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Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna? - K. BLIXEN
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Cat.n. 031

AA. VV.

[Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Nicola Labanca, Salah al-Din Hasan al-Suri, Salvatore Bono, Francesco Castro, Muhammad al-Tahir al-Jarari, Mahmud al-Dik, Michele Brondino, Federico Cresti, Marco Mozzati, Pierluigi Venuta, Mahmud al-Dik, Fabio Giannelli], Un colonialismo, due sponde del Mediterraneo. Atti del seminario di studi storici italo-libici (Siena-Pistoia, 13-14 gennaio 2000) a cura di Nicola Labanca e Pierluigi Venuta.

ISBN 88-87296-94-4, 2000, pp. 176, formato 170x240 mm., Euro 16,00 – Collana “Studi e ricerche” [4].

In copertina: Rielaborazione grafica da Italia meridionale e insulare – Libia, Guida Breve, Volume III, Consociazione Turistica Italiana, Milano MCMXL (XVIII), 1940.

indice - presentazione - sintesi

16,00

Le occasioni organizzate di incontro fra studiosi italiani e studiosi libici (e di altri paesi) sono state assai poche in Italia.

A Perugia, nel marzo 1985, si incontrarono alcuni storici su un tema non dissimile da quello che è anche di questo volume. Un più ampio incontro, ma con tematiche spazianti dall’antichità all’attualità, si era tenuto a Roma nel gennaio 1981. A parte qualche più isolata occasione, nient’altro. Obiettivamente, è poco.

Perché? Eppure gli istituti facenti capo al Ministero degli Esteri, i singoli studiosi presso le Università hanno continuato – questo volume spera di aiutare a comprendere in quale misura – ad occuparsi di Libia. Perché di quegli incontri non sono mai stati pubblicati, non importa in quale forma, gli atti e le risultanze? Non tutto è spiegabile in termini di censure di tipo politico: che pure ci furono ma verso gli studi storici sul colonialismo italiano in generale, piuttosto che non nei confronti di quelli sulla presenza italiana in Libia. C’è stato un particolare silenzio verso la Libia? Un blocco? E se sì come, e da quando? Se non si dà una risposta credibile a queste specifiche domande, sarà difficile capire ed orientarsi nella storiografia italiana sul colonialismo in Libia.

Altra strada hanno seguito gli studi sulla presenza coloniale italiana nel Corno d’Africa. Non è un mistero che nel caso degli studi etiopistici, somali ed eritrei, nonché in quelli sul colonialismo italiano in quell’area, le occasioni di scambio e di incontro sono state assai più numerose e generali. In alcuni settori ad elevata specializzazione il confronto da parte italiana con gli studiosi dell’altra sponda del Mediterraneo non si è forse mai interrotto: si pensi ai campi dell’islamistica, dell’archeologia, del diritto comparato (ex-coloniale), della linguistica (berberistica) ecc. Ma a livello generale, e quindi più politico, le occasioni formali di incontro collettivo dalle due sponde del Mediterraneo sono state praticamente inesistenti.

A quindici anni dall’incontro perugino, a quasi venti dal convegno romano, forse è il tempo di stendere un bilancio critico e, se necessario, autocritico: senza retorici e pericolosi trionfalismi. Il tema è troppo importante – per la storia d’Italia, per la storia della Libia, per la storia (e per il presente) dei rapporti fra i due paesi e fra le due comunità di studiosi – per essere lasciato in secondo piano.

 

Gli studi che qui si pubblicano sono stati presentati al seminario svoltosi, per iniziativa del Dipartimento di storia dell’Università di Siena, in collaborazione con l’Istituto storico della Resistenza di Pistoia e la Provincia di Pistoia, nel gennaio 2000. Il seminario ha beneficiato di un sostegno dell’Università degli studi di Siena, della Regione Toscana (legge per la promozione della cultura di pace), del Monte dei Paschi di Siena.

Potrebbe ritenersi, e persino ha ritenuto qualcuno fra i partecipanti al seminario da cui questo volume prende le mosse, che l’incontro senese-pistoiese sia stato una conseguenza del migliorato stadio dei rapporti diplomatici fra i due paesi; e che il seminario stesso potesse avere tratti politici. Purtroppo, talora si misurano le iniziative altrui col metro con cui si è usi lavorare.

