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Prefazione
di Mauro Serra
La ristampa, a poco più di un quarto secolo dalla prima edizione del 1994, di questo volumetto di Livio Rossetti non può che essere accolta, per vari motivi, con grande soddisfazione. Il primo dei quali è opportuno evidenziarlo scaturisce dal disappunto con cui bisogna constatare ancora oggi la stringente attualità delle parole con cui si chiude il secondo capitolo: «È semmai strano che, in una società invasa da forme di comunicazione sapiente e anche astuta (quindi insidiosa) qual è la nostra, non si registri correntemente una offerta di strumenti analitici, anche di carattere largamente divulgativo, finalizzati a descrivere e informare sul conto di procedure cui si ricorre letteralmente in ogni momento e da ogni parte, oltre che per i fini più diversi» (infra, p. 59).
Non molto è, infatti, cambiato da quanto l’autore veniva osservando allora. Mentre da più parti si lamenta il generale degrado della sfera pubblica e delle pratiche discorsive che la caratterizzano, ben poco si è fatto per ciò che riguarda la messa a disposizione di strumenti che possano fornire ad un pubblico ampio una bussola per orientarsi. Sommersi da una valanga incontrollabile di notizie uno stato di cose puntualmente registrato dalla comparsa dell’ennesimo neologismo di origine anglosassone, ‘infodemia’ rischiamo oggi come allora di rimanere vittime del pregiudizio che interpreta la comunicazione o come il passaggio neutro, e tutto sommato lineare, di contenuti da un parlante ad uno o più ascoltatori o come il luogo della manipolazione più subdola e tendenziosa. Un pregiudizio in virtù del quale, lo si vede bene, alla retorica non può essere riservato alcuno spazio, poiché nell’un caso è sostanzialmente superflua, mentre nell’altro è appunto lo strumento principe dell’attività manipolatoria.
Il primo dei meriti del libro di Livio Rossetti, la cui esigua mole non deve trarre in inganno, consiste allora nel ricordarci che la comunicazione è per definizione, ed anche nei casi apparentemente più insignificanti, un’attività estremamente complessa ed in linea di principio non agevole né da controllare né da analizzare, poiché costantemente percorsa da una tensione tra ciò che di essa si manifesta apertamente e ciò che invece rimane nascosto. Ancora con le parole dell’autore: «In effetti il dichiarato in cui così spesso l’iniziativa comunicazionale si traduce è come la punta di un immenso iceberg o, se si vuole, il poco che hic et nunc appare in video rispetto al tutto ciò che il computer è, a quanto ha in memoria e ‘sa’ fare» (infra, p. 22).
Da ciò una prima, e però decisiva, conseguenza: la retorica lungi dall’essere condannata all’irrilevanza, è invece il luogo in cui, indipendentemente dalla definizione e dalla declinazione che di essa si voglia dare, prendiamo consapevolezza di questa situazione e ci addestriamo all’esercizio di una pratica che può risultare tanto più ingannevole quanto più apparentemente naturale.
Non a caso, nel libro la retorica è identificata con la comunicazione di qualità. È appunto: «[…] la comunicazione di qualità a istituire la possibilità di un’intesa non superficiale, con l’eventuale corollario di un gratificante senso di coappartenenza, solo che toccare corde profonde equivale a farsi aprire zone molto protette della mente, a rimuovere protezioni ed allarmi e farsi accordare libertà d’azione nell’altrui centralina di comando» (infra, p. 25).
Il cambiamento di prospettiva con cui l’autore ci sollecita a riconsiderare natura e forme della comunicazione ha così l’effetto di sfatare alcuni luoghi comuni tanto più pericolosi quanto più inconsapevolmente ripetuti.
Di almeno un paio è necessario fare menzione. A differenza di quanto solitamente si pensa, la comunicazione è caratterizzata da una asimmetria strutturale che rende di fatto impossibile immaginarla, se non a titolo meramente ipotetico, come un’attività paritetica. Anche quando il rapporto è del tipo io/tu, è inevitabile che uno dei due partecipanti alla comunicazione prenda maggiori iniziative per indirizzarla e vi spenda maggiori energie.
