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Cat.n. 506

Massimo Bontempellii

Eraclito e noi. Prefazione di Federica Piangerelli.

ISBN 978-88-7588-463-5, 2025, pp. 200, formato 140x210 mm., Euro 20 – Collana “il giogo” [204].

In copertina: Hendrick ter Brugghen, Heraclitus, 1628, olio su tela, Rijksmuseum, Amsterdam.

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Prefazione

di Federica Piangerelli

La voce di Eraclito è […] lontanissima e vicinissima ad un tempo a noi, in ogni senso possibile. Ascoltarla è accendere una tra le luci più illuminanti per la nostra notte1.

«Eraclito ha voluto insegnarci che l’essere della realtà della quale e nella quale viviamo è ad un tempo unico e sempre identico a se stesso ed intimamente scisso ed in opposizione con se stesso in se stesso. Denominando λόγος l’eterna legge dell’identità della realtà con se medesima e l’unicità del suo principio esplicativo di essere, e πόλεμος la sua intrinseca contraddittorietà e la sua immanente discordia conflittuale con se stessa, Eraclito ha concepito il λόγος come πόλεμος e πόλεμος come λόγος»2.

Con queste parole, concise e acute, Massimo Bontempelli restituisce uno dei nuclei teorici più pre­gnanti del pensiero di Eraclito, ovvero l’irriducibile complessità della realtà, che si esplica in una tensione originaria e continua tra forze tese in direzioni contrarie. Secondo il filosofo di Efeso, infatti, l’essere è solo in quanto sgorga da una conflittualità primigenia e sussiste solo in quanto è attraversato da questa stessa conflittualità, perché «pólemos di tutte le cose è padre (πόλεμος πάντων μὲν πατήρ ἐστι), di tutte re (πάντων δὲ βασιλεύς)» (DK22B53).

Lungi dall’implodere in una visione caotica e illogica, questa dinamica approda ad una posizione teorica solida e coerente, che Bontempelli considera, a ragione, “dialettica”; infatti, come egli stesso argomenta, «per quanto incredibile ciò possa sembrare, i sia pur scarsissimi scritti di Eraclito di cui oggi siamo a conoscenza non lasciano dubbi, se attentamente esaminati, che la logica dialettica costruita da Hegel era già stata pensata nel suo significato essenziale, identico a quello che si ritrova nella Scienza della logica, ventitré secoli prima, dal figlio infelice ed orgoglioso di un re-sacerdote dell’acropoli di Artemide ad Efeso. Per quanto ciò possa sembrare impossibile, un pensiero perfettamente dialettico nel senso hegeliano del termine era già circolato, nel mondo greco, prima ancora che fosse nato Platone»3. E proprio in questa scoperta, ritenuta “incredibile e impossibile”, si trova il senso di questo intero volume, che, come scrive l’Autore, nasce da un «esperimento mentale»: assumere il pensiero di Eraclito come un «prisma interpretativo», attraverso cui «provare a leggere alcuni momenti essenziali della cultura non solo antica ma anche moderna, da Hegel a Nietzsche [...], all’individualismo ed allo psicologismo contemporanei»4.

Eraclito e noi, dunque, è un testo bello e necessario, perché persegue l’intento, magistralmente riuscito, di illuminare e rilanciare un «messaggio proveniente da remotissime lontananze del tempo e da un universo umano perduto nelle abissali profondità del passato»5, ma senza ignorare il divario incolmabile tra il mondo antico e quello contemporaneo. Bontempelli, infatti, fa risuonare il valore euristico della e nella distanza e sceglie di farlo a partire da un serrato corpo a corpo con le parole dell’Efesino, sibilline e lucide ad un tempo. A suo parere per comprendere «il significato più preciso possibile espresso da un qualsiasi frammento di Eraclito, occorre ricostruire il valore semantico che le parole in esso contenute hanno non tanto nella lingua greca antica in generale, quanto piuttosto nella specifica lingua sapienziale eraclitea»6.

