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Cat.n. 492

Diego Lanza

Dramata IV. Scritti sulla Poetica di Aristotele. Prefazione di Gherardo Ugolini.

ISBN 978-88-7588-398-0, 2024, pp. 240, formato 140x210 mm., Euro 25 – Collana “il giogo” [197].

In copertina: Pittura vascolare su cratere siceliota a calice (330 a.C. circa, attribuito al Gruppo Gibil Gabib, probabilmente del Pittore di Capodarso). Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi di Siracusa (O. Taplin, Pots and Plays. Interactions between Tragedy and Greek Vase-paintingof the Fourth Century B.C., Los Angeles 2007, n. 22).

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Gherardo Ugolini

Diego Lanza e la Poetica di Aristotele

Diego Lanza è stato in primo luogo un grande studioso di teatro antico sia della tragedia sia della commedia. Ha pubblicato saggi, studi monografici, commenti su vari drammi antichi, ma non c’è dubbio che il testo sul quale si è maggiormente esercitata la sua perizia ermeneutica è stata la Poetica di Aristotele. Ad aspetti specifici di quell’opera ha dedicato numerosi articoli su rivista, conferenze e interventi in convegni. Ne ha fatto più volte l’argomento di corsi accademici e seminari di Letteratura greca e di Storia del teatro e della drammaturgia antica presso l’ateneo di Pavia, dove ha insegnato dagli anni Sessanta del secolo scorso fino al collocamento a riposo. Nell’approccio alla Poetica si intersecano, del resto, due filoni di ricerca che fin dagli inizi hanno animato gli studi di Lanza: da una parte la prassi drammaturgica del teatro antico, le “regole del giuoco scenico”,1 per dirla con il titolo di un suo intervento del 1985; dall’altra la riflessione filosofica di Aristotele con i suoi criteri metodologici di sistematizzazione e classificazione, a partire dall’ambito biologico-zoologico.2

Il culmine degli studi di Lanza sulla Poetica è certamente l’edizione per la collana “Biblioteca Universale Rizzoli” (BUR) del 1987, un’opera di grande rilievo e fortuna, che si è immediatamente imposta come punto di riferimento indispensabile per gli studiosi, che è stata regolarmente ristampata fino ad oggi, e che, a distanza di quasi quattro decenni dalla prima edizione, continua ad essere apprezzata e citata.3 Lanza non ha fornito in quella edi­zione un nuovo testo critico, stampando quello canonico di Rudolf Kassel.4 Il valore precipuo di quell’edizione sta nella traduzione, accurata ed efficace, tale da rendere al meglio la speciale forza teorica che il testo della Poetica assume in quasi tutti i capitoli, ma anche nell’amplissima introduzione (di oltre cento pagine, quasi una monografia) che costituisce a giudizio di molti la miglior introduzione alla lettura dell’opera di Aristotele. In quel lungo saggio introduttivo che reca l’accattivante titolo Come leggere oggi la «Poetica»? si trova una messa a punto chiara e precisa di varie questioni che accompagnano da secoli, a partire dalla sua riemersione in età umanistico-rinascimentale, le interpretazioni del testo aristotelico. L’esposizione di Lanza, sia che indaghi la “natura” della Poetica, sia che ne studi la fortuna attraverso i secoli, è condotta sempre in maniera equilibrata e problematizzante, scevra di dogmatismi, aperta all’interdisciplinarietà, come era peculiare del suo metodo di indagine. Quanto alla tipologia dell’opera, passa in rassegna le varie opzioni possibili (da intendere come una storia della poesia greca arcaica e classica, come un trattato di teoria estetica, come una descrizione fenomenologica del genere tragico nella fase della sua massima fioritura, come un breviario prescrittivo di tecnica poetica che insegna a comporre tragedie nel modo migliore possibile) per concludere che si tratta di una miscela di tutti questi aspetti, i quali convivono e s’intrecciano l’uno con l’altro. Quanto alla fortuna della Poetica, l’aspetto che viene messo a fuoco con particolare intensità è quello di essere stata recepita e studiata nei secoli come qualcosa di avulso dal resto del corpus aristotelico, come se l’Aristotele che ragiona di poesia non fosse lo stesso che tratta temi di retorica, etica, fisica, zoologia etc. E invece bisognerebbe sempre – questo è uno dei principali insegnamenti di Lanza – cercare di spiegare Aristotele con Aristotele, ovvero cercare il significato di certi concetti, per i quali non viene data una definizione, nelle occorrenze che si riscontrano in altri scritti, anche se apparentemente lontani per argomento e impostazione. Un approccio di questo tipo è imprescindibile per inquadrare correttamente termini che Aristotele pescava dal linguaggio quotidiano risemantizzandoli nell’ambito della riflessione sulla lingua poetica: è il caso di parole-chiave come μῦθος, πρᾶξις, ὄψις, ἁμαρτία, κάθαρσις, etc.

