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Maura Del Serra
Robert Kelly: “La reverenza è tutto”
A nessuno più che al poeta e scrittore Robert Kelly si attaglia il preveggente antico motto di Anassagora confermato ad abundantiam dalla fisica moderna “Tutto è in tutto”. Newyorkese di Brooklyn, ma di ascendenze ebraico-irlandesi, si è nutrito con fervore vocazionale ed acribia empatica delle fonti culturali, mitico-metafisiche e letterarie più disparate e tuttavia idealmente convergenti, dal platonismo e dagli amati classici greci e latini all’esoterismo pagano, cristiano medievale ed ebraico, al “magismo” celtico ed alla psicoanalisi junghiana, fino alla tradizione induista e, a partire dalla maturità, a quella buddhista zen, anche personalmente approfondita e vissuta in un discepolato attivo, come testimonia la dedica de La Coppa (The Cup). La foltissima opera poetica e narrativa di Kelly, che annovera ormai più di una cinquantina di volumi, è quindi difficilmente riconducibile alla temperie espressiva vulcanica e gridata di origine anarchico-antiborghese e maudite, seppure incline al misticismo orientaleggiante della Beat Generation e del conseguente movimento hippie, a cui pure egli cronologicamente appartiene; ovvero lo è in un suo intimo e complesso modo, che comporta la trasformazione dello sregolato e avventuroso vagabondaggio fisiopsichico on the road alla scoperta di sé (di ascendenza romantica, rimbaudiana, trascendentalista e whitmaniana), in un pellegrinaggio sacrale ed evocativo ramificato e tutto interiore, ossia in una costante, accesa e multiforme “cerca” del senso dell’io, del mondo e del Sé, diretta verso una profonda evoluzione interpersonale, umano-naturale e cosmica, che il poeta affronta e “narra” in tutte le sue polarità tematiche, ancorate tuttavia a precisi punti fermi geografici mondiali, dagli States alle più varie città e luoghi d’Occidente e d’Oriente. A questi corrispondono vaste incursioni espressive e linguistiche, che spaziano dai raffinati cultismi alle citazioni sacre e profane in più lingue, antiche e contemporanee, usate dal poeta con disinvolta e spesso umorosa polifonia nelle 91 lasse strofiche del poema, con un ductus lirico, gnomico e fiabesco ad un tempo, che assume le forme di un dialogo ellittico, tipico della letteratura e delle “storie” zen.
Il punto fermo geo-biografico per eccellenza di Kelly è però l’isola “tutta coste” e quindi omphalos, ombelico del mare, la Cuttyhunk Island posta in explicit de La Coppa, luogo abituale dei soggiorni estivi del poeta con la moglie, la traduttrice ed ispiratrice Charlotte Mandell. Ma l’isola è tematicamente anche quella del mito ulissiaco, come luogo di approdo idealmente circolare dell’anima, ubiqua e vagante nel suo mare e perfino nell’oceano originario della creazione e della razza umana. Quest’ultimo è a sua volta il Leitmotiv gravitazionale fisico-metafisico e conoscitivo di Kelly (l’esemplare de La Coppa a me dedicato porta appunto la dicitura “from the sea”). L’isola è l’asse orizzontale, punto di osservazione contemplativa dell’impermanenza ritmica e melodica delle onde e dei movimenti della loro fauna di uccelli sapienti e messaggeri, e trae appunto senso dal suo mare, simbolo stesso della rimpianta civiltà greca classica insieme alla terrestre e democratica polis.
Il mare e le sue musicali maree, così come il tema cristologico del camminare sulle acque, compaiono appunto come Leitmotiv variato in molte opere precedenti di Kelly; in particolare nei complessi caposaldi poetici The Loom (Il telaio, 1975, sorta di summa in 36 sezioni a strofe lunga) e in Heart Thread (Trama del cuore, 2013, poema in 235 strofe a lasse più brevi), entrambe evocanti fin dai titoli il tema della tela, tessitura o trama cosmica, in quanto l’inglese “thread” traduce liberamente il sostantivo “sutra”, fuor di metafora “capitolo” dei testi sacri buddhisti (i “sutra del cuore” pertiene al Budda Maitreya o della Compassione).
