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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 394

Salvatore Bravo

Pratica filosofica e politica in Costanzo Preve.

ISBN 978-88-7588-293-8, 2021, pp. 216, formato 170x240 mm., Euro 20 – Collana “Divergenze” [77].

In copertina: Immagine “straniante” di Erwin Piscator che entra nel Teatro Nollendorf, Berlino, 1929.

indice - presentazione - autore - sintesi

20,00

Introduzione

«Considerandomi anche un allievo indipendente di Marx

(non solo, ovviamente, guai all’uomo di un solo libro,

sia esso la Bibbia, il Corano o Marx!)».

Costanzo Preve

«Al principio di tutto c’è l’indignazione.

In generale l’indignazione è preceduta da una vaga irritazione,

ma quando l’irritazione si cristallizza in indignazione

allora si ha la genesi

delle rivelazioni religiose

e delle coerentizzazioni filosofiche».1

Costanzo Preve

Costanzo Preve è stato filosofo inattuale e divergente rispetto al proprio tempo, la “boria dei dotti” lo ha ignorato scegliendo la consonanza con il proprio tempo. La “Repubblica dei dotti” insegna la filosofia avversandola, ne svuota il valore veritativo e critico per renderla ancella del potere, messaggera colta della volontà di dominio. Costanzo Preve ha vissuto la filosofia nella sua pienezza critica libero dai vincoli del potere, è stato il filosofo del nostro tempo.

La filosofia filosofica2 come l’ha definita Preve è il dialogo tra amici, è la pratica della verità con il medium del linguaggio. Nella verità gli amici si incontrano, si ritrovano nelle categorie ontologiche e logiche. Le tensioni del dialogo dialettico non li divide, ma li unisce nel vincolo del logos. La verità dialogica della filosofia filosofica non è divisoria, ma in quanto comunitaria realizza la buona vita e quindi la felicità. La filosofia politica è invece il particolare, divide, individua il nemico, l’amico, l’alleato, l’avversario, è orientata verso il particolare. Solo la riconciliazione tra filosofia filosofica e filosofia politica è la chiave di volta della buona vita nella comunità democratica, in cui particolare ed universale sono in feconda tensione. La decadenza dell’Occidente è nella dispersione atomistica, nella rinuncia alla ve­rità per la cultura del fare (si noti bene nel linguaggio della destra e della sinistra campeggia “la cultura del fare”, “del concreto” senza verità).

Costanzo Preve ha problematizzato il proprio tempo, divergendo rispetto al conformismo che ha obliato con il prassismo la verità, ha sostituito la metafisica con la gnoseologia che, in quanto accertamento conoscitivo, è fonte di legittima­zione del capitalismo assoluto. Si conosce il dato, lo si descrive e matematizza, lo si usa, ma la verità resta occultata nella cultura del fare, del risultato privo del fondamento metafisico ed assiologico.

Alain Badiou in Metafisica della felicità reale definisce la felicità esperienza di verità. Costanzo Preve riconosce a Badiou di aver riportato nelle accademie il concetto di verità, benché in Badiou la verità non corrisponda all’essenza, ma alla soggettività autentica.

Ancora una volta si conferma la dissonanza tra Costanzo Preve e gli ambienti accademici. Il mondo accademico resta tra le spire del relativismo, non osa disancorarsi dal conformismo di struttura, declina la verità all’interno del soggettivismo. Il parallelo con Badiou vuol essere sintomatico della radicalità della postura filosofica di Costanzo Preve rispetto alle accademie. Senza metafisica non si può trascendere il nichilismo del modo di produzione capitalistico:3

Il concetto di verità di Badiou è del tutto insostenibile. Chi declina questo concetto può farlo o in modo “scientifico”, ed in questo caso la verità è l’avvicinamento asintotico interminabile ad una verità “reale” assoluta come somma di progressive verità relative di avvicinamento temporale (Geymonat, Lenin, Mao, eccetera), o in modo “filosofico”, ed in onesto caso la verità è la conformità progressiva ad una essenza di cui è titolare l’Uomo (maiuscolo, ovviamente). Ma Badiou, allievo di Althusser e Foucault, non può accettare questo “essenzialismo”, che presuppone una teoria normativa della natura umana in generale. Quindi la verità è una procedura di costruzione locale del Vero [...]. In sostanza la verità è semplicemente l’arbitrio soggettivo di quanto Badiou ritiene “vero”. Credo che il solipsismo sia raramente giunto ad un punto tanto esplicito.

