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Cat.n. 498

Maura Del Serra

Sorelle bruciate e altri corti teatrali (Nannerl Mozart – Fanny Mendelssohn – Camille Claudel – Margherita, perla de mi vida – Fedra. In arte Marinella – Il silenzio di Dioniso). Introduzione di Alessio Riva.

ISBN 978-88-7588-404-8, 2025, pp. 128, formato 130x200 mm., Euro 15 – Collana di Teatro “Antigone” [17].

In copertina: Illustrazione al Commento dell’Apocalisse del Beato di Liebana, monastero (oggi) di Santo Toribbo, Spagna.

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Con i sette corti contenuti in questo aureo volumetto, Maura Del Serra aggiunge un’ulteriore tarsia al suo prezioso mosaico creativo, le cui qualità contenutistiche e formali sono da tempo riconosciute ed affermate da alcune delle voci più autorevoli dell’odierno panorama poetico, critico e drammaturgico, sia italiano che internazionale. Di tali diffusi e qualificati apprezzamenti riguardanti la sua produzione teatrale è agevole trovare riscontro non solo nelle introduzioni e nelle recensioni ai volumi  Teatro (2015), contenente ventitré testi scritti nel trentennio 1985 - 2015 e in Altro teatro (2019), che include cinque pièces appartenenti al quinquennio 2015-2019; ma anche nell’ Appendice al citato primo volume, dove è riunita una parte degli scritti che dalla fine degli anni ‘80 hanno accompagnato la pubblicazione e/o le rappresentazioni dei singoli testi della Del Serra. Sono interventi di Mario Luzi, Daniela Belliti, Nino Sammarco, Daniela Marcheschi, Ugo Ronfani, Misha Van Hoecke, Jacopo Manna, Marco Beck, Cristina Pezzoli, Antonio Calenda, Giovanni Antonucci, solo per citarne alcuni.

Proprio lo storico e critico teatrale Giovanni Antonucci, nel n° VIII della rivista “Teatro Contemporaneo e Cinema” (Roma, Pagine, 2016) affermava: «Maura Del Serra, poetessa di rilievo internazionale, è anche la nostra massima rappresentante di un teatro di poesia di grande qualità lirica e insieme drammaturgica. Nel volume Teatro ha raccolto tutta la sua produzione, ventitré testi, frutto di trent’anni di attività per il palcoscenico. Il regista Antonio Calenda, il più colto della nostra scena, ha scritto, nella finissima introduzione, che: il teatro della Del Serra “è una sorta di lavacro lustrale nei confronti di tanta drammaturgia contemporanea e della pratica del fare teatro”, aggiungendo che “il suo teatro è il sublime tentativo di rappresentare il mistero, incognito e forse inconoscibile, della vita e della morte, grazie anche all’uso di una parola che diviene senso e si fa azione. Teatro poetico, quindi, ma teatro teatrale che vive sul palcoscenico e nel corpo dell’interprete».

Più recentemente Daniela Marcheschi, con la peculiare ottica di studiosa pluridisciplinare e transnazionale che la distingue, nel suo intervento Per un teatro di poesia comparso nel volume collettaneo Prospectus. Quale drammaturgia per il teatro europeo del 21° secolo? (Roma, Pagine, 2023), si è così espressa: «Per numero di prove formali, giova ripeterlo, e ampiezza e valore delle tastiere espressive, per la ricerca scenica innovativa, le opere oramai variamente storicizzate di J. Rodolfo Wilcock, di Giovanni Testori e di Maura Del Serra vanno poste fra le più rappresentative esperienze del teatro di poesia della nostra epoca. In queste non si assiste tanto a un teatro di o della parola, bensì a un teatro con la parola e nella parola, nella tensione a rappresentare e a costruire comunque il mondo [...]. Le opere della Del Serra dialogano idealmente con il teatro del passato e del presente: da notare almeno, per l’uno e l’altro, il recupero della danza e del Coro dalla tragedia greca, con funzione di meditazione e commento sui fatti, di invito sapienziale, e il ricorso alla metateatralità. Attingendo a una grande varietà di risorse e tecniche sceniche, esse offrono un contributo, di cui si avverte il bisogno, nella riflessione drammaturgica per un nuovo teatro di poesia».