Di particolare interesse sono le osservazioni che Lanza esprime in merito alle «censure» di Aristotele, ovvero alle rimozioni che si possono cogliere nella Poetica e che spesso sono date per scontate, mentre implicano una scelta specifica.5 Tutta concentrata sugli aspetti formali e testuali, l’analisi del filosofo esclude completamente ogni riferimento al piano divino (dèi, oracoli, religiosità). Eppure, sappiamo come le tragedie del V secolo fossero impregnate di presenze oracolari, di profezie, di scontri tra sapere divino e conoscenza umana. Anche la cornice istituzionale di festa religiosa dedicata a Dioniso, dentro la quale era collocato lo svolgimento degli agoni drammatici, e che certamente era un elemento essenziale, non trova spazio. La stessa poesia è spiegata come frutto di arte umana, di una specifica τέχνη che in quanto tale può essere insegnata e appresa, e non di invasamento, di μανία divina o ἐνθουσιασμός, ovvero come ispirazione delle Muse o di una qualche divinità, secondo schemi antichi ben presenti nella cultura greca. La Poetica segna una totale ‘laicizzazione’ della poesia e del poeta (non un vate ispirato assimilabile ad un μάντις, bensì un artigiano che conosce la propria arte e la sa applicare). Analogamente è rimossa la figura del drammaturgo (non si dice nulla sul suo ruolo, sullo status sociale) e non v’è traccia del contesto agonistico (pubblico, giuria, premiazione).

Il punto essenziale, su cui Lanza insiste molto è quello della distanza che separa la composizione della Poetica (anni 30 del IV secolo a.C.) e l’acme della produzione tragica, raggiunta nel V secolo, circa 80-100 anni prima. Ciò comporta una questione ineludibile: cosa vedeva Aristotele a teatro? Su cosa ha costruito la sua esposizione? Sicuramente avrà visto le tragedie nuove del suo tempo (ne cita alcuni titoli e autori), che però non conosciamo se non per frammenti, ma che certamente presentavano caratteristiche ben diverse da quelle del secolo precedente. Ma avrà anche visto vecchie tragedie del V secolo che erano divenute dei classici e che erano rimesse in scena ad Atene e anche fuori Atene. Verosimilmente avrà avuto a disposizione un repertorio di testi da leggere e consultare ben più ampio della percentuale infima che si è conservata ad oggi. Da qui conseguono altre domande: fino a che punto le teorie aristoteliche sono influenzate dalla prassi teatrale a lui contemporanea, quella del IV secolo? Può essere che certe affermazioni si spieghino proprio in polemica con quella prassi teatrale (che tendeva per esempio ad una marcata disarticolazione delle singole parti a discapito dell’unitarietà dell’opera)? In linea di massima si può dire che il distacco tra Aristotele e la stagione di Eschilo e Sofocle non è solo cronologico, ma implica uno stacco culturale. L’approccio che si riscontra nella Poetica è di tipo “libresco” e “letterario”, proprio di chi tende a ridurre la tragedia da performance spettacolare a libro da leggere, cancellando ogni elemento eccedente la scrittura.