La metafisica quale risposta alla volontà di potenza che travaglia l’Occidente globalizzato, è l’urgenza colta anche da autori che si muovono in prospettive differenti rispetto a Costanzo Preve. La categoria della totalità tace in filosofia sepolta dal relativismo accademico, eppure è l’unica categoria che può riattivare il discorso critico e logicamente argomentato. L’abiura della categoria della totalità per il facile relativismo ha delegittimato la filosofia e rafforzato il controllo dell’economia sulla politica. Anche Emanuele Severino constata l’avanzare del nichilismo e della volontà di potenza, per cui il filosofo deve mettersi in ascolto del proprio tempo storico, altrimenti tradisce la vocazione filosofica, la quale è storica e veritativa. Non è un ascolto generico, ma mediato dal metodo filosofico e dalle sue cate­gorie, senza il metodo filosofico e la finalità veritativa la filosofia si confonde con altre discipline, e le imitazioni sono sempre concettualmente deboli. La filosofia ha il compito di rispondere alle tragedie dell’etico che si dipanano innanzi a noi, non può subirle o registrarne la presenza, deve pensare il proprio tempo per capire i processi storici in atto, altrimenti la medicina può essere peggiore del male:4

Ma la volontà di potenza, evocando il divenire, sprigiona le forze imprevedibili del divenire, dalle quali essa si difende evocando la “necessità” degli immutabili che dominano e anticipano il divenire. È in questo senso essenziale (ed essenzialmente riconosciuto a Nietzsche) che nella storia dell’Occidente la medicina è stata peggiore della malattia “peggior”, dal punto di vista della volontà di potenza, giacché la medicina dell’immutabile ha finito col rendere impensabile ed impercorribile quello stesso campo di dominio in cui il divenire consiste, e che in quanto imprevedibilità assoluta, determina sì la malattia della minaccia, ma che agli occhi stessi della volontà di potenza che evoca le “necessità” dell’Occidente, è anche l’evidenza suprema.

Severino utilizza la categoria della totalità dell’essere, mostra con la sua audace proposta che la filosofia senza totalità e verità è solo un sapere dimentico di se stesso, e si potrebbe aggiungere “addomesticato”. La metafisica in Emanuele Severino sfocia in un misticismo intraducibile nella prassi, per cui non è ostacolato dalle accademie e dal circo mediatico, in quanto sfuma in una nebulosa metafisica. Senza la deduzione sociale delle categorie l’essere diviene una categoria astratta ed incomprensibile e la prassi ne è inibita. L’essere per Costanzo Preve è metafora della comunità, per cui la metodologia filosofica ne permette la comprensione e ciò è l’indispensabile premessa per la prassi. In Costanzo Preve vi è l’impegno e la passione politica: la prassi coniugata con la teoria è il fondamento per trascen­dere il nichilismo e la volontà di potenza della tecno-economia. Il circo mediatico accoglie e fa risplendere le filosofie innocue per il sistema. Vi è filosofia, dunque, dove vi è congedo dalle mode del mondo, ma l’atto del congedo si concretizza nel concetto: solo razionalizzando mode ed ideologie è possibile smarcarsi dai semplicismi per fondare la verità.

Pensare il proprio tempo significa mettere in atto lo spirito di scissione, allontanarsi volontariamente dagli stereotipi, dalla falsa verità dell’ideologia e del circo mediatico. La prassi si attua con il linguaggio filosofico, il quale senza rinunciare al linguaggio specifico è condiviso con un pubblico ampio. La filosofia è attività veritativa e politica, vi è filosofia dove vi è comunità umana che pone finalità on­tologiche ed assiologiche. In Costanzo Preve vi è la compresenza di più registri linguistici, poiché la filosofia è per la comunità, non deve rinchiudersi in nicchie di privilegio asfittico. La filosofia è l’aureola dell’umano, è il viaggio intorno all’essere umano, pertanto i filosofi insegnano l’ascolto, e quindi le critiche non sono che mezzi per umanizzarsi e per ritrovarsi nel logos: la filosofia conosce i concetti (Begriff) e non la chiacchiera (Gerede):5

La filosofia non è una materia di insegnamento, non è un campo del sapere che si trovi da qualche parte fuori dell’essere umano essenziale. La filosofia è intorno all’uomo giorno e notte, così come lo sono il cielo e la terra, anzi ancor più vicini di questi, allo stesso modo del chiarore che sta tra cielo e terra, ma che l’uomo quasi sempre trascura di vedere perché ha a che fare solo con ciò che gli appare nel chiarore. Talvolta, quando fa buio, l’uomo fa esplicitamente attenzione al chiarore intorno a lui. Ma proprio allora non se ne cura più, perché sa che il chiarore ritornerà.