Non è allora sbagliato vedere nella stessa conversazione, una sorta di grado zero della comunicazione, il tentativo reciproco di influenzarsi a vicenda (formattarsi è la metafora adoperata dall’autore come si accennerà tra un attimo) dando vita a quello che può a ragione essere definito un foedus sì, ma iniquus.
Se ciò è vero, sarà però inevitabile considerare l’interazione comunicazionale di qualità il vero e proprio campo di una battaglia all’ultimo sangue a cui non è possibile sottrarsi, se non a proprio discapito. Giustamente, a me pare, si individua nel termine ‘surclassare’ la vera e propria parola d’ordine per ciò che attiene agli standard su cui si regge la comunicazione di qualità. Ma ciò può essere opportunatamente inteso solo perché si è preventivamente messa a fuoco la natura intrinsecamente competitiva di gran parte della nostra attività verbale. E ancora, mentre si tende a ritenere che la retorica torni di una qualche marginale utilità nella comprensione di prodotti comunicazionali come quelli letterari o pubblicitari, è altrove che va cercato il suo (insostituibile) ruolo.
È proprio quando il dichiarato, ovvero la parte emergente della comunicazione, si carica di contenuti epistemici che la dinamica all’opera in ogni interazione comunicazionale rischia di incidere in maniera più significativa sulla modulazione e di conseguenza sulla stessa ricezione dei contenuti proposizionali a cui è attribuito valore epistemico. L’idea, largamente diffusa, che la scienza sia il regno della comunicazione asettica si trova così privata di ogni fondamento e coloro che vi indulgono dimostrano di essere «preda di una particolare retorica del sapere scientifico che è incline (e spesso interessata) a mitizzarlo» (infra, p. 99).
In questa prospettiva non risulta sorprendente constatare che il dialogo filosofico viene ad essere considerato dall’autore come il caso paradigmatico di unità comunicazionale rispetto alla quale risulta tanto necessario quanto arduo distinguere accuratamente tra epistēmē e cosmesi. Con la conseguenza di dissolvere in un colpo solo tanto l’idea che la cosmesi comunicazionale assolva un mero compito ornamentale quanto l’ancor più radicata convinzione che essa coincida con intenzioni necessariamente manipolatorie. Che non si tratti di mere affermazioni di principio è, del resto, possibile constatarlo attraverso la miriade di contributi puntuali che fanno da ideale complemento alle formulazioni teoriche contenute nel libro.
Attraverso di essi, in un percorso che si è snodato ininterrottamente per oltre 40 anni, Livio Rossetti ha, per esempio, mostrato la retorica all’opera in testi abitualmente letti in chiave esclusivamente filosofica, come i paradossi di Zenone e, soprattutto, i dialoghi platonici, contribuendo così a ridefinire in maniera del tutto originale il profilo intellettuale del personaggio di Socrate nonché quello dei suoi principali rivali, i sofisti.
Il ribaltamento di questi (ed altri) luoghi comuni è ottenuto mettendo in campo una batteria di strumenti analitici (di cui l’autore riconosce peraltro la possibilità di ulteriore ampliamento) che ruota attorno alla nozione metaforica di ‘formattazione’, la cui utilità è ravvisata primariamente nel consentire di indirizzare l’attenzione verso alcuni meccanismi di ideazione e preparazione remota del dichiarato che attengono alla sua dimensione macro-retorica.
Viene così messo in risalto il ruolo, tutt’altro che scontato, svolto dall’iniziativa comunicazionale. Quali che siano le forme e le modalità dell’interazione comunicazionale in cui siamo coinvolti, esse presuppongono, infatti, la determinazione di un’atmosfera e l’instaurazione di un circuito comunicazionale tali da permettere ad una delle parti di (provare a) stabilire le regole del gioco.
Si misura su questo aspetto la novità della proposta avanzata ed anche la relazione di discontinuità che essa istituisce con la precedente tradizione retorica. Mentre, infatti, quest’ultima si è prevalentemente concentrata su un repertorio costituito rispettivamente dalle tecniche argomentative (i topoi) e dalla figure retoriche (i tropi), che nel loro insieme vanno a costituire l’ambito rappresentato dalla micro-retorica, la macro-retorica si concentra, invece, sull’attività di configurazione del fatto comunicativo (da ciò il ricorso all’immagine della formattazione, la cui origine informatica tradisce l’epoca in cui è stata concepita un’epoca in cui, ad esempio, circolavano ancora i floppy disks senza, tuttavia, perdere la sua validità euristica), vale a dire sulla ratio che presiede ad ogni iniziativa comunicazionale, cercando di risalire dalla superficie del dichiarato al pensato che lo ha reso possibile e che, seppure non è da identificare in altro rispetto al dichiarato, in esso lascia solo delle tracce che ne permettono faticosamente la ricostituzione.