Già ne Il telaio e fino a La Coppa, il mare col suo ritmico moto infinito è il “correlativo oggettivo” del tema dell’Altro (“The Other”) come espressione naturale del pieno e del vuoto, ma anche del tentativo umano sublime e fallimentare di trascendersi, divenendo altro da sé e dall’ego, superando in una lotta incessante e fascinosa tutti i desideri e le “intenzioni” (sostantivo che risale a Wilde). L’Altro, divinamente impersonale ed atemporale è a sua volta costantemente significato dalla musica classica nei suoi supremi rappresentanti, in primis Orfeo e l’amato Bach delle “Variazioni Goldberg”, costruttore di duomi logico-spirituali e di templi interiori (The Building of the the Temple è il titolo dell’ultima sezione de Il telaio, che rinvia anche all’opera poetica dell’elisabettiano George Herbert, The Temple). Il tema della musica è diffusamente speculare a quello del linguaggio parlato, spesso scadente in chiacchiera (“talk”) che nega l’ascolto e la quiete interiore (“Psichiatrists but no peace” in Trama del cuore). La critica del “balbettante” linguaggio umano implica e dispiega il costante elogio di quello degli animali, degli elementi e del silenzio, ma non impedisce al poeta di costruire già ne Il telaio una “teoria della narrazione”, e a questa di mettere capo ad un alchemico e junghiano “incontro con l’Anima” (“encounter with the Anima”): incontro delineato e variato in molte figure mitico-poetiche e filosofiche, da Omero a Parsifal a Bruno al più volte citato Blake, da Rabelais a Marlowe e Shakespeare, da Rilke a Whitman a Eliot e Pound fino a Joyce, e a Klimt tra gli artisti mitteleuropei, come vertice del loro “sogno di stile”.
Ma nel pantheon tanto ideale quanto concretamente articolato e colloquiale di Kelly la figura dominante è senza dubbio quella femminile, eterna portatrice di una sapienza maieutica ed olistica ma vissuta, irriducibile a quella teorica ed intellettualistica dell’uomo: dalla Lady Isabella de Il telaio ai “doppi” di Elena di Troia, Arianna, Corinna, e la Lady Helen a cui Il telaio è dedicato, fino alla misteriosa, innominata e spesso ironica guida (“she”) nel pellegrinaggio de La Coppa; un moderno, goethiano Eterno Femminino o Beatrice (Dante è spesso evocato da Kelly come alter ego nel suo pellegrinaggio oltremondano verso un Eden o Nuova Gerusalemme). La donna è la magica e feerica incarnazione di una pietas insieme solenne, sottile ed arguta: un’Eva-Iside-Maria Vergine molto “exsperienced”, artefice di sfide mentali e linguistiche, tessitrice e portatrice di un pathos sapienziale segreto, che insieme accoglie ed elude l’inesperto giovane pellegrino, pronta ad apparire e a sparire come gli “aiutanti magici” delle fiabe e dei racconti mistici medio ed estremo-orientali prediletti da Kelly. Così in quella sorta di seconda summa enciclopedica e puntiforme ad un tempo, dedicata a Charlotte (esaltata nell’epigrafe tratta dai Fasti ovidiani) e scandita in lasse fluenti quasi senza interpunzioni, come già nella “strofe lunga” de Il telaio, ma qui articolata in più classici deca-dodecasillibi, il tema femminile spicca nella compresenza dei motivi, accentuando il suo carattere sia societario che conoscitivo, e presentandosi come “rivoluzionario” archetipo biblico, come una Mosè dalle anche possenti, che è artefice principale di una liturgia amorosa privata, proprio perché è sposa universale, incarnazione del patto umano con l’Invisibile. La donna è titolare di una sapienza occultata dal mondo maschile artefice del deprecato materialismo e capitalismo tecnologico-borghese, fondato sull’ingiustizia sociale dell’avere e non sulla giustizia del conoscere e dell’essere. Il mondo contemporaneo getta il poeta nella condizione di testimone “spaesato” della costante crocifissione del Cristo: questa condizione è intimamente collegata alla natura della poesia e del poeta, suo interprete perenne di un universo pre e post-umano, nutrito tanto dagli elementi naturali quanto dalla cultura/coltura, così come lo è la perenne “attesa” infantile, incarnata tanto nell’ “innocence” di Vaughan e di Blake quanto nell’ “Aperto” (das Offene) di Rilke e nel platonizzante “fanciullino” di Pascoli.
