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Cat.n. 516

Mario Vegetti

L’etica aristotelica fra l’antico e il moderno. Premessa di Francesco Fronterotta. Presentazione di Luca Grecchi.

ISBN 978-88-7588-425-3, 2025, pp. 112, formato 140x210 mm., Euro 12 – Collana “il giogo” [209].

In copertina: Joan Miró, Le soleil rouge, litografia, 1976.

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12

Premessa

di

Francesco Fronterotta

La trascrizione di queste lezioni su L’etica aristotelica fra l’antico e il moderno, tenute all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli da Mario Vegetti dal 26 al 29 aprile 1988, appare particolarmente benvenuta, non soltanto per l’importanza del loro Autore nel panorama degli studi di filosofia antica tra gli ultimi decenni del XX secolo e il primo squarcio del XXI, ma, anche e soprattutto, perché toccano, come ricorderò a conclusione di questa breve premessa, alcuni degli aspetti più rilevanti, e più controversi, del dibattito sulla riflessione etico-politica di Aristotele o, più esattamente, sulla sua filosofia della prassi. Assai felice fu dunque a suo tempo la decisione dell’Istituto di sollecitare Vegetti su questo tema e altrettanto lo è adesso la scelta dell’editore Petite Plaisance di pubblicare una versione scritta di tale intervento.

Nella prima delle quattro lezioni qui proposte, infatti, Vegetti si sofferma innanzitutto sul problema dello statuto epistemologico che Aristotele riconosce all’ambito dell’etica e della sua genesi in relazione a, o piuttosto in conflitto con, la concezione etica di Platone. Se, notoriamente, è dato in Platone un nesso ineludibile fra il campo della teoria in senso stretto, cioè della conoscenza propriamente scientifica – che necessariamente implica l’esistenza di certi oggetti eterni e immutabili, piena­mente essenti e puramente intellegibili (le idee) –, e la costruzione di una prospettiva etica e politica, che a sua volta aspira a ricondurre la molteplicità delle azioni e delle situazioni ordinarie e particolari che caratterizzano gli individui e la comunità umana nel suo complesso a quel set di oggetti, posti come modelli e criteri valoriali universali, Aristotele si sforza invece, secondo Vegetti, di allentare o rompere, per quanto possibile, questo nesso. La decostruzione aristotelica del vincolo di dipendenza della prassi dalla teoria difeso da Platone passa innanzitutto attraverso una serrata discussione critica della tesi platonica dell’idea del bene della Repubblica, che Vegetti esamina specialmente nella seconda delle sue lezioni. Non è difficile constatare come l’idea del bene, al di là delle innumerevoli e tuttora accese dispute cui ha dato luogo, rappresenti il fondamentale trait d’union che Platone individua fra la metafisica delle idee, e la conoscenza scientifica cui esse sono soggette, e il dominio dell’etica e della politica, che deve essere “normato” e governato da quella. Collocata infatti da Platone al vertice della sfera intellegibile, e di conseguenza concepita come sommo oggetto di conoscenza cui solo la dialettica – scienza filosofica par excellence – può pervenire, l’idea del bene finisce quindi per costituire il principio ultimo, l’archè, da cui trarre le coordinate della prassi etica e politica. Allo stesso tempo, e per analogia, da una simile premessa segue la convinzione tipicamente platonica che l’intera riflessione pratica, con il suo statuto epistemico e il suo svolgimento sul piano metodologico, non possa che dipendere radicalmente dall’indagine dialettica rivolta alle idee e dai suoi esiti.

Aristotele svolge la sua analisi critica della concezione platonica dell’idea del bene particolarmente in Etica Eudemia I 8 e in Etica Nicomachea I 4, con andamento non del tutto identico. Come è noto, e come Vegetti spiega brillantemente, Aristotele prende le mosse dalla sua dottrina delle categorie, che mira a mettere a fuoco i differenti significati che appartengono a determinate nozioni (come l’essere, l’uno e così via). Anche il bene ha molti significati, in primo luogo quello di “sostanza”, in base al quale, però, esso si rivelerà appunto “sostanza”, cioè un ente esistente e ben determinato, che può essere equiparato alla divinità e a cui competono pertanto le attitudini proprie della divinità, essenzialmente di ordine cosmologico, sicché non potrà più esercitare quella funzione regolativa e prescrittiva sul piano etico e politico attribuitagli da Platone. Inteso secondo le categorie altre dalla “sostanza” (“qualità”, “quantità”, “tempo” ecc.), poi, il bene assume significati plurali e variegati, a loro volta convergenti in una serie di fini altrettanto plurali e variegati. In tal caso, osserva Aristotele, più che nei termini del principio assoluto ed esistente in sé indicato da Platone, il bene andrà concepito come lo specifico “bene” che ciascun ente possiede, secondo la propria natura, come suo fine, ciascun ente disponendo eviden­temente di una natura diversa e, conseguentemente, di un “bene” diverso.