La discontinuità che abbiamo appena evidenziato non è, tuttavia, assoluta, almeno rispetto alla tradizione antica (greco-romana) della riflessione retorica. A differenza dei tanti tentativi di riscoperta della retorica che si sono succeduti nel corso del Novecento e che sono stati caratterizzati dall’arbitrario privilegio accordato ad una delle parti del sistema retorico,1 la proposta teorica avanzata da Livio Rossetti in questo denso volumetto nasce dall’esplicito riconoscimento della natura sistemica dell’attività retorica, un riconoscimento che lo porta da un lato a presentare la macro-retorica come l’indispensabile complemento al più tradizionale repertorio retorico, dall’altro ad evidenziare, come si è già detto, la strutturale complessità dell’attività comunicativa che rischia di andare perduta nella frammentazione delle diverse discipline che oggi se ne occupano.2
Termino con una breve considerazione di carattere personale. Se è vero, come recita l’incipit del volume che: «Provare a comunicare è tentare di accreditare una qualche ‘lettura’ di un frammento di realtà (o di vissuto) e di farne partecipi altri, non senza suggerire un modo di riconsiderare quel frammento» (infra, p. 19), vale la pena esplicitare conclusivamente la lettura, certamente non l’unica possibile, che di esso ho cercato di accreditare con le mie parole. Da un po’ di tempo vado sostenendo, insieme a pochi altri, che il degrado della sfera pubblica e delle sue pratiche comunicative potrebbe essere, almeno in parte, arginato con un più ampio ricorso alle competenze ed alle riflessioni messe a disposizione dalla tradizione retorica. Di questo rinnovato, e a mio avviso indispensabile, insegnamento della retorica, il volumetto che avete tra le mani si candida a buon diritto ad essere uno dei libri di testo.3
Mauro Serra
Università di Salerno
1 F. Piazza, Linguaggio, persuasione e verità. La retorica nel Novecento, Carocci, Roma, 2000 (di cui è in corso la riedizione aggiornata presso lo stesso editore).
2 Vale la pena riportare a tale riguardo le seguenti affermazioni di Elisabetta Matelli: «Solo recuperando il senso originario di ‘retorica’ e la sua costitutiva natura sistemica è a mio avviso possibile […] riguadagnare l’antica consapevolezza che ogni atto comunicativo può trarre giovamento dal potere straordinario di quest’arte nel dare sostanza alla comunicazione, qualunque sia l’effetto desiderato (la componente morale interessa infatti l’etica, a cui la retorica è connessa, ma come «parte»)». E. Matelli, «Perché sia necessario parlare di retorica in senso sistemico», Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, 4, 2012, p. 725.
3 Sapendo che l’autore ha rinunciato a aggiornare la nota bibliografica, provvederò qui di seguito a segnalare qualcuno dei suoi articoli pertinenti: [1] «Sulla struttura macro-retorica del Filebo», in P. Cosenza (ed.), Il Filebo di Platone e la sua fortuna, Napoli 1996, 321-352; [2] «El momento epíkairos (kairós ‘espontáneo’, kairós negativo, kairós inducido, contra-kairós)», Analogía Filosófica [México] 10, 1996, 3-29; [3] «Insidie della comunicazione ‘seria’ (ad es. del libro di filosofia) ed esercizi di analisi», in L. Rossetti O. Bellini (eds.), Retorica e verità. Le insidie della comunicazione, Napoli 1998, 45-74; [4] «La rhétorique de Socrate», in G. Romeyer-Dherbey J.B. Gourinat, Socrate et les Socratiques, Paris 2001, 161-185; [5] «Zenone di Elea, maestro in comunicazione», in F. Cortés Gabaudan - Y.J.V. Méndez Dosu (eds.), Dic mihi, musa, virum. Homenaje al Profesor Antonio López Eire, Salamanca 2010, 595-602; [6] Le dialogue socratique, Paris 2011.
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