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Cinque anni dopo la prima uscita dell’opera (in due volumi), e le sue vicende travagliate, editore e direttore di collana mi fanno un grande dono: ristamparla e rimetterla in circolazione.
I due volumi ora costituiscono un solo volume. In questa seconda edizione ho introdotto qualche limatura di dettaglio qua e là. Per il resto, mi sono imposto di preservare all’intero e alle sue parti (compresa la bibliografia) i tratti che avevano assunto in prima edizione,1 quando mi sono trovato a scalare una impervia montagna. Infatti nel 2017 mi trovai a proporre un Parmenide davvero molto diverso da quello che da sempre è sulla bocca di tutti oserei dire: più rispondente al vero, sottratto agli stravolgimenti di cui si è fatta responsabile la tradizione esegetica. Non voglio dire che ho fatto centro ogni volta (certo che no!), ma quanto meno ritengo di aver lavorato sodo alla rimozione di moltissimi detriti deturpanti e allo scuotimento di moltissima polvere.
Ad animare queste pagine è stata ed è la convinzione che l’immagine corrente di ciò che Parmenide è stato, ha pensato e ha scritto, aveva ed ha urgente bisogno di un sostanziale riesame. Sono giunto infatti alla conclusione che è molto improprio ravvisare in lui “il grande filosofo dell’essere”. Questa idea del poema, frutto di sedimentazioni millenarie, si traduce infatti in un’immagine non solo riduttiva ma anche distorta e distorcente del personaggio. Perché distorta e distorcente? Perché a essere lasciato fuori campo, quasi che non fosse esistito, c’è tutto un altro Parmenide inequivocabilmente documentato, e questo ulteriore insieme di evidenze ci parla di una mente che scrutava nelle direzioni più diverse conseguendo risultati di prim’ordine.
Due soli esempi. Che sia stato lui a insegnare ‘al mondo’ che la terra è sferica non è un’opinione, e sorprende constatare quanto raramente gli è stato riconosciuto il merito di essersi spinto ad affermare inoltre che sulla terra, dall’altra parte della zona torrida (la zona equatoriale, come noi diciamo), deve esserci una seconda fascia, a clima temperato e abitata, e che esistono gli antipodi. Ancor più inequivocabilmente attestata è poi l’attenzione portata da Parmenide alla condizione soggettiva di chi deve misurarsi con il contrasto fra caratteri sessuali primari e secondari. Che egli ne abbia scritto costituisce un evento eccezionalissimo (chi ne ha riparlato dopo di lui? A distanza di quanti secoli?). E che dire delle dee che popolano il proemio e altre “zone” dell'opera emarginando nettamente i maschi? Possiamo forse presumere che tanta attenzione per il femminile e per chi non è e non si sente solo maschio o solo femmina si sia manifestata per puro caso? Suvvia!
Del Parmenide naturalista bisognava pur risolversi a far parola, non senza cercar di capire come possa ridefinirsi un insieme allorché il lato emarginato dei suoi insegnamenti riacquista il diritto alla visibilità (una sorta di ricostituito diritto di cittadinanza) dopo la fase, pressoché interminabile, in cui ‘tutti’ hanno pensato che la filosofia dell’essere abbia costituito il solo grande lascito di questo antico pensatore. Ne è derivata quella potente educazione collettiva a pensare che egli sia stato il “grande filosofo dell’essere” e poco o nient’altro, che era tempo di contrastare apertamente. Le informazioni e le considerazioni qui offerte non sono rilevanti solo per gli specialisti di filosofia greca; lo sono anche per una più vasta comunità filosofica, in particolare per chi guarda con favore a metafisica e ontologia, oppure al Parmenide di Heidegger. Oltretutto è la stessa manualistica a dover verosimilmente riscrivere il capitolo su Parmenide.
Altro non ho motivo di dire.
Perugia, settembre 2022
1 Sono intervenuto, più che altro, su ciò che mi è parso espressione inutilmente involuta, ma senza incidere sui contenuti. Nel caso della sez. VIII 2, per esempio, ho lasciato inalterate le valutazioni che in “Les déesses de Parménide” (articolo incluso in R. Saetta Cottone (ed.), Penser les dieux chez les Présocratiques, Paris 2021, 129-142) sono state sottoposte a ripensamento, e nella nota 108 (cap. 2) ho provveduto ad ammettere di essere andato fuori strada ma, di nuovo, senza per questo offrire un’articolata rettifica.
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