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Una pubblicazione che prende una netta posizione rispetto alle ingiustizie subite dai familiari di molti ricoverati durante la pandemia, condannati a morte in alcune, moltissime, Rsa italiane. Incapacità di affrontare una crisi che ci ha coinvolti tutti, per ragioni storico-culturali molto complesse, ragioni a cui si tenta di dare voce in chiave filosofico-biografica, per spiegare (senza esaurire o ridurre) la più grande tragedia della nostra società contemporanea: quella di essere fragili, e anche quella di essere vecchi. Dando voce a chi ha subito ingiustizia e si trova ancora costretto all’anonimato, ancora costretto in una posizione di estrema impotenza, questa pubblicazione è anche una raccolta di lettere-testimonianze dei familiari e vuole essere un monito. Un monito di speranza e di luminosa instancabile indomabile presenza e anelito alla lotta per la verità di chi la sua verità non può ancora dirla, nel compito della memoria di chi è morto nel silenzio generale. Un monito verso la non indifferenza individuale e collettiva che scuota le coscienze affinché si costruisca un sistema migliore di quello di cui tutti siamo stati inermi e terribili testimoni.
Chi non ha memoria
vive nella menzogna
Adrienne Rich
Fare memoria
La prima parte del lavoro è un atto di memoria collettiva. Raccoglie brevi didascalie introduttive al materiale fotografico fornito dai familiari di alcune fra le vittime decedute all’interno delle Rsa durante la pandemia. È stato costruito grazie al supporto di soggetti differenti (singoli individui, comitati, associazioni) accomunati dall’aver prestato una “testimonianza biografica” qui protetta con l’anonimato. Testimonianze terribili più una eccezione, a riprova del fatto che esperienze “positive” nelle Rsa non sono mancate nemmeno durante la pandemia per quanto infrequenti, appunto, eccezioni. Inizio con una parte dedicata al “fare memoria” ma essa non vuole avere soltanto la funzione di commemorare e, semmai possibile, di restituire un po’ di quella dignità del fine vita totalmente negata. Si tratta anche di combattere il silenzio sotto il quale queste morti sono passate, morti che sono spesso giustificate come inevitabili ovvero morti di cui non si poteva fare a meno. Non è sempre così. Dalle circa 120 storie incontrate, emerge un dato incontrovertibile: la pandemia ha dato il via libera a molte Rsa per attuare comportamenti molto discutibili sul piano etico (se essi siano oppure no criminali è ancora oggetto di vaglio e analisi di alcune procure sul territorio nazionale), a fronte di un sistema di controlli dell’ATS molto debole e pertanto impossibilitato a garantire il rispetto dei più semplici ma fondamentali diritti umani sanciti dalla nostra costituzione. Questa parte del lavoro, pertanto, si ispira e vuole ricordare la lotta per verità e giustizia di tutti i familiari, lotta portata avanti strenuamente anche in momenti di massima emergenza e nonostante l’impossibilità di fermare gli abbandoni, le trascuratezze e le negligenze istituzionali in atto. Vorrei che i lettori, anche solo per un istante, provassero a chiudere gli occhi e immaginare il panico, l’ansia, il senso di impotenza, la paura, la rabbia e il dolore provato dai familiari in quella situazione.
La citazione di Adrienne Rich ripresa da Candiani1 potrebbe apparire distonica o addirittura buffa per chi ha incontrato, nel corso della propria vita, uomini e donne affetti da patologie dell’invecchiamento cerebrale, quali il morbo di Alzheimer. Si sa che, chi conosce individui affetti da queste patologie, deve imparare a percorrere da buon funambolo, un filo veramente sottilissimo tra benessere e verità, tra dispercezione della realtà, allucinazione, e conforto e protezione della fragilità. Voglio precisare proprio attraverso questa parte del lavoro che la memoria è qualcosa di molto delicato e fragile ma vivente, anche nel suo rapporto con la verità, e non di certo riducibile all’elemento episodico, procedurale o autobiografico. La memoria è anche un atto di responsabilità politica e una pratica disciplinata di cura, in quanto supera tutte le singolarità e si dà al mondo come organo sociale collettivo, memoria culturale. Abbiamo tutti il compito di tenere in vita questo tipo di memoria, che, in qualche modo supera (e forse salva e contiene) tutte le altre. Per questo, la lotta a cui questo lavoro dà voce vuole segnalare prima di tutto una presa di coscienza: tenere in vita e nutrire la memoria è oggi un compito della massima urgenza e necessità, qui portato avanti attraverso la divulgazione delle testimonianze e il fare tesoro di ciò che è accaduto affinché non si ripeta più. È proprio in questo senso che, ribadisco, «chi non ha memoria, vive nella menzogna»…
1 C. Candiani, Questo immenso non sapere. Conversazioni con alberi, animali e il cuore umano, Einaudi, Torino 2021.
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