 

In realtà la scelta dell’oggetto dello studio (il colonialismo italiano in Libia) e la parallela collaborazione con gli studiosi libici muovevano da una constatazione prettamente storiografica: il marcato ritardo della storiografa italiana su questo punto. Un ritardo che ha origini lontane, che in questi ultimi anni ha conosciuto un’inversione di tendenza, ma che non può far indulgere ad ottimismi o a giustificazioni di sorta.

Semmai, e l’occasione della collaborazione fra l’Università di Siena e l’Istituto storico della Resistenza di Pistoia lo indica, il seminario muoveva anzi dal presupposto che – pur in una situazione di generale ritardo – negli ultimi anni da una parte gli studi italiani sul colonialismo italiano in Libia e dall’altra parte gli studi libici sul Jihad libico anticoloniale hanno conosciuto interessanti progressi. L’incontro voleva contribuire a dare informazioni reciproche e, se possibile, a suscitare progetti di ricerca comuni.

 

Inoltre, pur consapevole di tutti i suoi limiti, l’iniziativa del seminario partiva da studi e rapporti avviati ben prima della fase – comunque benvenuta – di miglioramento delle relazioni ed aveva a tutti costi inteso essere in primo luogo un’iniziativa accademico-scientifica di contatto e di conoscenza fra alcuni esponenti delle due comunità di storici. Semmai proprio la decisa volontà di mantenere questa autonomia aveva avuto talune conseguenze (a partire dalle dimensioni delle risorse) che hanno poi portato a restringere il programma e le aspettative rispetto a quanto auspicato. Altri studiosi, ed altre voci, più note o più giovani, avrebbero potuto essere presenti in questo primo seminario: lo saranno, ci auguriamo, nei prossimi.

Pur dentro questi limiti, però, e pur nei confini di un incontro di studio dedicato all’esame della sola fase coloniale della storia dei due paesi e delle relazioni reciproche, questi sono i primi atti pubblicati di un incontro di (alcuni) storici dei due paesi svoltosi in Italia, e non solo degli ultimi venti anni.

 

L’impegno degli autori, tutti presenti al seminario (nel programma del quale figuravano, oltre ad essi, anche Giampaolo Calchi Novati, Luigi Goglia, Gianluigi Rossi), ha fatto sì che questi atti potessero essere pubblicati con una certa rapidità. I curatori desiderano ringraziarli tutti.

 

Nicola Labanca

 

 

 

Che io abbia una qualche autorità nello studio dei rapporti italo-libici (come dimostra il fatto che mi sia stato chiesto di aprire il seminario da cui il volume prende le mosse, di presiederne la prima sessione, nonché di stenderne questa prefazione) è la dimostrazione dei ritardi e delle varie difficoltà che hanno finora frenato le ricerche in materia. Mi sia concesso un breve excursus autobiografico per spiegarmi meglio.

Ho cominciato a occuparmi delle guerre coloniali italiane alla fine degli anni ’60 per una questione di archivi: volevo studiare la politica militare del fascismo, ma per un’epoca così recente gli archivi militari erano ancora praticamente chiusi. L’unico grande archivio realmente disponibile era quello dell’Acs, l’Archivio centrale dello Stato di Roma che un così grosso ruolo ha avuto nella promozione degli studi italiani di storia contemporanea; e tra i suoi fondi di interesse militare spiccavano le carte di Badoglio sulla preparazione dell’aggressione all’Etiopia e soprattutto il ricchissimo archivio personale di Graziani sulla sua attività in Libia e in Etiopia. Cominciai a occuparmene perché documentavano pur sempre un aspetto delle vicende dell’esercito, senza alcuna pretesa di affrontare la più complessa storia del colonialismo.

Gli studi sulla repressione italiana in Libia e in Etiopia che pubblicai negli anni ’70 erano basati sulla documentazione raccolta da Graziani e sulle pubblicazioni dell’epoca: una storia del colonialismo italiano tutta interna, centrata sulle operazioni militari, senza alcun apporto di parte africana. Pure il mio libretto del 1973 sul Colonialismo italiano non aveva una maggiore ricchezza e varietà di fonti, anche se ebbe un certo ruolo nel rompere il grigio e agiografico panorama degli studi italiani allora disponibili sul colonialismo italiano, non ancora sottratti al clima imperial-fascista.

