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Prefazione
Mao tse-tung
riletto da uno storico della filosofia
Siate allievi prima di diventare maestri.
Mao Tse-tung
Come allieve di Maurizio Migliori e appartenenti alla «Scuola di Macerata», siamo felici e onorate di introdurre la generosa iniziativa di “petite plaisance” che, in occasione del secondo anniversario della scomparsa del nostro Maestro, vuole ricordarlo, riproponendo un suo scritto su Mao Tse-tung: Il problematico rapporto di Mao Tse-tung con il marxismo. Si tratta di un testo che, forse in modo inatteso, rivela molto del suo modo di essere storico della filosofia e anche della visione stessa che egli aveva della realtà e della vita.
Non tradire i testi
In questo scritto prezioso, Migliori si confronta con un Autore che ha sempre studiato con attenzione e lo fa adottando il suo consueto approccio da storico della filosofia: partire dai testi. Osserva infatti come
[...] il linguaggio di Mao colpisce spesso lo studioso per le forme ingenue, per le affermazioni a volte irritantemente semplificatorie, ripetute e “militanti”. Occorre quindi 1) praticare una lettura che decodifichi i testi senza tradirli, riportando l’argomentazione teorica ad una formulazione tecnicamente adeguata; 2) cogliere le diverse mosse che connotano l’impostazione teorica, verificandone le conseguenze, cosa necessaria e legittima visto che si parla di una filosofia della prassi (p. 20).
Una dialettica pervasiva
L’analisi rigorosa delle opere cifra distintiva del suo modo di intendere lo studio del pensiero antico permette a Migliori di delineare con chiarezza la complessa dialettica che Mao intrattiene con il marxismo-leninismo di matrice sovietica: «senza alcun dubbio Mao dichiara di muoversi in quell’ambito teorico e ne ripropone formule classiche: la sequenza Marx-Engels-Lenin-Stalin è spesso ripetuta […] [ma] il concetto forte delle analisi di Mao è costituito dal “popolo cinese”» (p. 22).
Su questo sfondo, egli individua tre elementi fondamentali del pensiero maoista: «una visione materialista-empirista del rapporto con la realtà, il prammatismo come strumento conoscitivo, una radicale dialettica che consente di analizzare e gestire i dati a tutti i livelli della realtà» (p. 27).
Chi ha conosciuto Migliori sa che il richiamo della dialettica come chiave per analizzare la realtà era per lui irresistibile.
L’aspetto dialettico è quello a cui egli riserva maggior attenzione in questo scritto e a cui aveva già dedicato un altro studio. In un saggio dedicato al confronto tra il pensiero di Mao e il pensiero platonico, Migliori esordisce infatti con queste parole:
[...] occorre giustificare la trattazione di un pensatore oggi così tanto denigrato per la sua attività politica come “tiranno” e per di più “comunista”, e comunque (apparentemente) così lontano dalla nostra cultura e dai problemi che ci attanagliano quotidianamente. La mia riflessione è qui esclusivamente teorica, legata alla convinzione che la dialettica maoista presenti elementi interessanti per una ripresa di questa forma teorica oggi ben di interesse in una visione sistemica delle nostre realtà complesse)1.
Nel pensiero maoista, la dialettica struttura la sua concezione filosofica della realtà in modo pervasivo: «la legge fondamentale è il passaggio dal vecchio al nuovo; il nuovo assume una posizione dominante e il vecchio decresce e muta qualitativamente perché condizionato dalla posizione dominante dell’altro. In sintesi: la realtà è un perenne divenire. Questa assoluta mutevolezza comporta una conseguenza: non si può dire che un elemento della contraddizione è sempre e necessariamente il principale» (p. 29). Infatti, «la contraddizione ha un carattere universale, che però consiste nel suo stesso carattere specifico: nel passaggio dal vecchio al nuovo essa esiste in ogni realtà e in ogni momento, ma con una forma sempre differente […]. In sintesi, quando si studia un dato fenomeno, bisogna scoprire questi due aspetti, l’universale e il particolare così come il loro rapporto reciproco» (p. 31).
L’approfondimento del sistema dialettico fondato sulla contraddizione consente a Migliori di affrontare un altro punto decisivo nella visione complessa della realtà delineata dal pensiero maoista, quello dell’intero. Come spiega in questo studio, «c’è quindi un intero, costituito dalla tensione dialettica tra i due elementi, in cui necessariamente entrambi coesistono e che condiziona la loro esistenza. In quanto appartenenti a tale intero i due termini sono identici e non separabili. Ma il concetto di intero risulta non approfondito tematicamente in queste trattazioni, restando solo un dato implicito, anche se necessario» (p. 36).
Platone e Mao: l’equilibrio instabile della dialettica
Tra le righe di questo articolo si sente l’eco di un’analisi che Migliori svolge altrove, quella che riguarda appunto il rapporto tra Platone e Mao e che trova nella visione dialettica della realtà la sua base più significativa: «la dialettica non ha mai avuto vita facile nella filosofia occidentale. Persino nei marxismi più affermati si è persa quasi subito nel quadro essenzialmente positivista della tradizione dei grandi partiti socialdemocratici della fine dell’Ottocento.
Ci sono molte ragioni per questa difficoltà, a partire dal fatto che la polarità che separa, divide, contrappone , nella tradizione occidentale non attrae quanto l’uno che unisce, ammalia, spiega tutto con la sua forza di signore unico (e maschio).
Inoltre il necessario corollario che nulla è stabile, nulla è sempre stato e nulla sempre sarà, allarma gli esseri umani che amano la sicurezza.
Poiché questa visione di una realtà che deve necessariamente sempre cambiare, che è quella che appare ma non si esaurisce mai nel suo apparire perché è sempre anche altro, riguarda anche il potere non può certo incontrare l’approvazione dei detentori del potere stesso.
[...] giocare sull’intreccio di stabilità e mutevolezza riuscendo a trovare un equilibrio tra le due esigenze è tutt’altro che facile, e costituisce sempre il punto debole della dialettica […]. In sintesi la dialettica costringe ad affrontare problemi difficili, scontrandosi con una serie di resistenze oggettive e soggettive, per di più con la consapevolezza, spesso affermata dalla parte avversa, che tutto questo preteso sommovimento potrebbe dipendere solo dalla natura inquieta dell’individuo, cioè di un sin golo soggetto che non si adatta alla tranquillità di un mondo stabile. Si tratta di vedere se, rispetto a questi problemi, la dialettica di Mao (e di Platone) ci offrono una possibile via di uscita2.
Sulla scorta di queste brevi linee introduttive, è possibile affermare allora che queste pagine ci restituiscono una lezione di metodo, ancora prima di un’analisi sul pensiero di Mao; ci ricordano infatti un principio che Migliori ha sempre seguito e insegnato nell’avvicinarsi ai testi e che qui trova una formulazione sintetica ed esatta tale da racchiudere l’essenza del suo essere storico della filosofia: «credo che per capire un pensatore occorre partire dalla sua visione e dalle sue aspirazioni, anche se le si giudicano irrealizzabili» (p. 59).
Nel segno di una memoria sempre viva e operante,
La Scuola di Macerata
Giada Capasso
Francesca Eustacchi
Arianna Fermani
Lucia Palpacelli
Federica Piangerelli
1 M. Migliori, La dialettica di Mao Zedong (e Platone), in Assoluto e relativo, Morcelliana, Brescia 2017, p. 272.
2 Ivi, pp. 275-276.
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