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Il 1998 è un anno particolarmente opportuno per iniziare un discorso critico complessivo sul nichilismo italiano, la sua origine storica ed ideologica, le sue divisioni interne, la sua dinamica di sviluppo. Il nichilismo filosofico italiano, vogliamo dirlo subito con chiarezza, non è un fenomeno da baraccone o una moda giornalistica. Si tratta di una cosa molto seria, ed anzi in senso assoluto di una delle correnti filosofiche più importanti nel panorama del Novecento culturale italiano. Parlando pacatamente, e pesando bene le parole, si tratta di un fenomeno complessivamente serio ed importante come lo fu il neoidealismo italiano di Croce e di G. Gentile. Il lettore potrà forse stupirsi di una valutazione tanto favorevole, avanzata da chi non si riconosce in questa corrente di pensiero, la respinge radicalmente e ne auspica esplicitamente il superamento. Ma la valutazione storiografica della rilevanza di una corrente filosofica non ha nulla a che vedere con la scelta filosofica personale di un pensatore. I criteri, per l’appunto, sono di tipo storiografico, e prendono in considerazione l’ampiezza, l’articolazione interna, l’influenza sociale e culturale di una determinata corrente di pensiero. In questo 1998 l’intellettuale-massa italiano, il lettore delle pagine culturali dei giornali, lo spettatore “colto” dei dibattiti televisivi, l’insegnante diviso fra degradazione crescente del suo ruolo sociale e velleità di rinascita sulla base della falsa onnipotenza e della concreta impotenza della “scuola-fai-da-te”, eccetera, è in media “nichilista” almeno come più di mezzo secolo fa era “crociano”.
Il nichilismo non deve dunque diventare oggetto di spiritose stroncature di costume, ma deve essere preso molto sul serio. Recenti pubblicazioni, che richiameremo ovviamente nella nota bibliografica in coda a questo saggio, ci invitano a farlo. È un peccato che queste pubblicazioni, in piccola parte anche per loro colpa, vengano fagocitate dalla chiacchiera giornalistica sugli schieramenti di destra e di sinistra nell’Italia dell’Ulivo. Il nichilismo debole di G. Vattimo è di destra, mentre il nichilismo forte di M. Cacciari è di sinistra, o non è piuttosto l’inverso? Ed ancora, è più di sinistra un nichilismo laico, postmoderno, debole e tranquillizzante, oppure un nichilismo più aperto all’esperienza religiosa, forte ed inquietante?
Nello stesso momento in cui pongo queste stupide domande, mi vergogno di fronte al lettore di queste note. In altra sede ho respinto radicalmente la pertinenza della dicotomia “destra”/”sinistra”, e lo ribadisco con forza anche qui. Tuttavia, se c’è un campo in cui questa dicotomia è particolarmente fittizia, pretestuosa ed inesistente, è proprio il campo delle oggettivazioni universalistiche, come la filosofia, l’arte, la scienza e la letteratura. Eppure, sono gli stessi pensatori “nichilisti” italiani che, su questo punto, danno corda alla curiosità classificatoria dei giornalisti, dal momento che la maggior parte di loro invece accetta integralmente la pertinenza della dicotomia destra/sinistra, e dunque nessuno di loro vuole essere classificato a “destra”, ma vogliono tutti invece essere fieramente riconosciuti come i “veri” pensatori di sinistra.
