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L’interesse della moderna storiografia filosofica per le vicende del processo e della morte di Socrate, avvertiti come gli eventi cruciali della vita del filosofo e delle successive immagini che ne sono state trasmesse, è un’eredità degli antichi. Senofonte, come Platone e altri autori le cui opere sono andate perdute, scrive una difesa postuma per scagionare Socrate dalle accuse per cui, nel 399 a.C., il filosofo fu processato e condannato a morte dalla restaurata democrazia ateniese.
Con il proposito di dar conto delle vere ragioni di quella “superba fierezza” che a parere di molti animò i discorsi di Socrate in tribunale, Senofonte ci consegna dunque la sua Apologia, offrendo al contempo una propria interpretazione della filosofia e dell’etica socratiche. Quello che ne emerge è un ritratto composito, in cui elementi distintivi del Socrate senofonteo si uniscono a tratti che lo rendono riconoscibile ai lettori dei dialoghi platonici. Sulla base di una nuova traduzione del testo e mediante un confronto costante con l’Apologia di Platone, il saggio introduttivo mira a distinguere e a interpretare queste componenti, indagando i principi etico-filosofici a cui il Socrate senofonteo si appella per costruire la propria difesa dalle accuse formali empietà e corruzione dei giovani ma anche, su un piano più generale, per giustificare il proprio insegnamento.
Con l’esplicita esaltazione di virtù quali l’autosufficienza e il dominio di sé, l’adesione alle pratiche cultuali della polis e il richiamo costante a una vita trascorsa senza commettere ingiustizia, il Socrate senofonteo si auto-rappresenta nell’Apologia come un filosofo (e cittadino) meno atopos rispetto alla sua controparte platonica, ma non per questo meno esemplare. E precisamente di un Socrate di esemplare giustizia, libero dai desideri del corpo e liberale nell’insegnamento, “utile” e saggio, Senofonte ci offre una testimonianza a cui vale la pena tornare.
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