L’edizione BUR del 1987 costituisce il punto di arrivo e di sintesi in cui confluisce la gran parte degli studi precedenti. Ma anche successivamente Lanza ha continuato ad occuparsi della Poetica in saggi e interventi, usciti su riviste o volumi miscellanei, spesso di difficile reperibilità. È questo il motivo per cui si sono raccolti nel presente volume, il quarto della serie Dramata, tutti gli scritti di Lanza che si riferiscono, in modo più o meno diretto alla Poetica aristotelica, consentendo a chi fosse interessato di considerare il quadro d’insieme delle ricerche condotte dallo studioso nel corso degli anni. Tra i più stimolanti ricordo quello del 1983 intitolato Aristotele e la poesia: un problema di classificazione, nel quale si affronta il problema della classificazione dei generi poetici.6 Lanza vi dimostra come i procedimenti classificatori che Aristotele adotta nella Poetica sono simili a quelli utilizzati nell’ambito della psicologia o della biologia: si parte dalla definizione generale, si individuano le diverse specie (nel caso della poesia: tragica, comica e ditirambica) e le si classifica secondo il criterio delle diverse pratiche mimetiche, ossia in base agli strumenti della μίμησις (ritmo, armonia, logos), conferendo a quel termine una valenza semantica ben più ampia rispetto a quella (negativa) di Platone, tale da coprire il significato di ‘simulazione’ e ‘riproduzione’. Ma le classificazioni della poesia nella Poetica sono molteplici e ciascuna si orienta secondo diversi criteri. Vi è la distinzione già platonica tra pratica diegetica (narrativa) e mimetica (drammaturgica), quella tra poesia ‘seria’ (epica, tragedia) e ‘leggera’ (commedia). Le varie classificazioni proposte da Aristotele, nel loro intrecciarsi e sovrapporsi, hanno in comune un punto: si basano esclusivamente sulla dimensione letteraria, escludendo e rimuovendo quella sociale e antropologica (la vita nella polis, la fruizione collettiva a teatro), e aprendo la strada alla sistemazione per generi della successiva filologia alessandrina. Come viene approfondito nel successivo studio dal titolo La città e i racconti. Riflessioni sullo statuto della poesia tra Platone e Aristotele,7 la considerazione della dimensione socio-politica è precisamente ciò che discrimina la concezione platonica da quella aristotelica. In Aristotele la poesia è rigorosamente separata dalla realtà politica esterna, è confinata ai margini della città come attività di svago e di piacere, e pertanto non più dannosa e censurabile. Su questo sfondo andrebbe valutata la questione della cosiddetta condanna platonica della poesia cui segue la riabilitazione aristotelica: condanna e riabilitazione che, in ogni caso, sono concetti di ampia portata, ambigui e insidiosi, da scandagliare in ogni dettaglio.

In Aristotele, la miglior tragedia, gli automata8 l’attenzione è puntata, innanzi tutto, sui principi di unità e consequenzialità delle parti, che per lo Stagirita sono imprescindibili per la realizzazione di una buona tragedia. La consequenzialità, in particolare deve fondarsi sulla necessità (ἀναγκαῖον) e sulla verosimiglianza (εἰκός), requisiti indispensabili per rendere credibile al pubblico quanto si rappresenta in scena. Lanza sottolinea in particolare come la credibilità sia da intendere nel senso di conforme alle aspettative del pubblico; e la presenza di pratiche sociali e rituali religiosi, che lo spettatore poteva facilmente riconoscere, sono da questo punto di vista elementi utili per accrescere il grado di εἰκός. La teorizzazione aristotelica in questo caso non è altro che la formalizzazione teorica di una prassi drammaturgica già esistente (i drammi dell’ultimo Euripide). Inoltre, Aristotele avrebbe avuto un notevole influsso, secondo Lanza, sull’arte di costruire automata, ovvero oggetti autocinetici, molto diffusi e apprezzati in epoca ellenistica. Il principio base di questa ingegneria spettacolare consisteva nel nascondere la causa del movimento per esibirne gli effetti stupefacenti, e si può vedere un parallelismo con la tecnica di costruzione dei drammi.

Un altro studio paradigmatico dell’approccio di Lanza alla Poetica è quello su Il «contrasto» aristotelico di vista e udito,9 in cui affronta il problema dei modi in cui la vista da un lato e l’udito dall’altro si relazionano alla percezione della realtà nelle teorie di Aristotele. Se nella Poetica si riscontano numerosi richiami all’attività pittorica, sempre introdotti da indicatori comparativi quali “come”, “come se”, “pressappoco”, e dunque le immagini vengono utilizzate per chiarire meglio gli aspetti di un discorso che si teme non sia del tutto trasparente, nella convinzione che proprio le immagini nella loro immediatezza s’impongano con maggiore evidenza alla mente dell’ascoltatore persuadendolo con più efficacia, è in opere minori del filosofo, come il De sensu et sensibilibis, che si coglie la teoria della complementarità che Aristotele sostiene tra i due sensi antagonisti.