Tutto ciò avviene per tristi ragioni di congiuntura storica. Mentre al tempo della Prima Repubblica (1948-1992) il potere economico e politico stava maggiormente nelle mani della Democrazia Cristiana, ed il potere culturale invece gravitava maggiormente nell’area del defunto Partito Comunista Italiano e dei suoi alleati socialisti, nella presente incipiente Seconda Repubblica l’alleanza di centro-sinistra denominata Ulivo tende ad unificare il potere politico, il potere economico ed il potere culturale, e gli intellettuali si adeguano, anche perché gli “oppositori”, da S. Berlusconi a U. Bossi, vengono percepiti dall’intellettuale-massa conformista come esponenti della non-cultura, ed allora l’adesione simbolica all’Ulivo, o meglio ad un generico ulivismo, appare come uno status symbol culturale obbligato. La stragrande maggioranza dei filosofi “nichilisti” attivi è dunque tendenzialmente di area ulivista, ed ancor più precisamente di area PDS. Volendo scherzare un poco, ma non poi troppo, si potrebbe dire che la separazione fra nichilisti “deboli” e nichilisti “forti” duplica la scissione fra un PDS appagato ed un PDS inquieto, un PDS soddisfatto ed un PDS tormentato. Ma vogliamo rassicurare subito il lettore. Non ci metteremo su questa strada buffonesca. L’ulivismo è un fenomeno storico tragicomico da analizzare in altra sede e con altri strumenti. Qui è bene tornare al nostro proposito iniziale: prendere il nichilismo italiano sul serio. In un saggio breve come questo, in cui lo spazio è programmaticamente limitato, è indispensabile non perdersi troppo nei dettagli, e seguire una linea di ragionamento che non confonda il lettore, ma lo aiuti ad impadronirsi dei termini teorici essenziali della questione.
Lo faremo sviluppando il ragionamento in tre momenti successivi. In primo luogo partiremo dalla situazione culturale italiana attuale, in cui l’egemonia filosofica del nichilismo è un fatto, ed è un fatto che si è consolidato ed irrobustito gradualmente negli ultimi due decenni, a partire dalla metà degli anni Settanta circa. Cercheremo di fare alcune ipotesi di spiegazione di questa crescente egemonia, ipotesi peraltro abbastanza ovvie e di facile comprensione. In proposito, è importante capire che le odierne tensioni nel campo del nichilismo italiano, che la chiacchiera giornalistica più recente ha reso palesi, sono un segno di forza e non di debolezza del nichilismo, come a suo tempo era un segno di forza e non di debolezza del neoidealismo la tensione fra Croce e G. Gentile. Già Hegel aveva parlato di segno di “forza” di un partito filosofico il fatto di scindersi, e di poter sopportare la scissione rafforzandosi anziché scomparire. Nello stesso tempo, deve essere chiaro che restando nel circolo delle polemiche fra le varie correnti del nichilismo italiano si continua a girare in tondo senza alcun costrutto. È necessario prendere le distanze dall’immediatezza, ed affrontare il tema del nichilismo con una ben maggiore prospettiva storica e filosofica.
In secondo luogo, dunque, proporrò al lettore una simile presa di distanza storica e filosofica, attraverso tre punti distinti ma interconnessi. Primo, chiarirò che la nozione di nichilismo è una nozione squisitamente filosofica, che concerne dunque il significato esclusivamente filosofico di verità, ed è dunque una nozione il cui uso storico, ideologico e scientifico è fortemente sconsigliato, ed è anzi da evitare con forza. Secondo, distinguerò tre significati storico-filosofici di nichilismo assolutamente distinti, il nichilismo dell’Occidente, il nichilismo della modernità ed infine il nichilismo della contemporaneità postmoderna. L’importanza di questa distinzione è tale che vi dedicherò tre distinti paragrafi. Terzo, sosterrò che la maggior parte degli equivoci, che impediscono di impostare correttamente la questione del nichilismo, deriva dal fatto che il secondo significato è accuratamente evitato o radicalmente frainteso, ed in questo modo si crea un corto circuito interminabile fra il primo significato ed il terzo, che vengono connessi direttamente l’un l’altro senza mediazione alcuna, con il bel risultato di far saltare l’intero “impianto elettrico”.
In terzo luogo, per finire, tornerò alla discussione contemporanea sul nichilismo italiano alla luce del punto di vista espresso alla fine del secondo momento del mio ragionamento: la questione cruciale è il nichilismo della modernità, non il corto circuito fra il nichilismo dell’Occidente e l’attuale nichilismo della contemporaneità postmoderna. Se si assume questo punto di vista, la cui fecondità si tratta appunto di mostrare al lettore, molte cose altrimenti incomprensibili ed oscure “andranno al loro posto”. Sarà allora non solo possibile comprendere la logica delle scissioni e delle differenziazioni interne al nichilismo italiano, ma anche prendere finalmente una posizione radicalmente esterna ad esso. Non dico che sia una cosa facile. Dico soltanto che è una cosa in via di principio possibile.
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