Nei sette corti riuniti in questo volume hanno un ruolo preminente altrettante figure femminili, agenti in un arco temporale che dalla seconda metà del diciottesimo secolo giunge fino ai giorni nostri. Sono le vicende esistenziali ed artistiche, sospese tra storia e mito, di Nannerl Mozart, Fanny Mendelssohn, Camille Claudel, Anna Kuliscioff, Margherita Guidacci, e di altre due artiste (Marinella e Arianna) raffigurate rispettivamente nella seconda metà del ventesimo secolo e nell’inizio del ventunesimo.

L’azione scenica, come in gran parte dei testi della Del Serra, fluisce nell’alveo di coordinate sociali ben definite e storicamente riconoscibili, ma il carattere dei suoi personaggi tende ad assumere una dimensione archetipica, e si fa segnacolo attivo nel trascendere il contesto spazio-temporale in cui si manifesta, divenendo emblema di una condizione (in questi casi quella della donna) alle prese con limitazioni e pregiudizi familiari e sociali tanto radicati da ostacolare la valorizzazione dei loro naturali e vocazionali talenti femminili, ancorché espressi con brillanti ed innovative qualità, tanto da “bruciarli”, sostenendo al contrario pienamente quelli professionali dei rispettivi, celebri fratelli.

Ma se la condizione femminile nei primi tre corti sconta anche una possibile, attesa ed invocata solidarietà fraterna e paterna che non ha luogo (in misura crescente da Mozart a Mendelssohn a Claudel), nel quarto corto dedicato ad Anna Kuliscioff ci si trova di fronte ad una donna “emancipata” che nel 1877, poco più che ventenne, lascia la famiglia benestante e la nativa Crimea per la Svizzera, la Francia e l’Italia (che diviene la sua patria elettiva) dandovi concretezza ai suoi studi e al suo attivismo anarchico-bakuniano e poi socialista-internazionalista, al fianco prima di Andrea Costa, dal quale avrà la figlia Andreina, e poi di Filippo Turati. La Kuliscioff consegue una pionieristica laurea in medicina e, crescendo da sola la figlia, esercita gratuitamente la professione medica fra i bisognosi, affrontando condizioni di assoluta indigenza, per restare fedele fino alla fine alle proprie convinzioni solidaristiche e ai propri ideali che, nel testo della Del Serra, sfociano in una visione proiettiva, in un tempo futuro a noi vicino, gravido di inquietudini e minacce politico-tecnologiche e sociali, ma anche pervaso dalla “rivoluzione” femminista.

Alla poetessa italiana Margherita Guidacci, “Sibilla classica e cristiana” cara all’autrice, nata in una famiglia della borghesia fiorentina e partecipe delle vicende intellettuali della città, figura tanto acuta e potente nella sua attività poetica e di fine traduttrice, quanto spaesata e “scolorita” nella sua dimensione sociale e mondana è dedicato il corto Perla de mi vida, nel quale sono evocate in flashes le problematiche vicende familiari ed affettive della poetessa, già disseminate in filigrana nel suo ricco corpus lirico, riunito ad opera della stessa Del Serra nel ponderoso volume Poesie (1999 e 2020) oltre al quale si ricorda l’indagine critica Le foglie della Sibilla. Scritti su Margherita Guidacci (2005). Ne scaturisce un’“istantanea” lirico-drammatica in cui l’attenzione preminente è posta sui complessi nodi interiori della protagonista, fino all’epifanico epilogo, ispirato alla rinascita amorosa scolpita nella raccolta poetica Inno alla gioia.

A sua volta Fedra, in arte Marinella, lumeggia con puntuale trasparenza biografica le dinamiche familiari e di coppia di un’artista d’avanguardia, le sue scelte confliggenti con le attese della famiglia di origine, le sue estrose dinamiche coniugali ed il complesso rapporto materno-erotico con il giovane figlio che il marito pittore, più anziano di lei, aveva avuto da una precedente relazione. I nomi dei personaggi sono fittizi, ma anche questo testo, con le libertà richieste dalla vicenda teatrale, è di ispirazione biografica, così come Il silenzio di Dioniso, ultima pièce inclusa in questo volume, che presenta un nucleo drammatico di visionaria originalità e di intenso carattere simbolico; il suo centro è la relazione mitica “modernizzata” fra Arianna (qui poetessa e performer cieca) e un altrettanto attualizzato Dioniso; una relazione che si dipana durante l’ultimo decennio del Ventesimo secolo, e che si conclude all’inizio del terzo millennio con la tragedia delle Twin Towers, anch’essa trasformata nel senso di una renovatio simbolica ed amorosa dei protagonisti.

