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La storia di Pistoia, secondo R. Davidsohn, non offre che “lo spettacolo disgustoso di pure discordie familiari e personali, che in sostanza non furono provocate se non dalla bramosia del potere, dall’odio e dalla vendetta”.
Ma noi pistoiesi, quanto alla storia della nostra città, quanto a noi stessi ci dovremo appagare di queste parole “di colore oscuro”? Non faremo neanche un tentativo per destarci dall’inverno del letargico scontento che abbiamo alle spalle? Certo che vale la pena (soprattutto, ma non solo, nelle scuole) di “svegliar dalle tombe” simultaneamente i “nostri padri” e noi stessi! E togliamola, dalle porte della nostra percezione, un po’ di quella maligna ruggine dell’ideologia! Ritessiamolo il dialogo con morti che son più vivi dei vivi!
Questo libro è un tentativo, amatoriale, di ridare udienza alle parole di antichi fantasmi (celebri o poco noti o quasi sconosciuti), che sono anche “spettri familiari” della nostra coscienza. Eccoli, “col loro anelito lieve... cercando cose lontane”: Meo Abbracciavacca, Lemme Orlandi, Paolo Lanfranchi, Jacopo da Pistoia, Vanni Fucci, Buonaccorso da Montemagno, il cardinale Niccolò Forteguerri, i due meravigliosi Dioscuri del Rinascimento: Scipione e Antonio Forteguerri, Tommaso Baldinotti, Antonio Cammelli... E ci sono anche, sullo sfondo, il Boccaccio, Franco Sacchetti, Masuccio Salernitano, il Machiavelli. E, infine, loro due: Cino e Dante. Sì, Dante, per la cui disperazione e per il cui odio Pistoia fu tremenda Fenice.
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