Costanzo Preve ha vissuto la sua parabola filosofica situandosi oltre il generale atteggiamento postmodernista, il quale fatalmente constata e descrive con la fine delle meta-narrazioni l’inizio di un’epoca, in cui i saperi sono solo valori di scambio. La tecnocrazia e l’economia hanno sostituito la verità e determinano la pro­duzione/selezione/trasmissione dei saperi. Non c’è spazio per la verità, ma solo per il plusvalore, per la mercificazione fine a se stessa, le grandi domande cadono, lasciano spazio alla miseria delle risposte ideologiche:6

L’antico principio secondo il quale l’acquisizione del sapere è inscindibile dalla formazione (Bildung) dello spirito, e anche della personalità, cade e cadrà sempre più in disuso. Questo rapporto fra la conoscenza ed i suoi fornitori ed utenti tende e tenderà a rivestire la forma di quello che intercorre fra la merce ed i suoi produttori e consumatori, vale a dire la forma valore. Il sapere viene e verrà prodotto per essere venduto, e viene e verrà consumato per essere valorizzato in un nuovo tipo di produzione: in entrambi i casi, per essere scambiato.

Con la rimozione sociale della verità e della categoria della totalità i giochi linguistici divengono la pratica di una nuova pluralità liberatrice delle differenze senza verità. Per i postmodernisti la fine delle grandi narrazioni è “un’opportunità epocale”, il tramonto della metafisica è il sorgere di un nuovo mondo. La realtà è altra, poiché tutto si dissolve nei “giochi linguistici”, si favorisce l’integralismo dell’economicismo con l’ateismo laicista. Costanzo Preve ha decostruito il presente al fine di teorizzare un nuovo soggetto politico per il futuro senza nessun rifiuto per la tradizione filosofica, anzi l’esperienza marxiana è risemantizzata, è stato libero discepolo di Marx, lo ha liberato dall’economicismo marxista che ne ha inibito il potenziare politico e filosofico. Ha ripensato la metafisica greca, in particolare Aristotele, in quanto filosofare è riconcettualizzare in forme nuove l’antico ren­dendolo “presente”. Ha deviato dal marxismo ritornando a Marx e all’Idealismo. Costanzo Preve è stato un comunitarista, nel senso che condivide con i comunitaristi l’attualizzazione di Aristotele e l’avversione filosofica verso Kant e Nietzsche, ma se ne discosta per l’impostazione concettuale e per il metodo. Preve legge la storia della filosofia secondo il paradigma della comunità, per cui la filosofia è intrinsecamente comunitaria. La storia della filosofia è il deposito vivo della verità comunitaria dell’umanità e della sua avventura nella storia degli uomini e delle donne.

L’oggetto del pensiero di Marx non è l’economia, ma è la riproduzione complessiva della totalità sociale storicamente data considerata da un punto di vista olistico.7 Non a caso gli scritti di Marx trattano del “modo di produzione capitalistico” e non di semplice capitalismo. In Marx la differenza tra crematistica ed economia è fondamentale, non a caso l’autore più citato nel primo libro del Capitale è Aristotele. Marx è l’ultimo degli idealisti, la teoretica di Preve si è confrontata con tradizioni e filosofie per rielaborarli in una nuova metafisica capace di rispondere alla deri­va crematistica presente. Ha testimoniato la sua autonomia contro i dogmi delle accademie e dei partiti confrontandosi dialetticamente con i “padroni del sapere” socialmente riconosciuti per denunciarne la postura ideologica. La sua vita è stata cittadinanza del pensiero critico creativo:8