 Nei lavori teatrali raccolti in questo volume si è davanti ad una scrittura in prosa, e tuttavia si può parlare anche in questo caso di teatro di poesia, per la scansione ritmica che  pervade i testi e soprattutto per il loro carattere conoscitivo; poiché, se è vero che ogni umano esistere proietta un suo raggio di conoscenza sul mondo (come fanno ad esempio la scienza, la filosofia, la tecnologia) è altresì vero che esiste un versante oscuro e meta-razionale del  mondo, che per essere rivelato necessita degli speciali “tentacoli” della poesia; e Maura Del Serra li ha brillantemente attivati fin dalle sue prime pubblicazioni poetiche, allorché Mario Luzi, nella prefazione alla sua plaquette d’esordio L’arco (1978) scriveva: «Siamo in un filone profondo che attraversa la cultura e l’arte europea al di là dei confini linguistici e temporali»; e Giorgio Bàrberi Squarotti, prefando Concordanze (1985) sintetizzava: «La poesia di Maura Del Serra appare illuminata da una solitaria luce di grandezza».

Anche nell’ambito specificamente teatrale l’autrice, fin dalle sue prime pubblicazioni, ebbe eccellenti riscontri critici, e già nel 1992, quando aveva pubblicato solo un manipolo di pièces, con il Il figlio fu la vincitrice assoluta della sezione drammaturgica del Premio Internazionale Flaiano, che in quell’edizione annoverò anche Alberto Sordi per la carriera cinematografica, Peter Handke e José Saramago per la  narrativa, Grazyna Csapolowska, Massimo Dapporto e Ugo Gregoretti per l’impegno televisivo. In tale occasione la Giuria espresse la seguente motivazione: «La Del Serra ha saputo tratteggiare un mondo di sentimenti comuni e quotidiani, innalzati a modello assoluto e universale. [...]. L’originalità del suo percorso teatrale, il ricorso ad una parola alta e, al tempo stesso, poeticamente pertinente, fanno de Il figlio un esempio importante di una nuova scrittura scenica. Una direzione, insomma, che affascina e al tempo stesso incanta per l’estrema semplicità e nitore».

Nei decenni successivi la scrittura drammaturgica dell’autrice si è intensificata e riccamente articolata, ha avuto importanti riscontri scenici in Italia e all’estero; la potenza e il ricorso «ad una parola alta e al tempo stesso poeticamente pertinente» non sono mai venuti meno, come sottolinea anche Marco Beck nella sua articolata introduzione al volume Altro Teatro: «Maura Del Serra drammaturga e poetessa o poetessa e drammaturga [...]. Invertendo i termini di questa duplice qualificazione, i due fattori di questa moltiplicazione, non muta il prodotto della creatività che da più di tre decenni pulsa nella mente e nel cuore della scrittrice toscana; i suoi testi teatrali consistono in una sintesi inscindibile, in un coerente composto chimico dove si aggregano molecole di sistematicità ‘ingegneristica’ nella strutturazione dei copioni e molecole di libertà inventiva, trasfigurante e sublimante, nella loro lievitazione poetica, nella loro elevazione a livello d’arte, il che avviene – ed è la maggioranza dei casi, anche là dove la poesia si veste, o traveste, da testo in prosa, senza la trama di una visibile versificazione.

 Si potrebbe in sostanza affermare, ricorrendo alle due celebri categorie concettuali di Blaise Pascal, che la drammaturgia di Maura Del Serra si regge su una forma di conciliazione tra esprit de géometrie intellettuale ed esprit de finisse spirituale: un equilibrio variabile e perennemente mobile, una scommessa temeraria e tuttavia concreta e vitale, in grado anzi di attivare, sulla pagina scritta come sul palcoscenico, sinergie di suggestiva emozionante efficacia».

Siamo in presenza di un lessico teatrale nutrito da una annosa e sedimentata cultura poetica e drammaturgica di matrice classica, che con semplicità e nitore è in grado di parlare al pubblico di ogni età e latitudine; di nutrire l’estetica, l’etica e la coscienza di ogni spettatore.

Affido quindi ai lettori questi recenti e ricchi corti teatrali, esprimendo il mio convinto e fervido desiderio di poterli vedere presto incarnati sul palcoscenico.

                                                    

                                                                          Alessio Riva



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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