Per quanto di respiro limitato, questi studi suscitarono critiche e incomprensioni. Le critiche più aspre vennero da Enrico De Leone, un anziano africanista che non molti anni prima aveva ripercorso le vicende della “riconquista” fascista della Libia e ora mi definiva traditore della patria perché avevo rotto il clima di omertà degli studi coloniali documentando tutta la durezza della repressione della resistenza cirenaica condotta da Badoglio e Graziani fino a definirla “genocidio” (sono i censimenti italiani a suggerire un totale di 40.000 morti sui 100.000 deportati dal Gebel cirenaico). Le incomprensioni vennero dalla parte libica. Nel 1980 fui invitato a Bengasi (credo grazie a Francesco Castro) insieme a altri studiosi italiani per un convegno da tenere nell’ambito del Festival Omar al-Mukhtar, una celebrazione di massa. Mi preparai ampliando il mio studio del 1973 con ricerche negli archivi coloniali (socchiusi da Enrico Serra, anche se pur sempre arcigni verso gli studiosi indipendenti) e militari (il gen. Cruccu aveva finalmente aperto l’Ufficio storico dell’esercito); e arrivai a Bengasi con un testo di 70 pagine su La repressione della resistenza in Cirenaica 1927-1931, trattata ancora dal punto di vista militare e sulle carte italiane. Non mi resi conto che arrivavo come un colonialista, bene intenzionato ma del tutto ignorante della realtà libica, quindi senza sapere che la Senussia, che nelle mie pagine era la protagonista della resistenza cirenaica, era invece considerata in Libia come il principale nemico del movimento di liberazione nazionale. Gli organizzatori del convegno sbiancarono quando lessero il mio testo e mi concessero non più di 10 minuti per riassumerlo, all’inizio di una seduta in cui la traduzione araba non funzionava.

Racconto questo piccolo incidente per ricordare che i miei studi sulle operazioni militari italiane in Libia, per quanto nuovi e documentati, non bastano a qualificarmi come studioso dei rapporti italo-libici, né tanto meno come africanista. Né hanno avuto seguito: dopo il 1980 ho scritto un paio di articoli sulla guerra contro l’Etiopia, ma nulla più sulla Libia. Il mio studio del 1980 sulla repressione della resistenza cirenaica ha comunque avuto una fortuna insperata: è stato pubblicato in Italia insieme alle relazioni presentate a Bengasi da Enzo Santarelli, Luigi Goglia e Romain Rainero nel volume Omar al-Mukhtar e la riconquista fascista della Libia, Marzorati, Milano 1981, ha circolato tra gli studiosi libici in una traduzione dattiloscritta, è apparso in inglese in una traduzione del volume del 1981, Omar al-Mukhtar. The Italian Reconquest of Libya (Darf Publishers Ltd, London 1986) condotta all’insaputa degli autori, verosimilmente per iniziativa libica (il volume è in vendita nelle librerie di Tripoli), è stato pubblicato anche in francese dal Service historique de l’armée de l’air nella traduzione del mio volume del 1991 come Les guerres italiennes en Libye et en Ethiopie 1921-1939, Shaa,Vincennes 1994.

Incidenti come questo non sono più possibili, da parte libica la ricerca storica ha fatto decisivi progressi attestati dai contributi presentati a questo seminario, da parte italiana una nuova leva di studiosi ha superato le chiusure culturali del colonialismo e affronta i rapporti italo-libici in una prospettiva storiografica di ampio respiro, inquadrando la documentazione archivistica italiana nella più generale storia della Libia e dell’Africa settentrionale.

È con grande piacere che dinanzi a questo seminario (e le altre iniziative di questi anni) registro il definitivo superamento dell’impostazione italo-centrica cui i miei studi sulla repressione della resistenza libica sono ancora legati e l’avvento di un clima di collaborazione profonda e innovativa tra gli studiosi delle due sponde del Mediterraneo centrale.

 

Giorgio Rochart



Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare da sé (K. Marx). – Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada (Eraclito). – ... se uno ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo, là dove opera il dio, segua il germoglio nel suo cammino verticale e avrà del retto desiderio il retto adempimento: dovunque egli sia non gli occorre altro viaggio (M. Guidacci).

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