Il mio percorso può dunque essere interpretato (almeno per me) come l’elaborazione dialettica, o, se vogliamo, la decostruzione razionale di un’eresia di un’eresia (molto più maoista che trotskista). Non sono certo stato il solo a farlo nel mezzo secolo che si sta ultimando (1960-2010). So bene che molti dei miei coetanei sono per la maggior parte rimasti fedeli alla loro vecchia “eresia di un’eresia” di riferimento: trotskista (come Daniel Bensaïd), o maoista (come Alain Badiou). Credo che la mia relativa superiorità su questi due rispettabili filosofi-militanti (che mi si perdoni la mia presunzione) venga dall’aver saputo radicalizzare meglio la mia decostruzione, non restando sulla superficie, ma giungendo a discendere fino alle ultime basi metafisiche che avevano primariamente costituito l’eresia (da Marx), e in seguito l’eresia dell’eresia (trotskismo e maoismo). Se infatti ci si ferma a mezza strada, non si può evitare di essere respinti verso l’origine da una specie di gravitazione, una catastrofica fatalità ideologica di appartenenza e di identità.

L’opacità del presente esige un difficile riorientamento verso la verità, rifondare la politica non può che avvenire mediante il ristabilimento dell’essenza umana, altrimenti si è condannati all’opacità come l’ha definita Habermas: “die neue Unübersichtlichkeit”, ci si può adattare ed essere i cantori del tragico senza speranza, oppure si può “osare” divergere dal percorso. Costanzo Preve con il comunitarismo democratico ha elaborato la sua risposta, da filosofo, che opera per la verità. Utilizza il termine “riorientamento gestaltico”, il cui significato è razionalizzare la propria implicazione per poter uscire dalla caverna.

Il punto prospettico previano è oggettivo, mantiene l’oggettività nello sforzo etico (Streben) di approssimarsi alla verità, senza la quale ogni alternativa resta all’interno dello stesso territorio linguistico del modo di produzione capitalistico. La verità non si fabbrica e non si possiede, ci si accosta ad essa senza renderla proprietà personale. L’alienazione dell’epoca del capitalismo consiste nella ipercinetica temporalità che sostituisce il logos con il calcolo e con l’accumulo di esperienze giustapposte senza la mediazione del logos, e dunque prive di significato:9

Il senso di alienazione di sé rimanda al fatto che viviamo in un mondo di velocità sfrenata il quale ci diventa sempre più estraneo, impenetrabile, insoddisfacente poiché cancella ogni vera appropriazione personale. Possediamo sempre più libri o DVD, ma non ci prendiamo il tempo di “digerirli”; navighiamo rapidamente sulle pagine della rete senza leggere nulla fino in fondo; facciamo zapping su qualunque cosa; guardiamo la televisione per ore senza trarne veramente piacere; non ci prendiamo il tempo di imparare perché questo tempo divora troppo tempo; ci sentiamo impotenti di fronte alla complessità degli oggetti tecnologici i cui modelli cambiano in continuazione.

L’iperattivismo cinetico comporta l’alienazione del linguaggio. L’atomismo sociale sostenuto dal clero orante degli intellettuali diseduca al pensiero mediante l’alienazione del linguaggio. La povertà lessicale, la scomparsa del congiuntivo quale modo della possibilità, per l’indicativo, modo della certezza, l’uso dell’anglo-italiano sono i mezzi con cui i nuovi mediatori simbolici10 negano la comunicazione per instaurare l’alienazione del linguaggio, divengono divisori, ovvero “diabolici”11 nel significato etimologico del termine. Durante il nazismo si usavano programmaticamente parole straniere in modo che le masse usassero parole di cui non comprendevano il reale significato. Senza lingua non vi è pensiero, ma solo attività fonatoria fine a se stessa, il potere rende le parole incomprensibili, ne distorce i significati per eternizzarsi. Se i significati sono persi, il mondo diventa un testo incomprensibile:12

Si farebbe però torto al Fürher se si attribuisse la sua preferenza per le parole straniere solo alla vanità e alla coscienza delle proprie deficienze. Hitler conosce perfettamente (e ne tiene conto costantemente) la psicologia della mas­sa che non pensa e va mantenuta incapace di pensare. La parola straniera fa impressione, tanto più quanto meno viene compresa; proprio perché non viene compresa fuorvia, stordisce, soverchia il pensiero.

