A smentire ogni concezione lineare e ingenua del progresso è una delle prime parole del pensiero europeo. Una parola arcaica ma sempre nostra. Quando si guarda all’essenziale infatti superamenti, dialettiche, progressi perdono di significato e rimane solo la corrispondenza di ciò che è detto alla struttura del mondo, alla concreta esistenza delle cose.
Principio degli esseri è l’infinito da dove gli esseri hanno origine, ivi hanno anche la distruzione in modo necessario: le cose che sono, infatti, subiscono l’una dall’altra punizione e vendetta per la loro ingiustizia secondo il decreto del Tempo.
Tutto ciò che è si genera dal Nulla/Tutto e nel Nulla/Tutto alla fine ritorna. La morte non tocca soltanto gli umani, gli animali, le piante. La distruzione intacca prima o poi ogni cosa «katá tò creÓn, in modo necessario». Quale necessità? In che cosa consiste tale legge? Quale il suo senso? Essa è anche il limite fisico del mondo, il bisogno continuo di spazio. Affinché il nuovo possa emergere, vivere, affermarsi, è necessario che il vecchio si dissolva. E anche ciò che adesso appare nuovo, diventerà vecchio a sua volta e così procedendo nel ciclo infinito del tempo. La morte, quindi, non è altro che la pena inevitabile che segue alla colpa originaria: l’essere venuti al mondo, l’essere transitati dall’infinito nel finito, dalla perfezione del nulla al limite del tempo. L’ingiustizia consiste nell’esistere e la morte appare la giusta pena, l’unica che possa sanare la colpa originaria. Ecco: nella parola di Anassimandro splende e si fa chiaro il fondamento dell’errore. Ogni torto morale, ogni bene e ogni male, ogni piccola o grande ingiustizia, affondano le loro radici in una dimensione che non è etica ma ontologica. La colpa è inseparabile dall’essere. L’onda superficiale della morale si spiega e comprende solo alla luce della struttura profonda dell’oceano metafisico …