Anche nei volumi precedenti La Coppa la donna, al pari della musica clavicembalistica barocca e bachiana è per Kelly l’arguta ed angelica “apripista” del camino iniziatico dell’anima e della persona maschile: esperto conoscitore di etimologie, il poeta ricorda al lettore, in Trama del cuore, che il sostantivo ebraico per “angelo” “malàk”, il messaggero, l’inviato è radicalmente contiguo, quasi un “doppio”, di quello che designa il re (“melèk” ) e che la credenza, la greca doxa, raggelatasi in fede variamente istituzionalizzata, è opposta al cammino veritiero verso la preghiera del cuore, posseduta ed insegnata dal personaggio femminile de La Coppa, che conduce pur elusivamente l’innamorato quasi-discepolo alla presenza tutt’altro che solenne e sfarzosa, anzi dimessamente domestica ed umile, secondo i dettami zen dell’ubiquo, nascosto e leggendario Graal in forma di vetusta coppa risuonante e dissetante, che contiene e “cambia”, con il sapore del suo vuoto, il messaggio del mare originario, al termine di un cammino che parafrasa in tappe multiple e geograficamente caleidoscopiche quello topico e ormai turistico di Santiago de Compostela. Un cammino tanto “on the road” quanto “on” e “over the sea” (il Leitmotiv del mare evoca anche, come si è detto, il camminare o volare sull’acqua compiuto dal Cristo evangelico).
Accanto all’anghelos-guida femminile, il viaggio è costellato di presenze congeneri e visibili dell’invisibile, soprattutto quelle degli uccelli, anch’essi per lo più marini, che sono definiti “una cicatrice nel vento” (a scar in the wind), loquaci messaggeri dalla natura di apparizioni: già in Trama del cuore l’uccello “vola attraverso di te” (flighes through you), cioè attraverso la reale-ingannevole molteplicità dell’ego e dei nomi umani e sociali evocati nella raccolta Incertezze (Uncertaintres, 2011) che forma una sorta di “libro del rovescio” kellyano, percorso com’è da ansiosi echi esistenzialisti e scandito in distici sul modello dei Salmi biblici, del Kalevalla finnico e dell’antica poesia anglosassone; un libro teso a dissolvere le certezze del sentimento olistico attraverso i loro contrari: denaro, religioni dogmantiche ed istituzionalizzate come “entertainements”, violenze e passioni perturbanti, perdita dell’innocenza infantile e giovanile, sono temi correlati alla temporanea scomparsa del tema del mare e all’eclissarsi della donna amata/guida, che come tutte le donne è “il sole stesso” (the sun itself) sempre ignorato o mal compreso dai suoi compagni maschi. Ma la parte finale del libro, percorso da un incessante appello all’unità androgina dei sessi, alla non-violenza ed alla libertà, segna il recupero dell’aspirazione al puro essere, opposto al “leggere” libresco, e ad un rimbaudiano “essere parlati” (to be spoken), essere pensati e costruiti dall’amore (“I want love to make me”) attraverso l’Alterità sacrale, che è rovescio e garante segreta dell’unità del mondo.
Il tema dell’Altro, come verità nascosta e senso al di là dei paradossi, raggiunto nella sintesi significante di una parola tesa all’ascolto, è centrale anche ne La Coppa (“I am the sacred Other of the world”, str. 34) ed è a sua volta compreso ed acceso da quello della necessaria attenzione alla parola delle cose e degli esseri viventi non umani uccelli, alberi, pietre, elementi, paesaggi: è la parola parallela alla nozione di “lettura” profonda della realtà già approfondita da Simone Weil nel saggio Essai sur la noction de lecture che conduce il poeta ad una nuova coscienza del linguaggio quale vero battesimo (“real baptism”), come preghiera, al di là della convenzionale antitesi tra follia e salute mentale, come si legge in una delle massime “apocrife” di Certainties (Certezze, 2016), che ha come sottotitolo appunto The Maxims of Martin Traubenritter (Il Cavaliere delle Vigne), medievaleggiante nom de plume di uno pseudo “giornalista e critico musicale viennese”, che l’exergo dichiara vissuto dal 1835 al 1915: “Nietzsche pregava per ottenere la pazzia e il delirio. Io prego per la salute mentale. Intendiamo la stessa cosa” (Nietzsche prayed for madness and delirium. I pray for sanity. We mean the same thing). Oltre alla lode non poco proustiana della musica “forse udita nel futuro”, come conversazione con i morti, e del camminare come modo di pensare, è qui ribadita l’inevitabile e costante antitesi umana tra “il pellegrino” e “il politico” (“A pilgrim or a politician: that’s all everyone ever is”).
