La filosofia della scienza del Novecento si è posta l’ambizioso obbiettivo di elaborare una teoria che sappia giustificare razionalmente la pretesa della scienza di essere conoscenza razionale (quindi fondata su argomenti) e oggettiva (capace di dare una descrizione vera della realtà, o almeno dei suoi settori).
Ad un esame spassionato della storia delle principali correnti della filosofia della scienza del Novecento, appare evidente che questo ambizioso obbiettivo non è stato raggiunto, e neppure c’è stato qualche significativo avvicinamento ad esso. Gli sviluppi degli ultimi decenni hanno portato piuttosto alla diffusione di posizioni scettiche e relativistiche.
Questo saggio tenta di delineare schematicamente l’evoluzione della filosofia della scienza del Novecento, e di mostrare la radice di questo scacco: è la separazione “ontologica” fra realtà e pensiero, fra fatti e teorie, a rendere non giustificabile razionalmente la conoscenza scientifica. È l’immagine della teoria come di una “mappa” che descrive un “paesaggio” esterno a implicare scetticismo e relativismo.
L’autore intende quindi suggerire (senza sviluppare queste suggestioni nello spazio di questo saggio) che una possibile linea di ricerca per superare le difficoltà dell’epistemologia contemporanea stia nella critica di questa separazione ontologica, e quindi nella ripresa di alcune tematiche fondamentali della tradizione filosofica occidentale, da Platone a Hegel; tematiche che l’epistemologia del Novecento ha sempre rifiutato come “idealistiche” e “metafisiche” e che sembrano essere lo sbocco naturale della contraddizioni dell’epistemologia stessa.
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