Ogni totalitarismo manipola le parole, le rende dosi di arsenico con cui avvelenare le relazioni umane e anestetizzare le coscienze. Il potere diventa dominio e totalitarismo con la negazione delle parole, con la loro manipolazione: il pensiero è linguaggio, se quest’ultimo è falsificato nei significati e negato nella sua essenza comunicativa, la percezione del mondo è distorta, l’irrazionale veicola violenza e sfruttamento. Il capitalismo assoluto ha il suo guinzaglio linguistico con cui effettuare le sue battaglie per ridurre i popoli in massa informe, le parole frecciate sono ovunque nell’etere, come nei manifesti pubblicitari, nei video e nelle immagini, occupano ogni spazio ed ogni tempo. Il potere prima ancora della vita controlla le parole per fabbricare pensieri orientati al capitale. Se le parole cadono dall’alto delle autorità mediatiche asservite al solo economicismo, i pensieri non potranno essere che calcoli, algoritmi dell’utile senza logos. L’arsenico ha lo stesso effetto dell’acido, le parole del modo di produzione capitalistico dissolvono le personalità, attaccano la vita alla fonte per forgiare personalità senza individualità e, dun­que, pronte ad ogni pericoloso integralismo:13

Ma la lingua non si limita a creare e pensare per me, dirige anche il mio sentire, indirizza tutto il mio essere spirituale quanto più naturalmente, più inconsciamente mi abbandono a lei. E se la lingua colta è formata di elementi tossici o è stata resa portatrice di tali elementi? Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere più effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico.

L’oscurità della lingua confonde e spersonalizza, il senso del mondo è riposto nelle parole e nella loro pratica consapevole, se sono sostituite dal lessico indotto il significato è sostituito dalla fascinazione immaginaria della parola. La gabbia d’acciaio in cui confinare le soggettività è il linguaggio. Sono sbarre d’acciaio non visibili, ma che inducono il soggetto a costruire la sua prigione con la pratica delle parole. Si mette in atto un inganno a danno del soggetto che scambia per libertà con il libero uso delle parole fabbricate dall’industria del consenso. La contemporaneità è segnata dalla negazione di ogni atteggiamento filosofico, ovvero l’arte di creare con i concetti nuovi mondi. Il logos è sostituito con la fantasia che derealizza, si diviene soggetti passivi del mondo: i popoli sono trasformati in plebi oranti.

La denuncia del circo mediatico e del linguaggio nichilistico è stata una costante dell’opera di Preve, poiché le parole creano “mondi” e “relazioni”. Le parole del capitalismo vertono sull’illimitato, disegnano un mondo di violenza e di negazione. Il circo mediatico organizza l’offerta formativa, dei prodotti e degli stili di vita e nello stesso tempo si impone come democratico, come luogo della domanda. In realtà fabbrica i desideri, organizza il mercato,14 è il demiurgo che deve dare forma ai clienti mediante le parole. In questo clima regna il bavaglio fonatorio. Non resta che la solitudine del corpo a segnare la presenza nel mondo. Senza linguaggio concettuale non vi è che la violenza delle pulsioni e degli appetiti senza limiti, poiché necessitano del linguaggio per assumere forma e finalità. La lingua vissuta e compresa, invece, è il veicolo di formazione della persona, mentre la lingua manipolata destruttura la personalità reificandole. L’atomizzazione è perversione della lingua che taglia con i significati i vincoli identitari e comunitari. La parola unisce nella comunicazione per creare concetti. Il dispositivo del potere utilizza gli intellettuali per legittimare “il nuovo corso della lingua del mondo”. La svalorizzazione della persona è parallela alla destrutturazione della lingua. Gli intellettuali favoriscono l’alienazione linguistica per congelare la capacità significante umana.15 Il nichilismo “fondamento della destra e della sinistra” nega la natura umana, pertanto ogni manipolazione è possibile in assenza del fondamento ontologico ed assiologico. L’essere umano è nella stessa condizione descritta da Kafka in Una relazione per un’accademia, in cui una scimmia per sopravvivere ha dovuto rinunciare alla sua natura per imitare l’essere umano, alla fine la scimmia non è più tale, ma non è neanche un essere umano, è solo un esperimento, una creatura sussunta al potere, quindi ha perso se stessa, vive, ma è niente. Per sopravvivere ha scelto di diventare parte della società dello spettacolo.