Se la Poetica, o, per meglio dire, quello che della Poetica ci è arrivato, tratta prevalentemente del genere tragico, non sono mancate ricerche e ricostruzioni relative a un supposto secondo libro che avrebbe trattato la commedia,10 ipotesi resa celebre anche dal romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco (1980). Nello studio La simmetria impossibile. Commedia e comico nella Poetica di Aristotele Lanza mostra scetticismo su questi tentativi, soprattutto in riferimento alla definizione di commedia che è stata tramandata in alcuni excerpta di un testo di scuola peripatetica, di ricondurre forzatamente il pensiero di Aristotele entro schemi simmetrici, considerando che in linea di massima Aristotele tende a non riprendere mai ad verbum le definizioni che propone, preferendo procedere via via per scarti.11 Passando in rassegna vari passi del corpus aristotelico in cui si accenna al comico e alla commedia si evince che non solo non viene mai proposta una specifica siste­mazione, ma anche che l’esperienza della commedia del V secolo a.C. è subordinata in quanto arte grossolana con uno statuto nettamente inferiore, essendo tutto l’ambito del γελοῖον (‘ridicolo’) privo di virtù conoscitive. Quello della «simmetria perfetta» fra tragico e comico in Aristotele resta un postulato immaginario e privo di fondamenti.

Le ricerche di Lanza sulle concezioni della poesia di Aristotele hanno conosciuto un’estensione in chiave comparativa con altri due modelli di riflessione poetologica: Orazio e lo pseudo Longino del Sublime. Mentre la Poetica si inserisce in un coerente sistema filosofico ed epistemologico, come punto di intersezione tra diversi interessi (psicologia, linguaggio, etica), il trattato Sul sublime si sviluppa all’interno delle scuole di retorica, alle quali nei secoli dell’età ellenistica era stata delegata la definizione e la codificazione dei diversi generi letterari. Le differenze di genesi, di contesto e di epoca fanno sì che la riflessione nel caso del Sublime sia interamente concentrata sul testo, annullando la dimensione performativa. Un’altra differenza essenziale è il classicismo dello pseudo Longino, il guardare al passato per rintracciare modelli da imitare. Infine, Lanza osserva la risemantizzazione del termine ἔκστασις, che in Aristotele è usato in senso medico con connotazione negativa nel senso di slogatura di un arto ovvero spostamento della psiche dai modi consueti del ragionamento. Nel Sublime indica, invece, l’effetto dell’uscire da sé, del rapimento, dell’estasi appunto, cui si accompagna sovente la ἔκπληξις, la sorpresa, la meraviglia.12 Quanto all’Ars poetica di Orazio la differenza è data dalla prospettiva totalmente prescrittiva che assumono le sue considerazioni, mentre nella Poetica brani normativi e brani descrittivi coesistono.13

Una delle nozioni chiave del trattato aristotelico, che ha avuto una straordinaria fortuna nella ricezione millenaria successiva, è quella di κάθαρσις, che Lanza nella sua traduzione rende con ‘depurazione’ facendo intendere un’inclinazione verso il significato medico del termine, sia pure non in modo categorico. Nel saggio dedicato a Carlo Diano e alla sua interpretazione della catarsi tragica14 Lanza si confronta con una lettura filosofica molto particolare, tanto affascinante quanto improbabile. Per Diano sussiste un nesso tra il tema stoico della consolatio e la pratica della poesia, la quale fungeva da strumento, secondo i dettami di una precisa τέχνη ἀλυπίας, finalizzata a sgombrare l’animo dalle disordinate sollecitazioni di paure e desideri, con una meditatio mortis, nel suo più profondo senso di preparazione suprema dell’anima al trapasso. Si tratterebbe di una pratica per certi aspetti terapeutica, nella quale lo spettacolo tragico di sventure luttuose predispone all’ascesi catartica. Ma Lanza respinge questa prospettiva, frutto di una concezione moderna del tragico come sofferenza priva di significato, che non ha corrispettivi nella cultura greca antica.

In conclusione, non resta che ringraziare ancora una volta, oltre a Nicoletta, Andrea e Simone Lanza, la casa editrice Petite Plaisance e in particolare l’instancabile Carmine Fiorillo per la generosa attenzione rivolta agli scritti di Diego Lanza e per aver reso possibile la pubblicazione di questi studi “minori” sulla Poetica, che meritano di essere rimessi in circolazione perché nel loro insieme definiscono bene i contorni di uno studioso che ha fornito un contributo eccezionale al chiarimento e all’approfondimento di molte delle questioni che quel testo aristotelico, breve ma alquanto denso e complesso, da secoli sollecita.

