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«La memoria non può riscattare definitivamente il tempo. Il tempo, infatti, erode sempre qualcosa di ciò che essa conserva, e ferisce sempre qualcosa di ciò che non erode. In ciascuna storia ci sono sempre cadaveri di troppo, e ferite non rimarginabili, che infiltrano la disperazione nella speranza del futuro. Ciò nonostante, la memoria è l’unico lampo di luce che abbiamo, nel buio di niente del tempo, per renderci visibile un futuro in cui vi sia traccia dell’eternità».
Massimo Bontempelli
La fine della Metafisica, la riduzione dell’essere ad evento, a semplice costrutto storico senza fondamento secondo il linguaggio heideggeriano, o ad ente empirico nella prospettiva empirico-scientifica, ha normalizzato la cultura della violenza nella quale ogni discernimento è obnubilato. La razionalità strumentale, non mediata dalla razionalità complessa-oggettiva aliena le persone quanto gli enti.
Il totalitarismo della quantità è la cifra della globalizzazione liberista. Il nichilismo è così l’indistinto, ogni gerarchia etica salta, si annichilisce a favore dell’immediato, dell’irrilevanza di tutto. Nel nichilismo non vi è né alto né basso, ma un’indifferenziata condizione di alienazione cha attraversa ogni gerarchia sociale. La società nichilistica è verticale secondo la logica del possesso, ma orizzontale nei “valori”: l’utile ed il denaro sono la cifra di valutazione di tutte le prospettive. Se il potere può tutto, e nulla pare accadere di sostanziale per la trasformazione dello stato presente, ciò è dovuto all’assenza di eterotopia, che secondo la celebre definizione di M. Foucault è la capacità di osservare il mondo da un’ottica assolutamente nuova. Nell’eterotopia immaginazione e realtà sono compresenti in una relazione d’inquietudine creativa donata dalla meraviglia delle potenzialità scorte, dalle contraddizioni rese visibili negli spazi interconnessi. L’eterotopia1 non è l’utopia consolatrice che dispone alla fuga; l’eterotopia è inquietante, perché mina le strutture in cui ci si muove, devasta la sintassi del mondo, ricrea e rigenera linguaggi. Con il suo sguardo suggerisce la possibilità di un mondo altro, di un’alterità che si cela nello spazio-tempo delle nostre abitudini.
Il potere neutralizza l’eterotopia attraverso la cultura dell’interesse privato, del consumo immediato e dello scollamento del denaro dal ciclo produttivo come da ogni fine: «Oggi, il denaro concepito come mezzo si è trasformato in finanza. La finanza è denaro volatile, cioè distratto dalla cosiddetta economia reale. L’economia della finanza usa il denaro, sottraendolo ai cicli produttivi, per produrre altro denaro. Il denaro è dunque mezzo e, al tempo stesso, fine. Il denaro che alle origini del capitalismo era finalizzato a sostenere la produzione, il consumo, insomma l’industria, cambia destinazione: serve a sostenere e a espandere se stesso, attraverso la speculazione finanziaria che si esercita nell’acquisto e nella vendita di prodotti finanziari».2
1 M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli, Milano 1988, pp. 7-8.
2 G. Zagrebelsky, Contro la dittatura del presente. Perché è necessario un discorso sui fini, Laterza, Bari 2018, p. 9.
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