Sul primo e centrale sostantivo, di nota ascendenza cristiana e zen, ma anche avatar del poeta e dell’artista, è infine interamente imperniata “la piccola epica della eterna cerca” de La Coppa, come nota Peter Lamborn Wilson: i suoi protagonisti e personaggi, sostenuti e sottesi alla voce narrante “fuori scena” del poeta stesso, oltre alla donna-guri che scompare alla strofa 76 (e ad altre indistinte donne, ninfe marine o Parche che formano un imperioso coro sapienziale) sono i due giovani James e John, sotto le cui moderne sembianze americane traspaiono, con evidenza simbolica straniante, rispettivamente l’apostolo Giacomo altrimenti denominato Yakov e Jacobus, ossia il Giacobbe biblico in lotta con l’angelo misterioso e l’evangelista Giovanni, presunto autore del mistico Quarto Vangelo, che, secondo la leggenda congenere a Kelly, fu composto nell’isola riattualizzata di Patmos. Comprimaria, o meglio ipersignificante e silente protagonista del poema è la Coppa stessa, ad un tempo piena e vuota, simbolo dell’anima profonda e quindi essere vivente (“tning”), sede leggendaria ed umile di tutti i contrari e soggetto-oggetto della folgorante conoscenza anti-intellettualistica o mistica.
La Coppa è definita “Crater, krater, bowl, church”, ovvero densa sintesi di grecità, leggende medievali cristiane e simboli femminili correlati al pensiero zen (i “crateri lunari” della strofa 9) indissolubilmente legata alla figura sottesa od esplicita del Cristo innominato (“he”), qui protagonista appunto di una versione zen dell’Ultima Cena o del ricordato cammino sulle acque, figura non dottrinale ma interiore e cosmica di Maestro della “way of feel”, la via del sentire (str. 29), a sua volta ricollegata al tema pervasivo del mare, che nel finale (str. 91) viene assorbito, bevuto e “cambiato” dalla Coppa stessa che lo contiene e se ne svuota. Il mare veicola la rammentata voce impersonale dell’Alterità sacra che pesa se stessa nell’umano e rende reversibile il tempo, annullando o trasfigurando la storia in un “mistero” insolubile ma glorioso, dai complessi tratti platonici (gli originali della Coppa dichiarati copie ad infinitum) socratico-zen (l’errore come senso profondo delle grandi opere) ed eraclitei, il flusso dell’apparenza e l’identità profonda tra mente e cuore (str. 74).
Nell’altezza gnomica del testo non manca peraltro un esplicito fil rouge ironico-parodico, tipico anch’esso del pensiero ebraico e della pratica zen: l’hôtel denominato “Coi piedi zuppi”, il “tipo pretesco” che accoglie i pellegrini nella cappella sconquassata e che si rivela un’incarnazione di James-Yakov, l’autoparodia del (maldestro) poeta-sacerdote o demiurgo, la trasformazione della Coppa in coppetta di carta portata da una fiabesca bambina subito scomparsa, il libro del “Più Nuovo Testamento” (Newer Testament) dalle pagine bianche, nonché l’assenza stessa di interpunzioni convenzionali, che tende spesso a confondere il lettore sull’identità dei personaggi parlanti. Così, da autentico e raro poeta sapienziale, Kelly non lascia il lettore-nuotatore impelagato nel suo mare magnum alle prese con il messaggio o manoscritto in bottiglia noto alla tradizione romantica del Vecchio del Nuovo Mondo, ma con una Coppa multisignificante, da cui si beve la salvezza perché “madre” di forme conoscitive, esperienziali ed espressive plurime, custode mitica, concreta e risuonante, della verità universale e dell’Origine creatrice.
Maura Del Serra
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