Vi è politica solo se l’essere umano pensa e definisce la propria natura, altrimenti non è che il saltimbanco della storia e del mercato. Sono presenti nel testo riferimenti al filosofo Massimo Bontempelli con cui Costanzo Preve ha condiviso una parte del suo percorso di ricerca, ciò testimonia che vi è filosofia, solo in presenza di dialogo e collaborazione concettuale. I due filosofi dimostrano il grande assente dell’epoca del capitalismo assoluto: il lavoro dello spirito. L’oligarchia tecnocratica si caratterizza per le capacità tecniche ed economiche, per l’alleanza in nome del plusvalore, ma i risultati ottenuti non salvano dal disastro umano ed ambientale. Senza il lavoro dello spirito che elabora le finalità etiche e politiche, non vi è futuro, ma solo il lento affondare nella catastrofe, malgrado i risultati strabilianti della tecnica. Con il nichilismo acquisitivo lo sguardo è solo predatorio ed individuale. È il mezzo con cui si inquadra la preda, la si pone in misurata prospettiva per divorarla. Le tecniche evolute di controllo e vendita non sono che la forma amplificata dello sguardo del predatore. La decadenza dell’Occidente globalizzato è nello sguardo predatorio incapace di comunicazione e politica, non vi è politica che nell’ascolto e nella dialettica tra le differenze:16

L’occhio del predatore, invece, indica uno scopo. Già per il fatto che il paio d’occhi, nei grandi animali da preda come nell’uomo, può essere fissato su un punto dell’ambiente, è possibile intimidire la vittima. Già nello sguardo del nemico è contenuto, per la vittima, l’inevitabile destino, il balzo dell’istante successivo. Ma il fissare degli occhi diretti in avanti e parallelamente, significa il sorgere del mondo nel senso che è proprio dell’uomo, come immagine, come mondo davanti ai suoi sguardi, come mondo non solo della luce e dei colori ma, soprattutto, della lontananza prospettica, dello spazio e dei movimenti che hanno luogo nello spazio, e degli oggetti situati in determinati luoghi. In questo modo di guardare, che è proprio solo dei predatori più nobili (gli erbivori, e fra questi per esempio, gli animali ungulati, hanno occhi piantati ai lati della testa, ciascuno dei quali riceve una impressione diversa, non prospettica), si rivela già l’idea del dominio. L’immagine del mondo dominato dall’occhio. L’occhio del predatore determina le cose secondo la loro posizione e distanza. Esso conosce l’orizzonte. Valuta, in questo campo di battaglia, gli oggetti, le condizioni di attacco.

L’elettore non è più cittadino, ma preda elettorale, plusvalore nel teatrino della politica. Lo sguardo predatorio è strutturale, è il trionfo dell’insocievolezza, è il Gestell che tutto accomuna. La politica muore nella società della tecnica e del digitale, poiché la comunità è sostituita dalla predazione generalizzata. Il lavoro dello spirito è stato sostituito dall’occhio che guarda e calcola la preda nella forma del consumatore o dell’elettore. Il narcisismo dilagante non è che la patologia dello sguardo del guerriero che si tramuta in preda. Sotto le macerie di tali movimenti oculari resta la politica incapace di rispondere ai bisogni delle comunità. In assenza di senso condiviso e di scopi il nichilismo nell’attuale fase strutturale si impone nella forma dell’occhio predatore senza spirito e scopo, il saccheggio delle risorse del pianeta avviene dietro la cortina di slogan ecologici e libertari della destra e della sinistra.

