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«... Nessuna narrazione è innocente, e Amnon Kapeliouk, che i lettori di Le Monde Diplomatique conoscono bene e che anch’io, per mio conto, conosco e stimo da molti anni, è un uomo d’impegno. Ma è anche, e l’una cosa non ostacola l’altra, un giornalista di una probità assoluta. L’ho visto sufficientemente al lavoro per sapere che non scrive nulla che non abbia abbondantemente verificato. Il suo libro si basa su un’inchiesta minuziosa: testimonianze orali e scritte, visite sui luoghi, non manca nulla.
... Sulla profondità del coinvolgimento israeliano in questa storia, il racconto di Kapeliouk non lascia dubbi. Che Begin ed il generale Sharon non avessero “voluto tutto ciò”, è possibile e probabile. Si sarebbero accontentati, verosimilmente, di un piccolo massacro e se ne sono ritrovato uno grosso. Un massacro, perché? Ecco ciò che scrive Kapeliouk:
“Dalle discussioni tra giornalisti israeliani e stranieri viene fuori che la tesi, (sostenuta all’inizio), secondo la quale il massacro e le distruzioni sarebbero state il frutto di un’esplosione di collera e di vendetta spontanea dovuta all’assassinio di Bechir Gemayel, è falsa. Questo massacro sembra proprio essere stato premeditato. Il suo scopo: provocare un esodo massiccio dei Palestinesi da Beirut e dal Libano. La crudeltà del crimine corpi lacerati, membra tranciate, bambini squartati, teste di bambini schiacciate contro il muro può trovare così una spiegazione nella volontà di terrorizzare”.
È in realtà l’ipotesi più verosimile. Sabra e Chatila ripeterebbero Deir Yassin, il massacro del 1948 che fece fuggire tanti Palestinesi».
Pierre Vidal-Naquet
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