Dato un simile assunto, continua Vegetti nella terza lezione, al di fuori dell’orizzonte del bene platonico occorre interrogarsi sui criteri da individuare per la conduzione dei comportamenti individuali e collettivi nell’ambito della prassi. Qui Aristotele stabilisce un riferimento più modesto, che Vegetti descrive come in qualche modo soltanto ostensivo (suscettibile, cioè, di essere “segnato a dito”), vale a dire il ricorso allo spoudaios, l’uomo “dabbene”, “virtuoso” o “rispettabile”, da fissare come un esempio vivente di misura e regolatezza, concretamente identificabile nella vita quotidiana e ordinaria della città e al quale costantemente ispirarsi nell’azione. Non si tratta, argomenta Vegetti in modo sottile e convincente, di compiere azioni giuste di per sé, come le compirebbe lo spoudaios, bensì di agire come lo spoudaios, le cui azioni sono appunto giuste, fornendo così un modello sostanzialmente operativo come criterio della prassi e sfuggendo pertanto alla difficoltà imputata a Platone che riguarda l’individuazione dell’essenza delle azioni giuste in relazione all’idea del bene o del giusto. Nella quarta e ultima lezione, infine, Vegetti ricostruisce, con assoluta maestria, i tratti della ricezione contemporanea della filosofia della prassi di Aristotele, tanto nel quadro della filosofia pratica tedesca – la cosiddetta “riabilitazione” della filosofia pratica – quanto per quel che concerne la political philosophy di ambiente anglosassone. Sono pagine illuminanti, per chiarezza, pregnanza ed efficacia.

Molti dei temi trattati da Vegetti in queste lezioni di quasi quarant’anni fa, e forse, più ancora, la struttura stessa dell’indagine etico-politica di Aristotele, con i suoi requisiti e parametri, si trovano tuttora al centro del dibattito attuale, come mostra per esempio l’assai recente volume di P.-M. Morel, La nature et le bien. L’éthique d’Aristote et la question naturaliste, Peeters, Louvain-La-Neuve 2021. Questa pubblicazione, dunque, non si pone semplicemente come un omaggio a uno dei maggiori stu­diosi italiani del pensiero classico del secondo novecento e come una limpida testimonianza dello straordinario apporto che egli ha offerto alla ricerca in tale contesto, perché aggiunge un tassello prezioso, e un contributo nel suo insieme originale, alla nostra comprensione della concezione aristotelica della prassi.

Francesco Fronterotta

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Presentazione

di

Luca Grecchi

Questo libro costituisce la trascrizione di un seminario di quattro lezioni, tenute, tra il 26 e il 29 aprile 1988, da Mario Vegetti presso l’Istituto Italiano per gli Studi filosofici di Napoli, il quale ha generosamente concesso il permesso di pubblicarle in forma scritta. Il documento testimonia l’interesse di uno dei maggiori antichisti italiani, Mario Vegetti appunto, per il pensiero “etico-politico” di Aristotele, contestuale a quello del suo magistrale volume sul pensiero etico-politico greco, L’etica degli antichi (Laterza, 1989). Tale interesse lo ha da allora accompagnato nei successivi anni della sua vita, come dimostra in maniera esplicita soprattutto il volume Incontro con Aristotele. Quindici lezioni (Einaudi, 2016), scritto con Francesco Ademollo. L’attenzione per il pensiero filosofico-scientifico dello Stagirita, in ogni caso, risulta presente sin dai primi studi sul pensiero medico-biologico antico posti in essere da Vegetti1.