 

1 D. Lanza: Le regole del giuoco scenico nell’Atene antica. Prime annotazioni, in Mondo classico: percorsi possibili, a cura del CIDI Roma e del CRS, Longo, Ravenna 1985, pp. 109-117; rist. in D. Lanza, Dramata II. Scritti sulla tragedia antica e le teorie del tragico, Petite Plaisance, Pistoia 2023, pp. 109-121

2 Mi riferisco soprattutto all’edizione, curata in collaborazione con M. Vegetti, di Aristotele, Opere biologiche, traduzione, introduzione e note, Torino, Utet, 1971, rist. Aristotele, La vita, Bompiani, Milano 2018. Cfr. anche D. Lanza (a cura di), Aristotele, La ricerca psicologica, Firenze La Nuova Italia 1977, rist. Petite Plaisance, Pistoia 2024.

3 Aristotele, Poetica, introduzione e note di D. Lanza, Rizzoli, Milano 1987.

4 R. Kassel (a cura di), Aristotelis De arte poetica, Clarendon Press, Oxford 1965.

5 D. Lanza, Come leggere oggi la «Poetica»?, in Id., Poetica, introduzione e note di D. Lanza, cit., pp. 32-44.

6 D. Lanza, Aristotele e la poesia: un problema di classificazione, «Quaderni Urbinati di Cultura Classica», 13, 1983, pp. 51-66, cfr. infra, pp. 17-37.

7 D. Lanza, La città e i racconti. Riflessioni sullo statuto della poesia tra Platone e Aristotele, in ΕΝΩΣΙΣ ΚΑΙ ΦΙΛΙΑ Unione e amicizia, Omaggio a Francesco Romano, a cura di M. Barbanti, G.R. Giardina e P. Manganaro, CUECM, Catania 2002, pp. 77-88; rist. in Letteratura e riflessione filosofica nel mondo greco-romano. Atti del corso di aggiornamento per docenti di latino e greco del Canton Ticino, Lugano 21-23 ottobre 1999, a cura di G. Reggi, Lugano 2005, pp. 61-74, cfr. infra, pp. 95-111.

8 D. Lanza, Aristotele, la miglior tragedia, gli automata, in Il meraviglioso e il verosimile tra antichità e medioevo, a cura di D. Lanza e O. Longo, Firenze, Olschki 1989, pp. 101-111, cfr. infra, pp. 63-78.

9 D. Lanza, Il «contrasto» aristotelico di vista e udito, in Diego Lanza, lecteur des oeuvres de l’Antiquité: poésie, philosophie, histoire de la philologie, éd. par P. Rousseauet R. Saetta Cottone (Cahiers de Philologie. Série Apparat Critique, 29), Pr. Universitaires du Septentrion, Villeneuve-d’Ascq 2013, pp. 279-300, cfr. infra, pp. 113-147.

10 La più nota è senza dubbio quella di R. Janko, Aristotle on Comedy: Towards a Reconstruction of Poetics II, Duckworth, London 1984. Cfr. anche dello stesso Janko, Aristotle, Poetics. With the Tractatus Coislinianus, a Hypothetical Reconstruction of Poetics II, the Fragments of the On Poets, Hackeyy, Indianapolis 1987.

11 D. Lanza, La simmetria impossibile. Commedia e comico nella Poetica di Aristotele, in Filologia e forme letterarie. Studi offerti a F. Della Corte, Università degli studi di Urbino 1988, V, pp. 65-80, cfr. infra, pp. 39-61.

12 D. Lanza, Longino o dell’ideologia letteraria, in Dicibilità del sublime, a cura di T. Kemeny e E. Cotta Ramusino, Campanotto, Udine 1990, pp. 83-87, cfr. infra, pp. 185-196.

13 D. Lanza, Da Aristotele a Orazio: l’unità discreta della poesia, in I 2000 anni dell’Ars Poetica, D.Ar.Fi.Cl.Et. Genova 1988, pp. 27-38, cfr. infra, pp. 149-165.

14 D. Lanza, Carlo Diano: poesia, poetica e catarsi, in Il segno della forma. Atti del Convegno di studio su Carlo Diano, Antenore, Padova 1985, pp. 11-25, cfr. infra, pp. 167-183.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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