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“Penelope” non è certo un soggetto, né individuale né collettivo; è il modo di produzione capitalistico in quanto struttura di relazioni sociali che informa di sé la società moderna e che è fondata sul conflitto tra le diverse frazioni della classe dominante, costituita dagli agenti direttivi in quella particolare sfera sociale cui pertiene il compito della produzione e dello scambio.
Il conflitto lacera in permanenza il tessuto della società, che tuttavia si riproduce pur tra squilibri e sproporzioni. La crisi è dunque sempre immanente in essa, anche se si manifesta apertamente solo in alcuni periodi cruciali dello sviluppo del capitalismo. Il testo prende le mosse dalle difficoltà in cui quest’ultimo, ormai rimondializzatosi, si trova attualmente.
Dopo aver individuato due tipologie “classiche” che la crisi ha storicamente assunto, l’autore fa una succinta esposizione delle principali teorie che si sono interessate a questo fenomeno. Successivamente, viene esaminata con speciale attenzione la rete delle interazioni prevalentemente conflittuali che lega tra loro quegli attori sociali decisivi denominati imprese, mettendone in luce il carattere non soltanto economico, ma precipuamente politico in quanto unità di strategie.
Il testo vuol dimostrare come questa mossa teorica sposti completamente il punto di vista sulla crisi, evidenziandone i vari aspetti (economico, politico, ideologico-culturale, ecc.), la cui manifestazione è diversa in differenti fasi, ricorsive, dello sviluppo capitalistico. Il testo si conclude, tornando alla crisi attuale e al suo più generale inquadramento nella nuova epoca di conflittualità intercapitalistica a tutto campo, accennando ad alcuni possibili sbocchi della stessa, senza però “profetiche” certezze definitive e puramente catastrofiste.
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