Il lavoro dello spirito è creatività emancipatrice con cui ci si sottrae all’assimilazione, al vivere irrilevante per diventare parte attiva e pensante della comunità. Nel lavoro dello spirito l’altro è soggetto e non oggetto da saccheggiare. La partecipazione mediata dalla razionalità è la libertà con la quale si determinano i fini senza dogmatismo e titanismo. Senza il concetto non vi è politica, non vi è prassi, ma solo asservimento ed assimilazione alle direttive degli oligarchi. Il pensare emancipatore si caratterizza per la complessità, per la vitalità agente, in cui la teoria si coniuga con la prassi, pertanto il filosofico diviene pensare politico Necessitiamo di “guastafeste”, secondo la metafora di Carl Schmitt in Amleto o Ecuba, ovvero di pensatori che rompono l’asfissia del conformismo per riportare la forza profonda del pensiero veritativo senza la quale non vi è politica, ma solo logoramento nell’adattamento perenne. Il nichilismo della tecnocrazia feticizza i mezzi, inoculando nelle istituzioni e nella vita pubblica il male di vivere nella forma dell’indifferenza. In tale contesto ogni posizione politica riproduce in modo simile lo stesso sistema ammutolendo il pensare emancipativo, annichilendo la conoscenza di sé per formare individui seriali. Il lavoro dello spirito è inibito dalla destrutturazione dei corpi medi della democrazia, perché vi sia politica e partecipazione è necessario che essi siano l’anima e la vita della democrazia. Il nichilismo del teatrino della politica con la sua ideologia atea ed anticomunitaria, fa del “peana” all’individualismo il mezzo con cui smantella la politica e le sue pratiche. Se l’essere umano è solo un atomo consumante non necessita della comunità nelle sue forme plurali: dalla famiglia ai corpi medi, fino ad arrivare allo Stato ed al genere umano. Dobbiamo a Costanzo Preve l’averci indicato e dimostrato le contraddizioni della gabbia d’acciaio. Bisogna riprendere il cammino dai “no concettuali” che sono stati detti. La filosofia di Costanzo Preve è radicale nella critica, si distingue dalle critiche di media portata con le quali il potere perpetua se stesso. Le teorie di media portata criticano senza radicalità, sono l’ombra della filosofia, sono la sua pallida copia con cui il dominio si autolegittima presentandosi come plurale e democratico:17

Ma cosa significa esattamente teorie di media portata? Significa che prendono certamente atto dell’insufficienza descrittiva delle teorie tradizionali, ma non osano andare fino in fondo, si fermano per opportunismo a mezza strada, e così ritardano per decenni quelle che il grande epistemologo americano Kuhn ha correttamente definito “rivoluzioni scientifiche”.

La filosofia veritativa è radicale, ha il coraggio della verità senza la quale ogni comunità è degradata a recinto di luogo di scambio.

In conclusione un saggio sulla filosofia di Costanzo Preve non è operazione semplice, vi sono nuclei tematici costanti, ma il numero notevole di testi e di articoli su non poche riviste online a cui bisogna aggiungere gli interventi e le interviste su youtube rendono la ricostruzione genetica del pensiero talvolta ardua. Spesso nelle opere di Costanzo Preve vi sono improvvise aperture di campi di ricerca che si richiudono repentinamente. L’impegno è stato far emergere i nuclei tematici essenziali e ricostruire la prassi filosofica di Costanzo Preve, non si ha, in alcun modo, la pretesa di esaurire la ricostruzione teoretica di un pensatore complesso ed a volte poco sistematico. Il lettore perdonerà eventuali imperfezioni.

1 C. Preve, Capitalismo senza classi e società neofeudale, Petite Plaisance Pistoia 2021, pag. 12.

2 C. Preve, Del buon uso dell’universalismo, Settimo Sigillo, Roma 2015, pag. 33.

3 C. Preve, Comunismo fra idea e storia, Torino 2011, paragrafo 7.

4 E. Severino, La struttura originaria, Adelphi, Milano 1981, pag. 97.

5 M. Heidegger, Introduzione alla filosofia. Pensare e poetare, Bompiani. Milano, 2018, pag. 45.

6 J. F. Lyotard, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 2019, pag. 12.

7 C. Preve, Il marxismo e la tradizione culturale europea, Petite Plaisance, Pistoia 2021, pag. 25.

8 C. Preve, Il testamento politico- filosofico di Costanzo Preve, in Sollevazione.

9 G. Lipovetsky, Piacere e colpire, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019, pag. 347.

10 Il termine “simbolo” deriva dall’unione del prefisso σύμ- (sym-), “insieme” con il verbo greco βάλλω (ballo) ”getto”, letteralmente significa quindi “mettere insieme”.

11 Diabolico dal greco antico διαβάλλω (diabàllo) da cui il termine moderno “diavolo”, colui che divide per antonomasia.

12 V. Klemperer, LTI. La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, pag. 302.

13 Ibidem, pag. 32.

14 C. Preve, Il ritorno del clero, Petite Plaisance, Pistoia 1999, pag. 21.

15 C. Preve, Storia critica del marxismo Dalla nascita di Karl Marx alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco, La città del Sole, Napoli 2007, pagg. 111-112.

16 O. Spengler, L’uomo e la tecnica. Ascesa e declino della civiltà delle macchine, Prato edizione, Prima edizione digitale, febbraio 2015, pag. 30.

17 C. Preve, Capitalismo senza classi e società neofeudale, Petite Plaisance. Pistoia 2021, pag. 41.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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