Prima di effettuare, comunque, qualche accenno al rapporto del Nostro col pensiero aristotelico, mi premeva svolgere alcune notazioni su questa trascrizione. Essa, infatti, per vari motivi, presenta alcune particolarità. In un contesto prettamente orale, caratterizzato da un ampio dibattito col pubblico – testimoniato dai video di queste lezioni, attualmente ancora disponibili in rete sul sito dell’Istituto –, nonché considerando le digressioni che Vegetti amava fare, una trascrizione assolutamente letterale del testo parlato sarebbe risultata a mio avviso poco adatta alla forma scritta, per l’inevitabile differente registro sussistente tra oralità e scrittura. Col consenso della famiglia, ho proceduto pertanto ad un lavoro che, fermo restando il sostanziale rispetto di quelle che sono state le parole utilizzate da Mario, si è permesso talvolta di effettuare piccoli interventi sulle stesse. Essi sono stati principalmente dovuti – oltre, in alcuni (pochi) casi, alla difficoltà di comprendere correttamente certi passaggi degli audio, risalenti appunto agli anni Ottanta del secolo scorso –, alla necessità di collegare le proposizioni quando si è deciso, per salvaguardare la scorrevolezza del testo, di eliminare alcune ripetizioni, o brevi excursus, che avrebbero reso la trascrizione tout court non ottimale. Nulla di ciò che risultava essenziale per rendere in maniera conforme la interpretazione di Vegetti, in ogni caso, è stato omesso, se non, per ovvie ragioni, il dibattito finale col pubblico.

Il rapporto del nostro studioso col pensiero di Aristotele, come dicevo, è stato rilevante soprattutto nell’ultima parte della sua vita. Nella sua Autopresentazione per il Bollettino della Società filosofica italiana (177, settembre-dicembre 2002, pp. 37-40), infatti, l’amico Mario non inserì il pensiero dello Stagirita fra quelli che fino ad allora erano stati, nella sua opera, i quattro pilastri ermeneutici mediante cui si era approcciato al pensiero antico, ossia la scienza (soprattutto medico-biologica), i contesti politico-ideologici delle poleis, l’etica e la Repubblica di Platone. Il pensiero aristotelico, fino ad allora, lo aveva in effetti influenzato, ma forse non ancora in maniera determinante, sebbene alcune sue allieve – penso soltanto a Silvia Gastaldi, Francesca Calabi e Silvia Campese (che risultano peraltro, insieme a Franco Ferrari, le curatrici della raccolta di scritti di Vegetti, Dialoghi con gli antichi, pubblicata nel 2007 da Academia Verlag)2 – siano state anche ottime studiose di Aristotele3.

In ogni caso, forse proprio da questo ciclo di lezioni inizia gradualmente, nell’opera del Nostro, un interesse più marcato, rispetto appunto ai quattro temi di elezione, per il pensiero aristotelico, confluito poi in maniera organica nel già citato volume del 2016, di cui a Vegetti si deve la parte maggiore (dieci lezioni più due appendici; ottima, comunque, anche la rimanente trattazione di Ademollo inerente a logica, poetica e retorica)4. Tale interesse più marcato è andato peraltro di pari passo con una crescente convergenza con le tesi espresse dallo Stagirita, come emerge da alcuni articoli in cui la posizione di Aristotele, anche sul piano filosofico, viene fatto oggetto da parte di Vegetti, rispetto al passato, di giudizi molto più lusinghieri5.

Non è questa la sede per ripercorrere tutti gli scritti dedicati dal nostro autore all’opera aristotelica6. Nemmeno si tratta del luogo più adatto per indicare i pochi motivi di dissenso di cui, con Mario ancora in vita, avevamo in parte discusso, legati soprattutto alla cesura, a mio avviso eccessiva, da lui attribuita al rapporto tra teoria e prassi nel pensiero di Aristotele7. Risulta infatti più importante rilevare, in questa sede, che il presente libro ci consente di leggere, ancora una volta, le interpretazioni di uno dei maggiori storici della filosofia antica del nostro Paese relative non solo all’opera etica di Aristotele, ma anche alle tesi di alcuni fra i più importanti studiosi aristotelici del Novecento, la cui rilevanza continua ad essere ritenuta elevata nel dibattito filosofico contemporaneo.

Petite Plaisance prosegue dunque, con questo volume, l’iniziativa di mantenere viva la memoria del lavoro svolto da alcuni grandi antichisti (ma non solo) italiani scomparsi, quali Rodolfo Mondolfo, Giovanni Casertano, Diego Lanza, Maurizio Migliori e, appunto, Mario Vegetti, ripubblicandone gli scritti più importanti, raccogliendone in volume gli articoli sparsi o, come in questo caso, rendendo disponibili al lettore testi di lezioni finora inedite in forma scritta8.

In un’epoca di intelligenza artificiale, in cui le micro-pubblicazioni specialistiche si susseguono a ritmo serrato, i grandi studiosi come Mario Vegetti – che sono sempre, al più, una manciata in ogni generazione – continuano tuttora ad essere letti in modo proficuo, per la profondità che caratterizza le loro trattazioni. Queste ultime risultano infatti preziose guide inerenti ad argomenti vasti e complessi, che le giovani generazioni accademiche purtroppo, a causa dello specialismo cui sono costrette, sono sempre meno attrezzate ad affrontare con la medesima pregnanza.

