale della meccanica quantistica. Mi sembrava si trattasse di un problema ben più importante della tradizionale questione del determinismo, nella quale si volevano rinchiudere i ‘dissidenti’. D’altro canto, non riuscivo bene a vedere quale partito trarre dalle obiezioni di Einstein: con Podolsky e Rosen, egli aveva tentato di mostrare che la meccanica quantistica era manifestamente una descrizione incompleta della realtà. Ma tutti erano d’accordo nel ritenere che Bohr avesse fatto fronte in modo magistrale a queste obiezioni. C’era anche un certo Bohm che, sulle tracce di Louis de Broglie, aveva cercato di proporre un’‘interpretazione’ della meccanica quantistica in termini di ‘variabili nascoste’. Ma anche questo tentativo si era rivelato un fallimento. In più, un certo Bell aveva mostrato in maniera incontrovertibile che ogni tentativo d’interpretazione in termini di ‘variabili nascoste’ doveva, se non voleva contraddire le previsioni della meccanica quantistica, essere non locale, il che era chiaramente inaccettabile.
Non vedendo vie di uscita ai problemi mi sono occupato di altre cose, restando comunque insoddisfatto, come molti della mia generazione. Da qualche anno sembra però essersi risvegliato l’interesse per le questioni relative ai fondamenti della meccanica quantistica. Le differenti versioni di quella che viene chiamata “l’interpretazione di Copenhagen” sembrano raccogliere consensi sempre meno unanimi. Uno degli scopi di questo articolo è quello di spiegare come vi sia un problema effettivo nella meccanica quantistica in quanto teoria fisica. Il problema è sottile e non ha conseguenze pratiche ma sussiste. Occorre però evitare di attribuire a questo problema un’importanza eccessiva e, in ogni caso, non precipitare nella deriva irrazionalista in cui ci si imbatte talvolta ai margini del dibattito sulla meccanica quantistica. Peraltro, intendo mostrare che il problema è stato storicamente trasfigurato pretendendo che la soluzione risiedesse nell’adozione di uno specifico punto di vista filosofico. Intendo anche spiegare perché un certo numero di idee trasmesseci, come quelle che avevo imparato quando ero studente (sul teorema di Bell, sull’impossibilità di teorie a variabili nascoste), siano erronee.
Comincerò con una breve discussione filosofica sull’opposizione tra realismo e positivismo (sezione 2). Può sembrare strano iniziare con una discussione filosofica. Mi sembra tuttavia indispensabile prendere le mosse da una chiarificazione di queste nozioni, spiegando in particolare ciò che il realismo filosofico non è, a tal punto la confusione su tale questione perverte ogni discussione sui fondamenti della meccanica quantistica. Indicherò poi quale sia esattamente il problema della meccanica quantistica (sezione 3), e cercherò di mostrare che tale problema non è legato ad una posizione filosofica specifica. Non solo, l’idea in base alla quale la soluzione del problema consista nell’adottare una posizione filosofica positivista ha reso difficile la comprensione dell’aspetto più radicalmente nuovo della meccanica quantistica, cioè il suo carattere non locale, messo in evidenza da Einstein, Podolsky, Rosen e da Bell (sezione 4). Infine, indicherò brevemente le soluzioni possibili esistenti (sezione 5). Sebbene nessuna di esse sia interamente soddisfacente, alcune sono molto più interessanti di quanto si affermi correntemente (spesso senza esaminarle in dettaglio), ed occorre certamente studiarle se si vuole arrivare un giorno ad una teoria quantistica totalmente coerente e priva di ambiguità. Devo però sottolineare che pressoché niente di ciò che si trova in quest’articolo è originale (eccetto, come si dice di solito, gli errori). In effetti, i lavori di Bell contengono, anche se spesso in maniera molto stringata, quasi tutto ciò che può essere detto oggi sui problemi della meccanica quantistica. Uno degli obiettivi principali di questo articolo è quello di incoraggiare il lettore a studiare gli scritti di Bell. Per facilitare la lettura dell’articolo ho spostato tutta la parte dell’esposizione che necessita di equazioni nelle appendici da I a III, mentre l’ultima appendice è dedicata ad alcune tracce bibliografiche.
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