Questa analisi lessicale si rivela efficace, per esempio, rispetto a un termine cruciale nella riflessione di Eraclito e così polisemico da essere quasi intraducibile, quale λόγος, con il rispettivo verbo λέγω. Come sottolineare l’Autore7, nel greco classico λόγος presenta una molteplicità di significati tra loro irriducibili: “parola”, “discorso”, “linguaggio” (da λέγω nell’accezione di “parlo”, “dico”), ma anche “tema”, “soggetto”, “argomento di studio” (da λέγω nel significato di “raccolgo”, “seleziono”), nonché “principio esplicativo di qualcosa”, “ragione che spiega e comprende” (da λέγω nel senso di “dichiaro”, “significo”), oltre a “corrispondenza”, “proporzionalità tra le cose” (da λέγω inteso come “stabilisco una regola”) e, infine, a “ordine” e “ingiunzione” (da λέγω nel senso di “comando”).

Tenendo sullo sfondo questo quadro semantico, Bontempelli nota: «Nella lingua filosofica di Eraclito il termine λέγω ha tutti quanti questi significati, ma non come diversi, bensì come espressioni di uno stesso concetto. Il λέγω indica infatti il linguaggio, ma in quanto articolato in maniera logicamente corretta tale da manifestare nelle sue connessioni le corrispondenze di essere tra le cose, e quindi il loro principio esplicativo supremo, che è il loro fuoco divino e ciò che si impone su tutto. Il modo come Eraclito intende il λέγω rinvia dunque ad una concezione dell’essere che, distinto da ogni vano giuoco di apparenze, unisce in sé ciò che noi oggi separiamo, e cioè logica e realtà, legge delle cose e legge del linguaggio, umano e divino»8. Tali osservazioni, dunque, confermano quanto la posizione filosofica dell’Efesino sia strutturalmente “dialettica”, nell’accezione originaria del termine greco διαλεκτική; questo, infatti, deriva dal verbo διαλέγω, i cui primi significati sono “separare” e “raccogliere”, rimandando a due tensioni opposte, eppure armonizzate in un unico gesto, che, prima ancora di essere “nelle parole”, è “nelle cose”.

Tuttavia, gli aspetti su cui ci siamo focalizzati in queste poche pagine introduttive sono solo alcuni tra i numerosi altri attorno a cui si snoda l’analisi ricca e puntuale proposta da Bontempelli, che ha il merito di guidare il lettore lungo dieci tappe, connesse tra loro secondo un andamento “a spirale”, perché ciascuna riprende e approfondisce la precedente esaminando una sfaccettatura specifica della prismatica – e inesauribile – riflessione eraclitea. Nell’arco del volume, infatti, vengono affrontate le tematiche più significative del pensiero di Eraclito, che, per il loro valore potente e pionieristico, hanno contribuito a plasmare il nostro immaginario collettivo: dalla natura ambivalente e scivolosa dell’apparenza alla critica alla mera erudizione enciclopedica, dai pericoli insiti nel sonno della ragione all’esigenza di continuare a sperare l’insperabile.

Oltre a queste fondamentali questioni teoriche, da Eraclito e noi possiamo trarre anche un altro insegnamento, che potremmo considerare di carattere “etico” e “metodologico” insieme, perché trapela dalla più generale movenza argomentativa sottesa al volume, ben espressa da queste parole dell’Autore: «Abitando noi un universo ormai avvolto nella notte della follia distruttiva, non possiamo impunemente permetterci l’indifferenza verso le tracce di saggezza umana lasciate da altri mondi di altri tempi»9. Bontempelli, dunque, ci ricorda che, soprattutto in epoche di crisi, ascoltare gli Antichi è un dovere: la pregnanza di questa sua indicazione era evidente nel 1989, anno della prima edizione di questo libro, ma forse oggi lo è ancora di più.

1  Cfr. infra, p. 182.

2  Cfr. infra, p. 93.

3  Cfr. infra, pp. 117-118. Per un primo approfondimento relativo alla dialettica in Eraclito, rimandiamo a M. Migliori, Note sulla dialettica in Eraclito, in M. Migliori, La bellezza della complessità. Studi su Platone e dintorni, petite plaisance, Pistoia 2019. pp. 17-37. Ricordiamo, inoltre, che lo stesso Bontempelli ha approfondito la dialettica negli Antichi in un altro saggio, cioè M. Bontempelli, Percorsi di verità nella dialettica antica, con F. Bentivoglio, SPES, Milazzo 1996.

4  Cfr. infra, p. 12.

5  Cfr. infra, p. 13.

6  Cfr. infra, p. 33.

7  Cfr. infra, p. 76.

8 Ibidem.

9  Cfr. infra, p. 15.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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