1 D. Lanza – M. Vegetti, a cura di, Aristotele. Opere biologiche, Utet, Torino, 1971 (questa edizione è stata ristampata nel 2018 da Bompiani, con testo greco a fronte ed aggiornamento bibliografico di G. Girgenti, con il titolo La vita).

2 Frutto di questa collaborazione, per quanto concerne il nostro argomento, il volume S. Campese-F. Calabi-D. Lanza-M. Vegetti-A. Beltrametti, Aristotele e la crisi della politica, Liguori, Napoli, 1977.

3 Degno di nota, fra gli studi giovanili di Vegetti sul pensiero dello Stagirita, risulta sicuramente un suo scritto, Tre tesi sulla Metafisica di Aristotele, Rivista di filosofia, 61, 1970, pp. 343-383. Doveroso anche citare la lunga recensione-commento di M. Vegetti, L’Aristotele redento di Werner Jaeger, Il pensiero, 17, 1972, pp. 7-50. Una certa distanza dalla metafisica di Aristotele è presente nella sua antologia, M. Vegetti, a cura di, La Metafisica (antologia), La Nuova Italia, Firenze, 1975.

4 Un testo che segnalava importanti sviluppi nella riflessione del nostro autore sul presente argomento è stato M. Vegetti, Normale, naturale, normativo in Aristotele, Quaderni di storia, 2000, 52, pp. 75-84.

5 Notevole, in questa direzione, M. Vegetti, La critica aristotelica alla Repubblica di Platone nel secondo libro della Politica, in M. Migliori, a cura di, Gigantomachia. Convergenze e divergenze fra Platone e Aristotele, Morcelliana, Brescia, 2002, pp. 179-190. In questo scritto, infatti, il Nostro riabilita lo Stagirita dalle accuse, in precedenza rivoltegli, di avere male interpretato le posizioni di Platone presenti nella Repubblica. Un simile atteggiamento positivo, nei confronti dell’opera aristotelica, è presente anche nel saggio L’io, l’anima e il soggetto, in S. Settis (a cura di), I Greci. Storia, cultura e società, vol. I, Noi e i Greci, Torino, Einaudi, 1996, pp. 432-467, poi confluito nella presente collana, insieme ad altri scritti del periodo 1981-2013, nel volume M. Vegetti, Figure dell’identità greca. L’io, l’anima, il corpo, il soggetto, Petite Plaisance, Pistoia, 2024, con prefazione di S. Gastaldi.

6 Da ricordare anche M. Vegetti, Ontologia e metodo. La critica aristotelica alla dicotomia in De partibus animalium I 2-4, in M. Migliori – A. Fermani (a cura di), Platone e Aristotele. Dialettica e logica, Morcelliana, Brescia, 2008, pp. 387-398.

7 Esso emerge in maniera marcata, oltre che nella prima di queste le­zioni, nel saggio di M. Vegetti, Sapere e saper agire: sophia e phronesis in Aristotele, in L. Grecchi, a cura di, Teoria e prassi in Aristotele, Petite Plaisance, Pistoia, 2018, pp. 41-57, che costituisce la trascrizione di una sua conferenza tenuta alla Casa della Cultura di Milano il 25 novembre 2015. In questo volume, in dialogo con Carmelo Vigna, e con l’ulteriore commento di Enrico Berti al nostro dialogo, sono presenti alcune mie considerazioni su questa posizione di Mario Vegetti.

8 Per quanto riguarda R. Mondolfo, in questa collana sono stati pubblicati 6 volumi: Gli albori della filosofia in Grecia (2010), Moralisti greci (2020), Conoscenza e sentimento in Jean Jacques Rousseau (2022), Alle origini della filosofia della cultura (2022), Problema umano e problema cosmico nella formazione della filosofia greca (2022) e Sulle orme di Marx (2022). Indicando, per gli altri autori, solo i testi editi dopo la morte, rimando a G. Casertano, Morte (e vita). Dal concetto all’incantesimo, ov­vero dai Presocratici a Platone (2023); di D. Lanza, La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca (2019), Il tiranno e il suo pubbli­co (2020), Lo stolto (2020), Nous e thanatos. Scritti su Anassagora e sulla filosofia antica (2022), Dramata (4 volumi, 2023-2024); di M. Migliori, L’interiorità in Platone (2023), La filosofia di Gorgia (2024), Il Gorgia di Platone (2024); di M. Vegetti, Scritti con la mano sinistra (2021, nuova edizione), La medicina in Platone (2023), L’io, l’anima, il soggetto (2023), Figure dell’identità greca (2024).



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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