Dionisio infatti, dopo avere posto la sua
immagine nello specchio, la seguì, e così
fu infranto nel Tutto. Ma Apollo lo raduna
e lo riporta alla vita, poiché è dio purificatore
e veramente salvatore di Dioniso, e per questo
viene celebrato come Dionysodótes.
Olympiodoro, in Plat., Phaed. 67c.
Da Apollo giunse il suonatore di lira, padre
dei canti, Orfeo molto lodato.
Pindaro, Pyth., IV 176-177.
Tra mito e storia, archetipo e leggenda, la figura
di Orfeo ci appare come sintesi di una spiritualità
in evidente contiguità con quella pitagorica che
unisce in sé poesia, scrittura, musica e Sapienza.
A. Tonelli, Eleusis e Orfismo.
Sono arsa di sete. Iniziarsi all’Orfismo è il titolo di questo Corallino, di questo piccolo, condensatissimo saggio su un tema tanto vasto e dibattuto quanto fondamentale e fondante la spiritualità della nostra civiltà.
Un saggio prezioso che, alla relativa brevità, associa un rigore e una lucidità altrettanto condensati e potenti: un autentico gioiello costruito ad arte e secondo i crismi della chiarezza, in cui, dalla miniera d’oro custodita sotto il nome di Orfeo, l’autrice ricava e lavora la sua gemma di conoscenza che incastonerà poi nel suo svolgimento ad anello, secondo diverse prospettive e illuminanti approfondimenti.
La Misteriosofia antica, nello specifico quella orfica, è il bacino occulto e occultato, o per dirla con la splendida metafora di Angelo Tonelli, l’abisso luminoso1 da cui la Sapienza occidentale germinerà in tutta la sua potenza conoscitiva e spiritualmente realizzativa e da cui, a sua volta, emergerà la filosofia greca in tutta la sua complessità.
Anche il fenomeno unico e straordinario della tragedia attica attingerà ai tesori dei Misteri, rappresentandone in un certo senso il volto essoterico.
Così, in quest’ottica sottesa, l’autrice apre la sua articolata ricognizione a partire dal dato etimologico delle parole-chiave che alludono alla natura dell’esperienza misterica e ne scandiscono i passaggi iniziatici, riportando all’attenzione il valore intrinseco e “performante” di tali vocaboli che schiudono di per se stessi foneticamente alla peculiarità profonda di questa vissutezza sacra, di un esperire “altro” che conduce, attraverso l’indicibile apórrheta e árrheta all’intimità assoluta con il Divino, oltre la mera dimensione dell’umana mortalità.
Di Orfeo vengono indagati il mito dalle molteplici dimensioni e implicazioni simboliche, la problematicità delle fonti, i documenti principali della sua tradizione, sia letterari che architettonici, culminando proprio nell’analisi della Basilica orfeo-dionisiaca di Porta Maggiore e quindi trattando della presenza dell’Orfismo nella Roma augustea e nei suoi cantori più alti come Virgilio, sino all’innegabile influenza della figura sacra di Orfeo sul Cristianesimo degli albori e sull’arte paleocristiana a Roma.
L’autrice ci ricorda come la prima menzione di Orfeo finora pervenutaci, sia contenuta in una lirica del poeta magnogreco Ibico di Reggio, collocata intorno al 530 a.C., il quale lo definisce “famoso”.
E il Pitagorismo è qui già una realtà consolidata e influente.
Siamo a cavallo di quel secolo d’oro, il VI secolo a.C. che vedrà, come un caso di “vistosa sincronicità planetaria” - tornando inevitabilmente a citare dal prezioso lavoro di Angelo Tonelli , l’emergere quasi contemporaneo, tra Oriente e Occidente, di personalità sapienziali eccezionali, di quei “filosofi sovrumani” di cui Giorgio Colli fa l’identikit ineccepibile, i cosiddetti Presocratici, che si pongono in perfetta simmetria e consonanza con i maestri coevi d’Oriente, come ad esempio Siddharta Gautama, il Buddha, in India e Lao Tze, per il Taoismo, in Cina.
Orfeo, il cantore sciamano tracio, caratterizzato nel suo mito da influssi di natura tanto iperborea quanto mediterranea, appartiene dunque di diritto a quel sostrato intercontinentale sciamanico, magico e reincarnazionista, che trasversalmente nutrirà l’Eurasia tutta sino al Mediterraneo e che rappresenterà l’humus fecondo da cui la Sapienza scaturirà rigogliosa, personificandosi in Occidente in figure come Pitagora, Eraclito, Parmenide ed Empedocle.
Personalità tutte innegabilmente connesse tra loro e, in qualche modo, all’orphikòs bíos, “allo stile di vita orfico” e a ciò che da esso permetterà il dispiegamento della dimensione noetica in tutta la sua magnifica manifestazione sapienziale.
Uccelli innumerevoli
si libravano sul suo capo
e dritti i pesci
saltavano fuori dall’acqua blu, in alto
al bel canto.
(Sim., fr. 384, Page LSG)
Orfeo è la visione attiva della segreta trama vitale del cosmo visibile; egli contempla e canta. Così agendo ricrea la tessitura delle relazioni del mondo persino di quello infero:
il suo stesso canto assurge a ordito vibrazionale dell’Armonia cosmica, perciò i suoi incantamenti sono fonte di divinazione e cura; Orfeo è anche testimonianza archetipica e sublime della dolorosa potenza squarciante, smembrante e trasformativa, del cammino iniziatico di realizzazione conoscitiva e spirituale. Che è esperienza di morte in vita e da qui di rinascita assoluta.
Questa via iniziatica, che reintegra l’uomo in se stesso e nel Sé, lo porterà ad armonizzarsi con la Natura vivente in cui è come individuo incarnato immerso coralmente con le creature tutte e, al tempo stesso, lo aprirà alla coscienza della sua intima, continua, piena ed istantanea appartenenza al mistero Divino dell’Uno che diviene Molti, essendo Tutto e mai scindendosi dall’ Uno che è.
Ecco perchè Orfeo è l’emblema perfetto dell’Intero nel suo essere dionisiacamente apollineo e, specularmente, apollineamente dionisiaco: incarnazione di un’enantiodromia mitico-sapienziale in cui ogni opposto di cui si sostanzia la dualità della manifestazione è ricondotto a compiutezza alla luce della polarità vibrante nel Mistero dell’Armonia “discordante” di Apollo e, insieme, perennemente dissolto nell’Uno-Tutto-Dioniso.
1 A. Tonelli, Negli abissi luminosi. Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia Antica, Feltrinelli, Milano 2021.
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