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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 525

Salvatore A. Bravo

Caverne. Il mito della Caverna e la nostra epoca.

ISBN 978-88-7588-430-7, 2025, pp. 104, formato 140x210 mm., Euro 13 – Collana “il giogo” [214].

In copertina: Michelangelo Buonarroti, Uno dei quattro Prigioni, detto lo Schiavo giovane (particolare), 1530-1534 circa. Firenze, Galleria dell'Accademia.

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Introduzione

«Allora aprii gli occhi per la prima volta, e subito vidi molte cose e molti colori delle cose, come non capita di vederne ai paurosi che stanno in un angolo, agli spiri preoccupati di sé, che se ne sono sempre stati a casa loro. Una specie di libertà da uccello, una specie di colpo d’occhio da uccello, una specie di mescolanza di curiosità e disprezzo come la prova chiunque abbracci con lo sguardo, senza parteciparvi, un’enorme verità di cose fu questo infine il nuovo stato raggiunto, nel quale resistei a lungo».

F. Nietzsche, Frammenti postumi.1

La caverna platonica è il simbolo eterno della lotta tra la verità e il non essere. Ogni epoca ha la sua caver­na con i suoi tormentati cunicoli, eppure l’esodo dalla menzogna è spesso a portata di mano, ma è ignorato. Inquietudini artatamente pianificate e sovrastrutture ideologiche neutralizzano il processo di emancipazione, e, in tale beccheggiare dell’anima, il malessere fa sentire la sua voce: è il sintomo del logos offeso e rimosso, che malgrado gli occultamenti continua a segnalare la sua ontologica presenza.

La luce penetra nel buio della caverna ora fioca, ora abbagliante: sta agli uomini e alle donne accogliere i processi dialettici veritativi e porsi in cammino verso di essi, non temendo la natura umana veritativa ed etica.

Il nostro è il tempo segnato dalla paura per la “verità”. Tale paura è la “caverna prima” con cui i popoli sono aggiogati all’economicismo senza speranza. Ancora una volta la caverna ci viene incontro, ci invita a pensare il nostro tempo con le sue tragiche contraddizioni che attendono di essere tradotte in concetto. Nella lotta contro le “potenze della notte” emerge la storia.

Le “oscurità mefistofeliche” della contemporaneità sono orientate verso la potenza infinita, esse sono le catene dell’ignoranza da infrangere con il fuoco eterno della contraddizione. L’illimitato è ignoranza della natura umana, la quale si storicizza, ma permane “finita” e, in quanto tale, è solidale e comunitaria, poiché il “limite” è apertura all’altro, esso si esplica attraverso processi di soggettivazione etica.

Nella lotta contro le “potenze della notte” (dominio di classe, sfruttamento lavorativo e psichico e trans-umanesimo) la coscienza (individuale e di classe) prende forma e i dominati rientrano nella storia per risolvere le contraddizioni. In tal modo i sussunti alle potenze oscure dell’illimitato riconquistano la parola-logos per disegnare gli orizzonti di senso che l’imperio del dominio di classe ha neutralizzato.

In questo breve saggio si analizza il significato “polifocale” del mito platonico della caverna. Con esso i filosofi hanno denunciato la rimozione della prassi e dei processi dialettici veritativi, ma nessuna notte è per sempre. La filosofia è sempre attuale, perché è l’espressione della natura umana e, per questo, il mito della caverna nel Settimo Libro della Repubblica di Platone ci parla ancora e infrange le barriere temporali per indicarci il percorso concettuale che conduce verso l’esodo:

– In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione, a un’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini.

– Vedo, rispose.

– Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono.

– Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri.

– Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?

– E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo per tutta la vita?

– E per gli oggetti trasportati non è lo stesso?

– Sicuramente.

– Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni?

– Per forza.

– E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa?

– Io no, per Zeus!, rispose.

– Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali.

– Per forza, ammise.

– Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che così facendo provasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace di scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo più vicino a ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi più essere, può vedere meglio? e se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe più vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso?

– Certo, rispose.

Rileggere il mito della caverna ringiovanisce il mondo, poiché esso nella sua eterna verità ci dona simboli con cui concettualizzare il presente e, in tale prospettiva, svela l’eternità della filosofia e la sua finalità emancipatrice. Non c’è rivoluzione senza fondamento veritativo: di questo dobbiamo prendere atto per riaprire gli orizzonti della storia. Il dominio non è solo “biopotere”, secondo la definizione di Michel Foucault, esso è “potere bio-psichiatrico”, in quanto è in sé irrazionale ed è vittima del suo immenso potere economico e del nichilismo che lo connota e ciò lo rende, anche, carnefice smisuratamente pericoloso.

1 F. Nietzsche, Frammenti postumi, volume VII, Adelphi, Milano 1975, p. 374.



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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